Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
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Ricorsi Tributari

mercoledì 5 agosto 2015

Prima casa. La cessione all'ex coniuge evita la decadenza

5 agosto 2015


Sentenza della CTR di Roma in tema di vendita infraquinquennale in caso di cessazione del rapporto di coniugio

Deve ritenersi illegittima la revoca dell’agevolazione “prima casa”, se la vendita infraquinquennale è avvenuta nell’ambito degli accordi di separazione consensuale tra coniugi.
In particolare, l’Ufficio non può pretendere le imposte in misura ordinaria dalla moglie che, in ragione della fine del matrimonio, ha ceduto al marito l’intera proprietà dell’immobile per soddisfare le esigenze abitative del medesimo.
La revoca delle agevolazioni fiscali in caso di vendita infraquinquennale dell'immobile acquistato con l’agevolazione “prima casa” sottende alla ratio di scongiurare intenti elusivi e risparmi d'imposta: circostanze che non si riscontrano quando la stessa cessione sia l'effetto di un accordo separazione tra i coniugi.

È quanto emerge dalla sentenza n. 2331/04/15 della Commissione Tributaria Regionale di Roma.
Nel caso esaminato, l'Ufficio finanziario contestava il fatto che il 50% dell'immobile acquistato in comunione dei beni era stato successivamente ceduto, con altro atto oneroso stipulato prima dei 5 anni dal primo, da un coniuge all'altro, che ne diveniva proprietario al 100%. Ciò avveniva nell’ambito della separazione consensuale; e infatti nel ricorso al Tribunale si disponeva che “per quanto attiene la casa coniugale, acquistata in comproprietà dai coniugi, il signor […] si obbliga ad acquistare il 50% di proprietà della signora […], che dal suo canto si obbliga a vendere, al prezzo di 50.000,00 euro con accollo del residuo mutuo”. Stando così le cose, i giudici tributari della Capitale hanno ritenuto di poter annullare la rettifica dell’AdE.

La CTR capitolina, confermando la gravata decisione della CTP, ha motivato che, ai sensi degli art. 150 ss. C.c., mentre nel caso di separazione giudiziale è il provvedimento del giudice che disciplina compiutamente gli effetti patrimoniali della separazione, nel caso di separazione consensuale è prevista l'omologazione da parte del giudice degli accordi stabiliti dai coniugi (art. 158 C.c.). Nel caso di specie, “poiché la cessione di quota dell'immobile comune, con un corrispettivo preventivamente stabilito, era prevista nell'ambito del ‘Ricorso per la separazione consensuale dei coniugi’ diretto al tribunale civile di Roma e datato 16.9.2009 (cfr. p. 3: 2III. Per quanto attiene la casa coniugale, acquistata in comproprietà dai coniugi, il sig. [...] si obbliga ad acquistare il 50% della proprietà dalla sig.ra. [...], che dal suo canto si obbliga a vendere al prezzo di euro 50.000,00 e con accollo del residuo mutuo entro e non oltre la data del 15 dicembre 2009), non appare dubbio che tale cessione rientri nel contesto degli accordi stabiliti dai coniugi. La circostanza che nel verbale del 10/02/2010 dinanzi al presidente f.f., e nella sentenza di omologa del 22/02/2010, non si faccia esplicito riferimento alla cessione della abitazione coniugale (risultando barrata la voce relativa alla assegnazione della ‘casa familiare’) non esclude che tale cessione costituisca uno dei punti imprescindibili dell'accordi di separazione, essendo evidente che, quando fra due coniugi diventa ‘oggettivamente improseguibile la convivenza’ la principale questione che deve essere affrontata, sotto il profilo patrimoniale, è quella della proprietà e dell'assegnazione della abitazione acquistata in comunione.
Appare pertanto illegittima la revoca delle agevolazioni da parte dell'amministrazione finanziaria, effettuata in quanto la cessione della propria quota da parte della sig.ra. [...] al marito è avvenuta entro i cinque anni dall'acquisto. La ratio della previsione di revoca, nel caso di vendita infraquinquennale, appare quella di sanzionare operazioni elusive, che si potrebbero verificare ove il dichiarato uso abitativo non sia dimostrato dal mantenimento della proprietà dell'immobile per un congruo periodo di tempo: in un caso come quello di specie, le imprevedibili vicende dei rapporti personali fra coniugi non possono determinare la revoca delle agevolazioni fiscali, quando oltretutto l'immobile acquistato per l'esigenza di coabitazione familiare venga trasferito integralmente a uno dei coniugi, per soddisfare le esigenze abitative di questi. Sussistono pertanto i presupposti per il riconoscimento delle agevolazioni sopra richiamate, in conformità ai rilievi della corte costituzionale nella sentenza n. 154/1999”.
L’Ufficio finanziario è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

Redditometro: la Cassazione interviene Sentenza n. 15289 del 21/07/2015

5 agosto 2015


Sentenza n. 15289 del 21/07/2015

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15289 del 21/07/2015 ha stabilito importanti principi in tema di redditometro.
Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'art. 38, commi 4 e 5, D.P.R. 600/73 ed al D.M. 10-9-1992, aveva accertato sinteticamente il reddito di esso contribuente rispettivamente per gli anni 1997 e 1998. Tale accertamento si fondava sulle manifestate disponibilità economiche, e, in particolare, sull'acquisto (avvenuto nel febbraio 1998) di una azienda (tabaccheria), sul possesso di autovettura di grossa cilindrata e sulla disponibilità di immobili di residenza secondaria.

