diritto fallimentare
Programma di liquidazione, sempre ammessa la segretazione
Secondo il CNDCEC, la mancata espressa previsione normativa non preclude al giudice delegato di celare alcune parti
/ Giovedì 01 settembre 2011
La norma in parola non riconosce espressamente la facoltà del giudice delegato di segretare alcune informazioni del suddetto documento di realizzo dell’attivo, a differenza della disciplina afferente la relazione iniziale predisposta dal medesimo soggetto, in merito alle cause e circostanze del fallimento, alla diligenza spiegata dal fallito nell’esercizio dell’impresa, alla responsabilità dello stesso o di altri ed a quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale. L’art. 33, comma 4 L. fall. stabilisce, infatti, che il giudice delegato ordina il deposito in cancelleria di tale relazione, disponendo la segretazione delle parti relative alla responsabilità penale del fallito e di terzi, ed alle azioni che il curatore intende proporre, qualora possano comportare l’adozione di provvedimenti cautelari, nonché alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale del fallito.
Le informazioni in parola sono, pertanto, custodite separatamente, rispetto al fascicolo della procedura, con conseguente preclusione ad ogni forma di accesso e consultazione, da parte del fallito, dei creditori – compresi i componenti del comitato – e di ogni interessato.
Il difetto di coordinamento è evidente, in quanto la relazione particolareggiata del curatore ed il programma di liquidazione, pur avendo finalità differenti (storico-investigativa la prima, prospettico-realizzativa la seconda), sono oggettivamente accomunate da alcune informazioni particolarmente riservate e, quindi, suscettibili di segretazione. È il caso, ad esempio, delle notizie raccolte in ordine ai presunti profili di responsabilità imputabili ai soggetti che hanno concorso a determinare il dissesto dell’impresa fallita (amministratori, componenti dell’organo di controllo, liquidatori, direttori generali e soci): formalmente segretabili nella relazione iniziale del curatore, ma non nel programma di liquidazione.
Sul punto, il documento del CNDCEC propende per una soluzione sostanziale della problematica, su autonoma iniziativa del magistrato competente, coerente con la formulazione letterale dell’art. 90, comma 2 del RD n. 267/1942: il programma di liquidazione può, infatti, essere considerato ricompreso tra gli “atti eventualmente riservati su disposizione del giudice delegato”, con l’effetto che costui – non appena ricevuto il piano di cui all’art. 104-ter L. fall. – deve ritenersi investito della facoltà di disporre la segretazione di quelle parti che ripetono il contenuto della relazione iniziale del curatore.
Il potere del giudice delegato è sempre esercitabile
Il principio normativo in parola consente, peraltro, un’interpretazione ancor più estensiva, come correttamente rilevato dal CNDCEC: il predetto potere del giudice delegato è sempre esercitabile, indipendentemente dalla circostanza che l’informazione ritenuta segretabile sia già contenuta nella relazione iniziale del curatore, ed abbia ricevuto un analogo trattamento di riservatezza.In altri termini, una notizia riportata nel programma di liquidazione può formare oggetto di segretazione, anche se neppure menzionata nella relazione iniziale del curatore: a questo proposito, appare, pertanto, utile che costui, al fine di agevolare la predetta attività del giudice delegato, individui puntualmente – in apposita sezione del piano di realizzazione dell’attivo – le informazioni di cui ritiene opportuna la separata conservazione, rispetto al fascicolo fallimentare, in quanto la conoscenza delle stesse da parte di altri soggetti potrebbe compromettere il buon esito delle corrispondenti azioni prospettate e, quindi, arrecare un pregiudizio alle ragioni dei creditori.
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