Contenzioso
Condono sui processi compatibile con il diritto Ue
Nessun problema per l’IVA, non è una rinuncia all’imposizione
La Corte di Cassazione (sentenza n. 19333, depositata ieri) torna a pronunciarsi sulla compatibilità, con l’ordinamento comunitario, del condono IVA, con specifico riferimento alla definizione delle liti pendenti.
Infatti, la Suprema Corte stabilisce che in questa ipotesi lo Stato italiano non ha, di fatto, rinunciato all’imposizione, come avvenuto ad esempio nel “condono tombale”, confermando in tal modo quanto già detto con la precedente sentenza n. 3676 del 2010.
Per i giudici, la definizione delle liti pendenti segue una logica strumentale alla riduzione del contenzioso in atto, “secondo parametri rapportati allo stato della lite ed al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra contribuenti”.
Alla luce di tale ragionamento, l’art. 16 della L. 289/2002 non può essere disapplicato per contrasto con il diritto comunitario, anche perché i princìpi contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 2008 devono essere interpretati restrittivamente.
Questo discorso, sebbene riguardi, nello specifico, il condono del 2002, è tutt’altro che anacronistico, visto che il Legislatore, con l’art. 39, comma 12, del DL 98/2011, ha in sostanza riprodotto l’art. 16, circoscrivendone l’ambito di applicazione.
- l’atto deve essere stato emesso dall’Agenzia delle Entrate, quindi può riguardare l’IVA;
- il valore della lite non deve essere superiore a 20.000 euro, intendendosi per valore l’ammontare dell’imposta contestata in giudizio, al netto di sanzioni e interessi.
Peraltro, se, ove la questione sulla compatibilità con il diritto Ue finisse di nuovo in Corte di Cassazione, è ragionevole prevedere che i giudici non si discostino dall’orientamento richiamato, a nostro avviso non può essere altrettanto scontata la presa di posizione della Corte di Giustizia, che non si è ancora pronunciata ex professo sul punto.
Infatti, la Suprema Corte stabilisce che in questa ipotesi lo Stato italiano non ha, di fatto, rinunciato all’imposizione, come avvenuto ad esempio nel “condono tombale”, confermando in tal modo quanto già detto con la precedente sentenza n. 3676 del 2010.
Per i giudici, la definizione delle liti pendenti segue una logica strumentale alla riduzione del contenzioso in atto, “secondo parametri rapportati allo stato della lite ed al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra contribuenti”.
Alla luce di tale ragionamento, l’art. 16 della L. 289/2002 non può essere disapplicato per contrasto con il diritto comunitario, anche perché i princìpi contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 2008 devono essere interpretati restrittivamente.
Questo discorso, sebbene riguardi, nello specifico, il condono del 2002, è tutt’altro che anacronistico, visto che il Legislatore, con l’art. 39, comma 12, del DL 98/2011, ha in sostanza riprodotto l’art. 16, circoscrivendone l’ambito di applicazione.
Lo stesso discorso dovrebbe valere per il condono 2011
Ora, per le cause pendenti al primo maggio scorso, il contribuente può fruire del condono delle liti in presenza di due condizioni:- l’atto deve essere stato emesso dall’Agenzia delle Entrate, quindi può riguardare l’IVA;
- il valore della lite non deve essere superiore a 20.000 euro, intendendosi per valore l’ammontare dell’imposta contestata in giudizio, al netto di sanzioni e interessi.
Peraltro, se, ove la questione sulla compatibilità con il diritto Ue finisse di nuovo in Corte di Cassazione, è ragionevole prevedere che i giudici non si discostino dall’orientamento richiamato, a nostro avviso non può essere altrettanto scontata la presa di posizione della Corte di Giustizia, che non si è ancora pronunciata ex professo sul punto.
Nessun commento:
Posta un commento