A sostegno del ricorso il contribuente aveva eccepito: che la tabaccheria era stata acquistata in parte in contanti e in parte con cambiali, e poi successivamente ceduta con accollo in capo all'acquirente degli effetti cambiari non ancora estinti; che gli immobili erano di esclusiva proprietà dei figli; che l'autovettura era di valore esiguo; che era tutore della madre ed usufruiva dei ratei di pensione della stessa; che nel 1997 aveva ricevuto in eredità delle somme di denaro.

La CTP accoglieva il ricorso.
La CTR invece accoglieva l'appello dell'Ufficio. Affermando che la determinazione del reddito effettuata sulla base del c.d. "redditometro" dispensava l'Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indice di maggior capacità contributiva individuati dal redditometro stesso, e poneva a carico del contribuente l'onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esisteva o esisteva in misura inferiore.

Ciò posto, la CTR rilevava che, in caso di disponibilità di immobili, l'effettiva capacità contributiva doveva essere individuata non solo in base alla mera proprietà degli stessi, ma valutando anche le spese sostenute a vario titolo per il loro mantenimento; che le somme di cui alla pensione della madre erano vincolate e finalizzate alla tutela della pensione; che l'autovettura e l'azienda risultavano intestati a esso contribuente, il quale non ne aveva dimostrato l'appartenenza a terzi o l'utilizzo da parte di altre persone.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente, sostenendo tra le altre cose che l'acquisto dell'azienda non poteva essere considerato tra gli indici di capacità contributiva previsti dal D.M. 10-9-1992, sicché non si era verificata alcuna inversione dell'onere probatorio.
Il motivo, secondo i giudici di legittimità, era infondato.
L'art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevedeva infatti, nel testo vigente ratione temporis, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi).
Nel procedere alla detta determinazione sintetica del reddito l'Ufficio doveva dunque valutare (secondo le modalità indicate nel D.M. 10-9-1992) la disponibilità di beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M., potendo comunque utilizzare anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli di cui alla tabella.
Dall'altro (quinto comma), l’Ufficio poteva esaminare le "spese per incrementi patrimoniali", cioè quelle sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente, dovendo essere aggiunta ai valori ottenuti in base alla disponibilità dei beni o servizi specificamente indicati l'eventuale quota relativa ad incrementi patrimoniali.
Correttamente, pertanto, l'Ufficio, in linea con le su riportate disposizioni, aveva proceduto alla determinazione sintetica del reddito del contribuente sommando ai valori di beni specificamente indicati nel citato decreto (autovettura e residenza secondaria) anche la spesa per incremento patrimoniale correlata all'acquisto dell'azienda.

Con altro motivo di ricorso il contribuente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 38, comma 5, D.P.R. 600/73, nonché dell'alt 1523 cc, sosteneva d’altro canto che nell'acquisto di azienda una parte del pagamento del prezzo era avvenuta non in contanti ma tramite cambiali, e quindi tramite una promessa di pagamento in futuro di una somma di denaro al momento non posseduta, sicché la spesa effettiva da assumere quale indice di capacità contributiva era solo quella effettivamente sostenuta, e non l'intero prezzo indicato nell'atto di compravendita.

Il motivo, in questo caso, era fondato, non essendo sufficiente, ai fini dell’accertamento sintetico, l'acquisto di un bene, ove lo stesso fosse stato pagato in parte in contanti ed in parte con emissione di cambiali.
Tale acquisto, infatti, per la detta parte (e cioè per la parte del corrispettivo pagata con cambiali) non comporta un'attuale erogazione di spesa per incrementi patrimoniali e, dunque, non costituisce effettiva ed attuale espressione di capacità economica. Il pagamento di un corrispettivo con cambiali non può infatti essere assimilato ad un pagamento in contanti, in quanto le cambiali costituiscono una promessa di pagamento futuro di una somma di denaro di cui il soggetto al momento dell'emissione non dispone (in senso conforme, sia pure per diversa ipotesi, Cass. 19030/2014).

Nell'ipotesi (quale quella di specie) di spese per incrementi patrimoniali, l'accertamento deve, infatti, basarsi sulla diretta dimostrazione della effettiva erogazione della spesa - costituente il fatto noto, manifestazione di ricchezza - da parte del contribuente in un determinato momento o arco di tempo (uno o più anni d'imposta), salva restando, ai sensi dell'art. 38 D.P.R. 600/73, comma 6, la prova contraria; occorre, in definitiva, dimostrare l'effettivo sostenimento di una spesa in uno o più periodi d'imposta ed applicare, quindi, il metodo di accertamento sintetico in relazione agli anni interessati; ne consegue, nella fattispecie in esame, che l'acquisto dell'azienda, pagata in parte in contanti (lire 140.000.000) e in parte (lire 349.500.000) con emissione di cambiali, non poteva essere per l'intero prezzo (lire 490.000.000), come invece risulta avere fatto l'Amministrazione, posta a base dell'accertamento sintetico.

lunedì 27 luglio 2015

Modello 770/2015: proroga anche per le certificazioni uniche - CU/2015

Modello 770/2015: proroga anche per le certificazioni uniche

 26 Luglio 2015 - 22:14

La proroga del modello 770/2015 comporta, automaticamente, lo slittamento del termine di scadenza delle certificazioni uniche dei lavoratori autonomi. Ecco le nuove scadenze ed i soggetti coinvolti.


