società non operative
Più garanzie per le società di comodo
Per la Provinciale di Treviso, occorre, a pena di nullità, la previa convocazione del contribuente, nonché la c.d. «motivazione rinforzata»
/ Giovedì 01 settembre 2011
Gli accertamenti eseguiti al fine di contrastare le c.d. “società di comodo” possono essere inquadrati nell’ambito degli accertamenti antielusivi, con tutto ciò che ne consegue sul versante procedurale.
Il ragionamento effettuato dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso con la sentenza 24 febbraio 2011 n. 24, sezione III, costituisce uno spunto di difesa in più per il difensore tributario, utile nella predisposizione del ricorso contro accertamenti fondati sulla disciplina delle società non operative.
Come noto, il contribuente, al fine di evitare l’assoggettamento ai ricavi minimi presunti dall’art. 30 della L. 724/94, può presentare apposito interpello disapplicativo, che, per ciò che concerne la procedura, segue le regole dell’interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis del DPR 600/73.
Su tale aspetto, i giudici affermano che l’interpello ha lo scopo di chiedere la preventiva disapplicazione del regime delle società non operative, e che, come del resto affermato dall’Agenzia delle Entrate, “ha il solo scopo di consentire al contribuente di conoscere l’orientamento dell’amministrazione finanziaria in ordine alla futura applicazione delle relative disposizioni tributarie”. La risposta negativa della DRE, tuttavia, non comporta l’accertamento della finalità elusiva della società.
In merito a tali affermazioni, è d’obbligo ricordare che la Corte di Cassazione (sentenza n. 8663 del 2011), in riferimento all’interpello disapplicativo ex art. 37-bis del DPR 600/73 (interpello che, a differenza di quanto previsto dall’art. 30 della L. 724/94, “deve” e non “può” essere presentato), ha stabilito che la risposta resa dall’Ufficio costituisce atto impositivo autonomamente impugnabile, paragonabile, in sostanza, ad un diniego di agevolazione.
È palese che i giudici si sono discostati dalla menzionata interpretazione, che, come già illustrato in un precedente intervento (si veda “Impugnabile la risposta resa a seguito di interpello disapplicativo” del 16 aprile 2011), comporterebbe la necessità di impugnazione della risposta resa dall’Agenzia, pena la limitazione dell’oggetto della difesa nel successivo ricorso contro l’avviso di accertamento.
L’assunto ha ovvie conseguenze sul versante procedimentale.
In primo luogo, come detto nella sentenza, l’accertamento deve essere preceduto dalla previa richiesta di chiarimenti al contribuente, cosa che non è avvenuta, e che, nella causa esaminata nella sentenza, ha cagionato l’accoglimento del ricorso. In secondo luogo, a seguito della convocazione, l’accertamento deve contenere una parte motiva rinforzata, nel senso che, oltre alle normali ragioni di fatto e di diritto della pretesa, occorre che l’Ufficio spieghi perché le deduzioni difensive del contribuente non sono state accettate.
Ma non è finita, in quanto, nonostante ciò non sia stato esaminato, l’inquadramento del provvedimento nell’alveo della c.d. “clausola antielusiva” ha effetti sulla riscossione frazionata, nel senso che non sarà applicabile il combinato disposto degli artt. 15 del DPR 602/73 e 68 del DLgs. 546/92, ma solo quest’ultima norma, con l’effetto che nessuna somma potrà essere riscossa se non dopo la sentenza di primo grado e nella misura dei due terzi.
Il ragionamento effettuato dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso con la sentenza 24 febbraio 2011 n. 24, sezione III, costituisce uno spunto di difesa in più per il difensore tributario, utile nella predisposizione del ricorso contro accertamenti fondati sulla disciplina delle società non operative.
Come noto, il contribuente, al fine di evitare l’assoggettamento ai ricavi minimi presunti dall’art. 30 della L. 724/94, può presentare apposito interpello disapplicativo, che, per ciò che concerne la procedura, segue le regole dell’interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis del DPR 600/73.
Su tale aspetto, i giudici affermano che l’interpello ha lo scopo di chiedere la preventiva disapplicazione del regime delle società non operative, e che, come del resto affermato dall’Agenzia delle Entrate, “ha il solo scopo di consentire al contribuente di conoscere l’orientamento dell’amministrazione finanziaria in ordine alla futura applicazione delle relative disposizioni tributarie”. La risposta negativa della DRE, tuttavia, non comporta l’accertamento della finalità elusiva della società.
In merito a tali affermazioni, è d’obbligo ricordare che la Corte di Cassazione (sentenza n. 8663 del 2011), in riferimento all’interpello disapplicativo ex art. 37-bis del DPR 600/73 (interpello che, a differenza di quanto previsto dall’art. 30 della L. 724/94, “deve” e non “può” essere presentato), ha stabilito che la risposta resa dall’Ufficio costituisce atto impositivo autonomamente impugnabile, paragonabile, in sostanza, ad un diniego di agevolazione.
È palese che i giudici si sono discostati dalla menzionata interpretazione, che, come già illustrato in un precedente intervento (si veda “Impugnabile la risposta resa a seguito di interpello disapplicativo” del 16 aprile 2011), comporterebbe la necessità di impugnazione della risposta resa dall’Agenzia, pena la limitazione dell’oggetto della difesa nel successivo ricorso contro l’avviso di accertamento.
Lo stesso dovrebbe valere per la riscossione
Tanto premesso, i giudici trevisani sostengono che, a seguito delle modifiche apportate dal DL 223/2006 (norma che ha previsto la possibilità di disapplicazione della normativa in tema di società non operative mediante la presentazione di interpello ex art. 37-bis, comma 8 del DPR 600/73), il regime delle “società di comodo” viene in sostanza ricollegato alle disposizioni antielusive di cui al 37-bis.L’assunto ha ovvie conseguenze sul versante procedimentale.
In primo luogo, come detto nella sentenza, l’accertamento deve essere preceduto dalla previa richiesta di chiarimenti al contribuente, cosa che non è avvenuta, e che, nella causa esaminata nella sentenza, ha cagionato l’accoglimento del ricorso. In secondo luogo, a seguito della convocazione, l’accertamento deve contenere una parte motiva rinforzata, nel senso che, oltre alle normali ragioni di fatto e di diritto della pretesa, occorre che l’Ufficio spieghi perché le deduzioni difensive del contribuente non sono state accettate.
Ma non è finita, in quanto, nonostante ciò non sia stato esaminato, l’inquadramento del provvedimento nell’alveo della c.d. “clausola antielusiva” ha effetti sulla riscossione frazionata, nel senso che non sarà applicabile il combinato disposto degli artt. 15 del DPR 602/73 e 68 del DLgs. 546/92, ma solo quest’ultima norma, con l’effetto che nessuna somma potrà essere riscossa se non dopo la sentenza di primo grado e nella misura dei due terzi.
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