penale tributario
Documentazione falsa: «truffa aggravata» per la dichiarazione di supporto
Altrimenti si configura solo la meno grave fattispecie dell’art. 316-ter c.p.
L’allegazione di falsa documentazione rafforzata dalla dichiarazione volta ad avvalorare il dato non corrispondente al vero è suscettibile di integrare il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e non la meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 13 settembre 2011 n. 33841, alla luce delle indicazioni fornite da precedenti pronunce di legittimità.
Appare opportuno, in primo luogo, chiarire il quadro normativo. Ai sensi dell’art. 640 commi 1 e 2 n. 1 c.p., chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 a 1.549 euro, tra l’altro, se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico. Ai sensi dell’art. 640-bis c.p. (inserito dall’art. 22 comma 1 della L. 55/90), la pena è della reclusione da uno a sei anni se il fatto di cui all’art. 640 c.p. riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. Più di recente, inoltre, l’art. 316-ter c.p. (inserito dall’art. 4 comma 1 della L. 300/2000) ha stabilito che, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis c.p., chiunque, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.164 a 25.822 euro, che non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito).
Si è posto, quindi, il problema di chiarire i rapporti tra quest’ultima fattispecie e quella di truffa ai danni dello Stato di cui all’art. 640-bis c.p. Sul tema i giudici di legittimità, nella sentenza 25 febbraio 2009 n. 8613, hanno precisato che la fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter c.p. costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata (artt. 640 commi 1 e 2 n. 1 e 640-bis c.p.), essendo destinata a colpire condotte che non rientrano nel campo di operatività di queste ultime. Ne consegue che la semplice presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere non integra necessariamente il primo delitto (art. 316-ter c.p.) ma, quando ha natura fraudolenta, può configurare gli “artifici o raggiri” descritti nel paradigma della truffa e, unitamente al requisito della “induzione in errore”, può comportare la qualificazione del fatto ai sensi dell’artt. 640 o 640-bis c.p. (cfr. anche Cass. 6 luglio 2006 n. 23623).
La linea di discrimine tra il reato di cui all’art. 316-ter c.p e quello di cui all’art. 640-bis c.p. va, quindi, ravvisata nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato dell’effetto dell’induzione in errore del soggetto passivo, presente invece nel secondo. Occorre dunque guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo (o di altra erogazione): se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all’omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l’ente pubblico possa essere tratto in errore da tale condotta, è integrato il reato di cui all’art. 316-ter c.p.; se, invece, l’erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico è l’effetto di un’induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un’automatica conseguenza circa l’erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all’art. 640-bis c.p. (così Cass. 24 luglio 2007 n. 30155).
D’altra parte, anche il silenzio o il mendacio possono integrare l’elemento oggettivo del reato di truffa in relazione, il primo, all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e, il secondo, allo specifico affidamento che quella condotta può, ex lege” ingenerare (così Cass. 25 febbraio 2009 n. 8613). La valutazione sulla connotazione della condotta va comunque effettuata, caso per caso, dai giudici del merito e quando questi hanno congruamente motivato circa la ricorrenza in concreto degli elementi distintivi che definiscono il più grave reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, la qualificazione giuridica del fatto non è censurabile in sede di legittimità.
A fronte di tutto ciò, la sentenza in commento ha ritenuto correttamente assolto dai giudici di merito tale obbligo di motivazione attraverso l’osservazione che l’artificio rappresentato dall’allegazione di falsa documentazione era rafforzato dalla dichiarazione – presentata dall’imputata – volta ad avvalorare il dato non corrispondente al vero. Condotta che andava a rappresentare proprio l’elemento ulteriore finalizzato a indurre in errore il soggetto passivo.
/ Maurizio MEOLI
Appare opportuno, in primo luogo, chiarire il quadro normativo. Ai sensi dell’art. 640 commi 1 e 2 n. 1 c.p., chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 a 1.549 euro, tra l’altro, se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico. Ai sensi dell’art. 640-bis c.p. (inserito dall’art. 22 comma 1 della L. 55/90), la pena è della reclusione da uno a sei anni se il fatto di cui all’art. 640 c.p. riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. Più di recente, inoltre, l’art. 316-ter c.p. (inserito dall’art. 4 comma 1 della L. 300/2000) ha stabilito che, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis c.p., chiunque, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.164 a 25.822 euro, che non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito).
Si è posto, quindi, il problema di chiarire i rapporti tra quest’ultima fattispecie e quella di truffa ai danni dello Stato di cui all’art. 640-bis c.p. Sul tema i giudici di legittimità, nella sentenza 25 febbraio 2009 n. 8613, hanno precisato che la fattispecie criminosa di cui all’art. 316-ter c.p. costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata (artt. 640 commi 1 e 2 n. 1 e 640-bis c.p.), essendo destinata a colpire condotte che non rientrano nel campo di operatività di queste ultime. Ne consegue che la semplice presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere non integra necessariamente il primo delitto (art. 316-ter c.p.) ma, quando ha natura fraudolenta, può configurare gli “artifici o raggiri” descritti nel paradigma della truffa e, unitamente al requisito della “induzione in errore”, può comportare la qualificazione del fatto ai sensi dell’artt. 640 o 640-bis c.p. (cfr. anche Cass. 6 luglio 2006 n. 23623).
La linea di discrimine tra il reato di cui all’art. 316-ter c.p e quello di cui all’art. 640-bis c.p. va, quindi, ravvisata nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato dell’effetto dell’induzione in errore del soggetto passivo, presente invece nel secondo. Occorre dunque guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo (o di altra erogazione): se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all’omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l’ente pubblico possa essere tratto in errore da tale condotta, è integrato il reato di cui all’art. 316-ter c.p.; se, invece, l’erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico è l’effetto di un’induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un’automatica conseguenza circa l’erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all’art. 640-bis c.p. (così Cass. 24 luglio 2007 n. 30155).
D’altra parte, anche il silenzio o il mendacio possono integrare l’elemento oggettivo del reato di truffa in relazione, il primo, all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e, il secondo, allo specifico affidamento che quella condotta può, ex lege” ingenerare (così Cass. 25 febbraio 2009 n. 8613). La valutazione sulla connotazione della condotta va comunque effettuata, caso per caso, dai giudici del merito e quando questi hanno congruamente motivato circa la ricorrenza in concreto degli elementi distintivi che definiscono il più grave reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, la qualificazione giuridica del fatto non è censurabile in sede di legittimità.
A fronte di tutto ciò, la sentenza in commento ha ritenuto correttamente assolto dai giudici di merito tale obbligo di motivazione attraverso l’osservazione che l’artificio rappresentato dall’allegazione di falsa documentazione era rafforzato dalla dichiarazione – presentata dall’imputata – volta ad avvalorare il dato non corrispondente al vero. Condotta che andava a rappresentare proprio l’elemento ulteriore finalizzato a indurre in errore il soggetto passivo.
/ Maurizio MEOLI
Nessun commento:
Posta un commento