Ormai mancano poche ore all’ufficialità della proroga al 21 settembre 2015 per il modello 770/2015, la cui scadenza al momento è sempre al 31 luglio 2015. Tale proroga inciderà direttamente anche su un altro adempimento: la trasmissione telematica delle certificazioni uniche (CU) relative a redditi non dichiarabili tramite il modello 730.
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Proroga al 21 settembre 2015 della trasmissione telematica certificazioni uniche

La scadenza originaria delle certificazioni uniche era fissata al 7 marzo. Tuttavia, con il comunicato stampa del 12 febbraio scorso e la circolare 6/E/2015, l’Agenzia delle entrate ha previsto, solo per il 2015, la proroga della scadenza delle certificazioni uniche. In risposta alle FAQ proposte dagli operatori del settore l’Agenzia delle Entrate ha poi esplicitato che il termine ultimo per la trasmissione delle certificazioni uniche è lo stesso del modello 770/2015 semplificato. In questo modo la scadenza delle certificazioni uniche è stata automaticamente prorogata al 31 luglio 2015, senza che si rischi di incorrere nelle sanzioni di 100 euro per ciascuna CU omessa, tardiva o errata. Di conseguenza, la proroga del modello 770/2015, richiesta a gran voce dagli ordini professionali, comporta l’automatico slittamento anche per la scadenza delle certificazioni uniche, per la gioia degli operatori del settore oberati dalla concentrazione eccessiva di tanti adempimenti nell’arco di poche settimane.
Come annunciato alla Camera dal viceministro dell’Economia Luigi Casero, il nuovo termine di scadenza per il modello 770/2015 e, quindi, per le certificazioni uniche sarà il 21 settembre 2015.

Scadenza certificazioni uniche e presentazione del modello cartaceo al percettore del compenso

Il termine di presentazione della certificazione unica rimane comunque sganciata da quello della relativa consegna del modello cartaceo al destinatario percettore del reddito. Quest’ultima rimane, in linea di principio, il 28 febbraio dell’anno successivo a quello cui il compenso si riferisce. La mancata coincidenza tra i due termini non comporta, in ogni caso, alcun ostacolo agli adempimenti dichiarativi da parte del percettore del reddito.

Proroga scadenza certificazioni uniche: soggetti coinvolti e prestazioni da certificare

La Certificazione Unica, a partire da quest’anno, sarà ricevuta anche dai lavoratori autonomi, al posto delle vecchie certificazioni dei compensi, che fino allo scorso anno venivano rilasciate dai sostituti d’imposta in forma libera.
Per questi soggetti, la Certificazione Unica è fondamentale per poter verificare le ritenute d’acconto subite nell’anno precedente, in modo da poterle portare a riduzione delle imposte dovute nel 2014 all’interno del modello Unico.
Così come elencato dalle istruzioni ministeriali, le tipologie di prestazioni da certificare riguardano:
A – prestazioni di lavoro autonomo rientranti nell’esercizio di arte o professione abituale;
B – utilizzazione economica, da parte dell’autore o dell’inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico;
C – utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione e da contratti di cointeressenza, quando l’apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro;
D – utili spettanti ai soci promotori ed ai soci fondatori delle società di capitali;
E – levata di protesti cambiari da parte dei segretari comunali;
G – indennità corrisposte per la cessazione di attività sportiva professionale;
H – indennità corrisposte per la cessazione dei rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società di persone con esclusione delle somme maturate entro il 31 dicembre 2003, già imputate per competenza e tassate come reddito d’impresa;
I – indennità corrisposte per la cessazione da funzioni notarili;
L – redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, che sono percepiti dagli aventi causa a titolo gratuito (ad es. eredi e legatari dell’autore e inventore);
L1 – redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, che sono percepiti da soggetti che abbiano acquistato a titolo oneroso i diritti alla loro utilizzazione;
M – prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente;
M1 – redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, di non fare o permettere;
N – indennità di trasferta, rimborso forfetario di spese, premi e compensi erogati: – nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche; – in relazione a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche e di cori, bande e filodrammatiche da parte del direttore e dei collaboratori tecnici;
O – prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, per le quali non sussiste l’obbligo di iscrizione alla gestione separata (Circ. INPS n. 104/2001);
O1 – redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, di non fare o permettere, per le quali non sussiste l’obbligo di iscrizione alla gestione separata (Circ. INPS n. 104/2001);
P – compensi corrisposti a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche che si trovano nel territorio dello Stato ovvero a società svizzere o stabili organizzazioni di società svizzere che possiedono i requisiti di cui all’art. 15, comma 2 dell’Accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera del 26 ottobre 2004 (pubblicato in G.U.C.E. del 29 dicembre 2004 n. L385/30);
Q – provvigioni corrisposte ad agente o rappresentante di commercio monomandatario;
R – provvigioni corrisposte ad agente o rappresentante di commercio plurimandatario;
S – provvigioni corrisposte a commissionario;
T – provvigioni corrisposte a mediatore;
U – provvigioni corrisposte a procacciatore di affari;
V – provvigioni corrisposte a incaricato per le vendite a domicilio; provvigioni corrisposte a incaricato per la vendita porta a porta e per la vendita ambulante di giornali quotidiani e periodici (L. 25 febbraio 1987, n. 67);
V1 – redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (ad esempio, provvigioni corrisposte per prestazioni occasionali ad agente o rappresentante di commercio, mediatore, procacciatore d’affari o incaricato per le vendite a domicilio);
W – corrispettivi erogati nel 2014 per prestazioni relative a contratti d’appalto cui si sono resi applicabili le disposizioni contenute nell’art. 25-ter del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973;
X – canoni corrisposti nel 2004 da società o enti residenti ovvero da stabili organizzazioni di società estere di cui all’art. 26-quater, comma 1, lett. a) e b) del D.P.R. 600 del 29 settembre 1973, a società o stabili organizzazioni di società, situate in altro stato membro dell’Unione Europea in presenza dei requisiti di cui al citato art. 26-quater, del D.P.R. 600 del 29 settembre 1973, per i quali è stato effettuato, nell’anno 2006, il rimborso della ritenuta ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 30 maggio 2005 n. 143;
Y – canoni corrisposti dal 1° gennaio 2005 al 26 luglio 2005 da società o enti residenti ovvero da stabili organizzazioni di società estere di cui all’art. 26-quater, comma 1, lett. a) e b) del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, a società o stabili organizzazioni di società, situate in altro stato membro dell’Unione Europea in presenza dei requisiti di cui al citato art. 26-quater, del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, per i quali è stato effettuato, nell’anno 2006, il rimborso della ritenuta ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 30 maggio 2005 n. 143;
Z – titolo diverso dai precedenti.

