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lunedì 12 settembre 2011

diritto societario

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Revoca dell’amministratore di sas che viola norme di bilancio senza arbitro

Secondo la Cassazione, tali controversie sono sottratte alla compromettibilità in arbitri perché coinvolgono interessi non disponibili

/ Martedì 13 settembre 2011
Le controversie concernenti la revoca per giusta causa dell’amministratore di una società di persone per la violazione delle norme che devono essere osservate nella redazione dei bilanci sono sottratte alla compromettibilità in arbitri, in quanto coinvolgono interessi non disponibili.
È sufficiente, ai fini dell’instaurazione del contraddittorio nei confronti di una società di persone, la presenza in giudizio di tutti i soci.
Sono questi i principi affermati dalla sezione prima della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18600 di ieri, 12 settembre 2011.
Il caso in esame concerne la revoca per giusta causa dell’amministratore di una sas, ottenuta dal socio accomandante con provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. e poi confermata dal Tribunale in sede di reclamo e in sede di giudizio di merito.
Al riguardo, va, infatti, ricordato che, in base all’art. 2259, comma 3 c.c. (norma pacificamente considerata applicabile alla sas), ciascun socio può chiedere giudizialmente la revoca di un amministratore per giusta causa. In particolare, con riferimento al tipo societario in discorso, l’orientamento prevalente ritiene che, in presenza di giusta causa, la revoca giudiziale degli amministratori possa essere domandata anche dai soci accomandanti, atteso che, assumendo tale iniziativa, detti soci non compiono un atto di ingerenza nell’amministrazione, ma si limitano ad attivare un controllo giudiziario di legittimità sulla condotta degli amministratori.
È, inoltre, pacifico che, al fine di ottenere un provvedimento d’urgenza di revoca dell’amministratore, il socio possa ricorrere anche alla tutela cautelare, con applicazione, in presenza dei presupposti, dell’art. 700 c.p.c.
Opponendosi alla decisione giudiziale, l’amministratore revocato sosteneva che, poiché nello statuto societario era stata inserita una clausola compromissoria, la soluzione della controversia avrebbe dovuto essere affidata alla decisione di un arbitro, con conseguente improponibilità del ricorso al giudice.
La Suprema Corte, tuttavia, respinge tale tesi, richiamando un proprio precedente del 2005 (Cass. n. 3772/2005), in base al quale, se è vero, in linea generale, che le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, deve pur tuttavia escludersi la compromettibilità in arbitri di quelle controversie che abbiano ad oggetto interessi della società o che riguardino la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. Nello specifico, l’area dell’indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio.
In base a tale principio – prosegue la Suprema Corte – si è ritenuto che non possa essere devoluta al giudizio arbitrale la controversia relativa alla revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice disposta per la violazione delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci, nonché l’obbligo di consentire ai soci il controllo della gestione sociale (Cass. n. 1739/1988).
Sul piano processuale, il ricorrente lamentava il difetto di contraddittorio nei confronti della sas, stante la mancata citazione, nel giudizio di merito successivo alla revoca del socio accomandatario dalla facoltà di amministrare con provvedimento giudiziale emesso ante causam, anche della società, nella persona dell’amministratore di nomina giudiziale.
Anche tale motivo di ricorso non viene accolto. Secondo la Cassazione, infatti, nelle società di persone, l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità dei soci unitarietà di forme di azione, ma non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell’unicità esclusiva di un ente “terzo”.
Sul piano processuale, è sufficiente la presenza in giudizio di tutti i soci
Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà o un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, “sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa” (cfr., tra le altre, Cass. n. 7886/2006, 8570/2009).
/ Francesca TOSCO

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