lunedì 20 luglio 2015

I termini per la notifica della cartella esattoriale



L’Agente della riscossione deve notificare la cartella esattoriale entro certi termini, di prescrizione e/o di decadenza. Se questi termini non sono rispettati, la cartella può essere impugnata dinanzi al Giudice competente.

I termini di decadenza e di prescrizione: nozione

La cartella esattoriale deve essere notificata entro termini ben precisi.
Questi termini si distinguono in termini di decadenza e termini di prescrizione.
I termini di decadenza, ove non rispettati, comportano la perdita della possibilità di esercitare un determinato potere. Ad esempio, nel caso della cartella esattoriale notificata oltre il termine di decadenza, l’ente creditore perde il potere di procedere alla riscossione tramite ruolo.
Resta salvo, tuttavia, il credito preteso, che potrebbe essere recuperato mediante le procedure ordinarie previste dal codice di procedura civile, quali ad esempio il ricorso per decreto ingiuntivo.
I termini di decadenza non possono essere sospesi né interrotti (a differenza dei termini di prescrizione). In altre parole, la decadenza è impedita solo dal compimento dell’atto previsto dalla legge (o dall’accordo delle parti).
I termini di prescrizione, invece, ove non rispettati, comportano l’estinzione del diritto. Una volta decorsa la prescrizione, pertanto, l’ente creditore non può più chiedere il pagamento né tramite ruolo né tramite altre procedure.
I termini di prescrizione possono essere sospesi o interrotti. Ad esempio, interrompe la prescrizione la richiesta di pagamento o il riconoscimento del debito da parte del debitore. Dal giorno dell’interruzione, inizia a decorrere ex novo il termine di prescrizione.
In materia di riscossione tramite ruolo, i termini di prescrizione e di decadenza sono diversi a seconda del tipo di credito per cui si procede.

Le imposte sul reddito

Termini di prescrizione

I tributi erariali (IRPEF, IRAP, IVA,..) si prescrivono nel termine di dieci anni dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell’ultimo atto interruttivo, tempestivamente notificato al contribuente (articolo 2946 del Codice civile[1]).
In proposito la Cassazione ha specificato che a questi crediti non può applicarsi la prescrizione breve di cinque anni, prevista dall’articolo 2948 n. 4 del Codice civile[2] per le cosiddette “prestazioni periodiche”.
I crediti erariali, infatti, non possono considerarsi “prestazioni periodiche”, in quanto derivano anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi. In altre parole, i singoli periodi di imposta e le relative obbligazioni sono tra loro autonomi e manca dunque la “causa debendi continuativa”, che caratterizza le prestazioni periodiche.
Vale, quindi, il termine ordinario di dieci anni, in mancanza di altra disposizione speciale (Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 23 febbraio 2010, n. 4283).

I nuovi termini di decadenza

In materia di imposte sul reddito, l’articolo 25 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che la cartella esattoriale deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
  1. del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
  2. del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36 ter del citato D.P.R. n. 600 del 1973;
  3. del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio.
Questi termini sono stati introdotti dal Decreto Legge del 17 giugno 2005, n. 106, articolo 1, comma 5 ter, che ha modificato il citato articolo 25.
Essi, tuttavia, valgono anche per le cartelle notificate anteriormente all’entrata in vigore del Decreto Legge del 17 giugno 2005, n. 106.
Ciò in base ai principi affermati dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 30 novembre 2005, secondo cui i nuovi termini previsti dal citato articolo 25 hanno efficacia retroattiva, salvo il particolare regime transitorio previsto per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di seguito esposto.

Il regime transitorio

Il legislatore ha previsto un regime transitorio per le dichiarazioni presentate fino all’anno 2003.
Tale regime si riferisce esclusivamente alle somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni di cui all’articolo 36 bis del D.P.R. n. 600/1973.
In questi casi, ai sensi dell’articolo 1, comma 5 bis, del Decreto Legge del 17 giugno 2005, n. 106, la cartella di pagamento è notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
  • del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate a partire dal 1 gennaio 2004;
  • del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003;
  • del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001.

I tributi locali

Termini di prescrizione

I tributi locali si prescrivono nel termine di cinque anni dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell’ultimo atto interruttivo tempestivamente notificato al contribuente (articolo 2948 n. 4 del Codice civile).
L’applicazione del termine breve di cinque anni (in luogo di quello ordinario di dieci anni) è stata affermata dalla Cassazione con sentenza del 23 febbraio 2010.
In particolare la Cassazione sostiene che i tributi locali (a differenza di quelli erariali) sono “prestazioni periodiche” e, come tali, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2948 n. 4 del Codice civile, che stabilisce appunto la prescrizione quinquennale.
I tributi locali (tassa per lo smaltimento rifiuti, per l’occupazione di suolo pubblico, per concessione di passo carrabile, contributi di bonifica) – dice la Corte – sono “elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzati da una ‘causa debendi’ di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo in relazione alla quale l’utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall’ente impositore, o dal beneficio dallo stesso concesso” (Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 23 febbraio 2010, n. 4283).

Termini di decadenza per la notifica dell’avviso di accertamento

Prima della cartella esattoriale, il contribuente deve ricevere un avviso di accertamento motivato (Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, commi 161 e 162[3]).
Fanno eccezione alcuni tributi, quale la TARSU, per i quali, non essendo prevista una denuncia annuale, non è neppure prevista la notifica dell’avviso di accertamento.
Tributi successivi al 1 gennaio 2007
A partire dal 1 gennaio 2007, per effetto della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 161, gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.
Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni.
Tributi anteriori al 1 gennaio 2007
Il suddetto termine quinquennale è stato introdotto dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296, in vigore dal 1 gennaio 2007.
Per i tributi locali relativi agli anni anteriori al 2007, le nuove regole si applicano solo se i rapporti di imposta erano ancora pendenti alla data del 1 gennaio 2007, ossia se a tale data non erano ancora decorsi i previgenti termini previsti dall’articolo 71 del Decreto Legislativo n. 507/1993.
Ciò in base al comma 171, dell’articolo 1 della Legge n. 296, secondo cui: “Le norme di cui ai commi da 161 a 170 si applicano anche ai rapporti di imposta pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Al contrario, per i rapporti di imposta non più pendenti alla data del 1 gennaio 2007 valgono i termini in precedenza vigenti (previsti dall’articolo 71 del Decreto Legislativo n. 507/1993), ossia:
  • in caso di denuncia infedele o incompleta, il Comune deve notificare un avviso di accertamento in rettifica entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa, a pena di decadenza.
  • in caso di omessa denuncia, il Comune deve notificare l’avviso di accertamento d’ufficio entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata, a pena di decadenza.

Il termine di decadenza per l’iscrizione a ruolo

Dopo l’avviso di accertamento, l’ente creditore iscrive il credito a ruolo.
Entro quali termini?
Si ritiene tacitamente abrogato il termine annuale di decadenza previsto per l’iscrizione a ruolo dall’articolo 72[4] del Decreto Legislativo n. 507/93.
Tale abrogazione ha effetto dal 1 gennaio 2007, per effetto della entrata in vigore della Legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Se, dunque, si riceve una cartella per tributi locali relativi ad anni anteriori al 2007, è bene verificare che il Comune abbia effettuato l’iscrizione a ruolo entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo. Altrimenti si può eccepire la decadenza ai sensi dell’articolo 72 citato, allora vigente.
Successivamente al 1 gennaio 2007, non rileva la data dell’iscrizione a ruolo.

Termini di decadenza per la notifica della cartella

Dopo l’avviso di accertamento e l’iscrizione a ruolo, è prevista la notifica della cartella esattoriale tramite l’Agente della riscossione.
Entro quali termini?
Il Decreto Legge n. 106/2005, che ha modificato l’articolo 25 del D.P.R. n. 602/1973, non si riferisce ai tributi locali.
A colmare la lacuna è intervenuta la finanziaria del 2007 (Legge del 27 dicembre 2006, n. 296, comma 163) che ha stabilito:
“Per la riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo (cartella o ingiunzione) deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo”.
In mancanza di un atto di accertamento (come nel caso di omesso pagamento della TARSU), il termine suindicato coincide con la fine del terzo anno successivo a quello nel quale fu presentata la denuncia, o a quello per il quale la tassa è dovuta (Corte di Cassazione, sentenza n. 10590 del 9 maggio 2007, secondo cui “il titolo derivante dalla dichiarazione del contribuente equivale all’accertamento definitivo”).
La norma si applica ai rapporti d’imposta “pendenti” al 1° gennaio 2007, data d’entrata in vigore della legge (comma 171).

Le sanzioni amministrative

Termini di prescrizione

Per le sanzioni amministrative, quali ad esempio quelle previste dal Codice della strada, il termine di prescrizione è di cinque anni dalla data dell’infrazione (articolo 28 della Legge n. 689/81: “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”).
La corretta notifica del verbale di accertamento (che necessariamente precede la cartella) interrompe il termine facendolo ripartire ex novo.

Termini di decadenza

Dal 1° gennaio 2008, per le sanzioni amministrative relative a violazioni del Codice della strada, di spettanza comunale, la cartella deve essere notificata entro due anni dalla consegna del ruolo, a pena di decadenza.
Ciò in forza dell’articolo 1, comma 153, della Legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), che ha modificato l’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per il quale: “A decorrere dal 1º gennaio 2008 gli agenti della riscossione non possono svolgere attività finalizzate al recupero di somme, di spettanza comunale, iscritte in ruoli relativi a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per i quali, alla data dell’acquisizione di cui al comma 7, la cartella di pagamento non era stata notificata entro due anni dalla consegna del ruolo».
Si noti bene che la norma fa riferimento alle sanzioni di spettanza comunale. Il termine di due anni, quindi, vale per le “multe” elevate, ad esempio, dalla Polizia Municipale, e non per quelle elevate dalla Polizia Stradale, dai Carabinieri, dalla Polizia Provinciale e da altre autorità abilitate che non fanno capo al Comune.

I crediti contributivi

Termini di prescrizione

La Legge 335/95 (entrata in vigore il 17 agosto 1995) ha modificato i termini di prescrizione in materia contributiva, effettuando delle distinzioni tra i crediti relativi ai periodi antecedenti il 1 gennaio 1996 e quelli relativi ai periodi successivi.
Contributi successivi al 1 gennaio 1996
Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono nei seguenti termini:
a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall’articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti;
b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.
Contributi anteriori al 1 gennaio 1996
Per le contribuzioni relative a periodi precedenti al 1 gennaio 1996 (data fissata dalla legge 335/95 per la decorrenza del nuovo termine di prescrizione di cinque anni, in luogo del vecchio termine di dieci anni) bisogna fare le seguenti distinzioni:
  1. se è stato compiuto un atto interruttivo prima del 17 agosto 1995, si applica il termine decennale, a cui va aggiunto un termine di tre anni per la sospensione prevista dalla legge 11 novembre 1983 n. 638. Quindi possono essere recuperati i contributi IVS risalenti ai tredici anni precedenti (Cassazione, sentenza del 7.1.2004 n. 46);
  2. se è stato compiuto un atto interruttivo tra il 17 agosto 1995 ed il 31 dicembre 1995, il recupero dei contributi potrà retroagire per dieci anni;
  3. se non è stato compiuto alcun atto interruttivo, si applicano i nuovi termini introdotti dalla Legge 335/95.
I contributi minori
I contributi minori (DS, TBC, ENAOLI, SSN, etc .) si prescrivono in cinque anni anche a seguito della legge n. 335/1995, in quanto nulla è cambiato rispetto alle precedenti disposizioni.
Per i contributi dovuti da artigiani, da esercenti attività commerciali e da lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata si applicano i termini introdotti dalla citata legge n. 335/1995.
Facciamo una precisazione riguardo il giorno da cui decorre il termine prescrizionale previsto per la contribuzione dovuta sulla quota di reddito eccedente il minimale imponibile di cui alla legge n. 233/1990: il termine prescrizionale decorre dal giorno in cui i contributi in argomento dovevano essere corrisposti secondo la normativa vigente e, quindi, dal giorno in cui doveva essere versato il saldo risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’anno di riferimento.

Termini di decadenza

Nel procedimento di riscossione mediante ruolo dei crediti contributivi, l’unico termine di decadenza previsto dalla legge riguarda l’obbligo di rendere esecutivo il ruolo.
In particolare l’INPS ha l’obbligo di rendere esecutivi i ruoli entro (articolo 25 del Decreto Legislativo n. 46/99):
  • il 31 dicembre dell’anno successivo al termine fissato per il versamento, per i contributi o premi non versati dal debitore; in caso di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre dalla data di conoscenza da parte dell’ente;
  • il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici;
  • il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto definitivo per quelli sottoposti a gravame giudiziario.
I suddetti termini decadenziali hanno decorrenza per le debenze maturate dopo l’1.1.2001 (articolo 1, comma 20, del Decreto Legge n. 346/2000).
Ma cosa vuol dire “rendere esecutivo il ruolo”?
Ai sensi dell’articolo 12, comma 4, del D.P.R. n. 602/73 il ruolo (ossia l’elenco dei debitori formato dall’INPS dopo la scadenza dei termini di pagamento) è reso esecutivo mediante la sottoscrizione da parte del titolare dell’ufficio o di un suo delegato[5].
La data in cui il ruolo è reso esecutivo deve essere riportata nella successiva cartella di pagamento in modo da consentire al contribuente di conoscere e verificare la tempestività dell’adempimento (articolo 25, comma 2 bis, del D.P.R. 602/73[6], inserito dall’articolo 8, del Decreto legislativo del 26 gennaio 2001, n. 32).
Questa regola si applica ai ruoli resi esecutivi a decorrere dal 1° luglio 2001 (articolo 8, comma 3, del Decreto legislativo del 26 gennaio 2001, n. 32).
Una volta reso esecutivo il ruolo, questo viene consegnato all’Agente della riscossione affinchè proceda alla notifica della cartella esattoriale, che vale anche come notifica del ruolo.
Non è previsto un termine di decadenza per la notifica della cartella avente ad oggetto crediti contributivi. L’unico termine da rispettare è quindi quello di prescrizione, sopra indicato.

Il mancato rispetto dei termini

Se i termini sopra indicati non sono rispettati, si può contestare la cartella, eccependo:
  • la decadenza dal potere di procedere alla riscossione coattiva tramite ruolo, nel caso si tratti di termini di decadenza.
    In proposito segnaliamo un’altra tesi, secondo cui il mancato rispetto dei termini di decadenza comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di avvalersi dello strumento del recupero mediante ruolo (sistema più favorevole all’ente impositore) rimanendo tuttavia intatta la possibilità di agire secondo le norme del Codice di procedura civile, comunque entro i termini di prescrizione del credito.
    Ad esempio, secondo questa tesi, l’ente creditore, decaduto dalla possibilità di riscuotere mediante ruolo, potrebbe ancora proporre ricorso per decreto ingiuntivo oppure un ricorso ordinario o una citazione per l’accertamento e la condanna del debitore al pagamento delle somme dovute.
  • l’estinzione del credito preteso, nel caso si tratti di termini di prescrizione.
Per contestare la cartella è necessario fare ricorso al Giudice competente.

Note
  1. ^ Art. 2946. Prescrizione ordinaria: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
  2. ^Art. 2948. Prescrizione di cinque anni: “Si prescrivono in cinque anni: <….> 4) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
  3. ^ Art. 1, co. 161: “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonchè all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni.
    162. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Gli avvisi devono contenere, altresi’, l’indicazione dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato, del responsabile del procedimento, dell’organo o dell’ autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela, delle modalità, del termine e dell’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, nonchè il termine di sessanta giorni entro cui effettuare il relativo pagamento. Gli avvisi sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo”.
  4. ^Art. 72. Riscossione: “1. L’importo del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, liquidato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, delle denunce presentate e degli accertamenti notificati nei termini di cui all’art. 71, comma 1, è iscritto a cura del funzionario responsabile di cui all’articolo 74 in ruoli principali ovvero, con scadenze successive, nei ruoli suppletivi, da formare e consegnare all’intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 15 dicembre di ciascun anno <….>”.
  5. ^12. Formazione e contenuto dei ruoli:
    “1. L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce.
    2. Con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono stabiliti i dati che il ruolo deve contenere, i tempi e le procedure della sua formazione, nonché le modalità dell’intervento in tali procedure del consorzio nazionale obbligatorio fra i concessionari.
    3. Nel ruolo devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione.
    4. Il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato. Con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”.
  6. ^Articolo 25. Cartella di pagamento: “<…> 2-bis. La cartella di pagamento contiene anche l’indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo”.
 25 settembre 2014

Contributi Inps non dovuti se l'accertamento fiscale e' contestato




 
















Il Tribunale di Milano, sez. lavoro, con la sentenza del 05 maggio 2015 n. 1353, si e' espresso in merito alla vicenda di un imprenditore che, a seguito di un accertamento fiscale, si era visto pretendere maggiori contributi previdenziali da parte dell'Inps. Dopo attenta analisi il Tribunale ha stabilito che l'Inps non può pretendere maggiori contributi previdenziali derivanti da un accertamento fiscale finche' quest'ultimo risulti impugnato dal contribuente. Ha quindi annullato le pretese dell'Inps nei confronti dell'imprenditore.

lunedì 29 giugno 2015

domenica 28 giugno 2015

Addio cartella Equitalia senza criteri di calcolo dell’imposta




Cartelle di pagamento di Equitalia ancora incomplete perché prive dei criteri di calcolo usati dall’Agente della riscossione esattoriale per recuperare le imposte: la CTR di Catanzaro annulla la richiesta di pagamento di Equitalia.

È nulla la cartella di pagamento di Equitalia priva delle modalità di calcolo usate dall’amministrazione finanziaria per il recupero d’imposta. Lo ha affermato, in una recente sentenza, la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro [1] che, così facendo, ha accolto la richiesta di un contribuente che chiedeva l’annullamento della cartella di Equitalia.

Ancora una volta, nel mirino dei giudici tributari, c’è la cartella esattoriale di Equitalia: la sua ricorrente incompletezza e la scarsa trasparenza rispetto ai formati “standard” richiesti dalla legge non garantiscono al cittadino il controllo e l’eventuale diritto di difesa. L’invalidità dell’atto sussiste a maggior ragione quando la cartella di pagamento non è stato preceduto dall’accertamento inviato dall’Agenzia delle Entrate.

Già più volte la stessa Cassazione, con una linea interpretativa ormai consolidata, ha raccomandato ad Equitalia di motivare espressamente le proprie cartelle prima della notifica al contribuente: il che significa non solo indicare le modalità di calcolo degli interessi, il saggio applicato e l’importo per ciascuna annualità, ma anche una chiara e dettagliata motivazione delle cartelle con cui si effettua il recupero d’imposta. Non spetta, infatti, al cittadino dover ricostruire le ragioni per cui il fisco bussa alla sua porta; non deve essere il contribuente a tentare di interpretare gli elementi offerti in forma criptica dalla cartella di pagamento.

Capita poi che, in alcuni casi, la cartella esattoriale di Equitalia non sia preceduta da alcun avviso di accertamento: ebbene, a maggior ragione in casi come questi, essa deve riportare in modo analitico gli addebiti, la causale, la descrizione e l’indicazione di come sono stati effettuati i calcoli e i motivi che hanno portato al recupero del rimborso. Diversamente deve essere annullata dal giudice.

 [1] CTR Catanzaro sent. n. 917 del 9.06.2015.

mercoledì 24 giugno 2015

Equitalia: cancellati i ruoli fino a 2mila euro



Le cartelle che non hanno dato luogo ad alcuna attività di riscossione o di transazione o dilazione devono essere discaricate (annullate): pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia.
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Anche se con un netto ritardo dal varo della normativa [1] che disponeva la rottamazione (o meglio, l’annullamento) dei ruoli affidati ad Equitalia fino al 2000, finalmente ieri è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze [2]: in particolare il provvedimento disciplina le modalità operative con cui dovrà avvenire il discarico dei ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 (con conseguente rimborso ad Equitalia delle relative spese sostenute per le procedure esecutive avviate).
Ricordiamo che la norma in questione ha stabilito la rottamazione dei ruoli di importo fino a 2mila euro e il discarico, da parte di Equitalia e degli altri agenti della riscossione, per quelli di importo superiore.
In particolare:

– i crediti di importo fino a 2mila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati. In forza di ciò, Equitalia è tenuta a inviare, all’ente titolare del credito, l’elenco dei ruoli minori in via telematica. Tali importi così comunicati vengono automaticamente discaricati;
– anche i ruoli di importo superiore a 2mila euro – iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 – devono essere discaricati dagli agenti e così tornare nella disponibilità degli enti titolari del diritto di credito.
In tali casi si tratta, nel dettaglio, di quelle somme che, alla data di entrata in vigore del decreto, non hanno dato luogo a procedure esecutive esattoriali, o per le quali non pendono ricorsi avviati dal contribuente, o non sono stati oggetto di accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali e previdenziali, da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte, ovvero, da dilazioni in corso.

In pratica, con riferimento ai crediti di importo superiore a 2mila euro, se successivamente alla data di entrata in vigore del decreto pubblicato ieri le somme in questione non sono state integralmente riscosse per effetto di procedure di espropriazione o di pignoramento già avviate da Equitalia, o attraverso eventuali piani di rateazione concessi al contribuente o a seguito della definizione degli accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali e previdenziali, di fallimenti o altre procedure concorsuali, o di contenzioso pendente, sono inserite in un elenco trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività.
Al contrario, restano, invece, in gestione ad Equitalia le somme (e le relative cartelle) interessate da uno qualsiasi dei procedimenti sopra elencati.

Tuttavia, qualora successivamente all’entrata in vigore del decreto, l’ente di riscossione dovesse verificare l’impossibilità di incassare le predette somme, le stesse saranno trasmesse in un elenco all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività di recupero.
 [1] Legge n. 228/2012 commi 527 e 528 dell’art.1.
[2] Gazz. Uff. n. 142 del 23.06.15.

Fonte: Sole24Ore

Equitalia: cancellati i ruoli fino a 2mila euro

Le cartelle che non hanno dato luogo ad alcuna attività di riscossione o di transazione o dilazione devono essere discaricate (annullate): pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia.
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Anche se con un netto ritardo dal varo della normativa [1] che disponeva la rottamazione (o meglio, l’annullamento) dei ruoli affidati ad Equitalia fino al 2000, finalmente ieri è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze [2]: in particolare il provvedimento disciplina le modalità operative con cui dovrà avvenire il discarico dei ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 (con conseguente rimborso ad Equitalia delle relative spese sostenute per le procedure esecutive avviate).
Ricordiamo che la norma in questione ha stabilito la rottamazione dei ruoli di importo fino a 2mila euro e il discarico, da parte di Equitalia e degli altri agenti della riscossione, per quelli di importo superiore.
In particolare:

– i crediti di importo fino a 2mila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati. In forza di ciò, Equitalia è tenuta a inviare, all’ente titolare del credito, l’elenco dei ruoli minori in via telematica. Tali importi così comunicati vengono automaticamente discaricati;
– anche i ruoli di importo superiore a 2mila euro – iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 – devono essere discaricati dagli agenti e così tornare nella disponibilità degli enti titolari del diritto di credito.
In tali casi si tratta, nel dettaglio, di quelle somme che, alla data di entrata in vigore del decreto, non hanno dato luogo a procedure esecutive esattoriali, o per le quali non pendono ricorsi avviati dal contribuente, o non sono stati oggetto di accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali e previdenziali, da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte, ovvero, da dilazioni in corso.

In pratica, con riferimento ai crediti di importo superiore a 2mila euro, se successivamente alla data di entrata in vigore del decreto pubblicato ieri le somme in questione non sono state integralmente riscosse per effetto di procedure di espropriazione o di pignoramento già avviate da Equitalia, o attraverso eventuali piani di rateazione concessi al contribuente o a seguito della definizione degli accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali e previdenziali, di fallimenti o altre procedure concorsuali, o di contenzioso pendente, sono inserite in un elenco trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività.
Al contrario, restano, invece, in gestione ad Equitalia le somme (e le relative cartelle) interessate da uno qualsiasi dei procedimenti sopra elencati.

Tuttavia, qualora successivamente all’entrata in vigore del decreto, l’ente di riscossione dovesse verificare l’impossibilità di incassare le predette somme, le stesse saranno trasmesse in un elenco all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività di recupero.
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[1] Legge n. 228/2012 commi 527 e 528 dell’art.1.
[2] Gazz. Uff. n. 142 del 23.06.15.

Fonte: Sole24Ore
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Ricordiamo che la norma in questione ha stabilito la rottamazione dei ruoli di importo fino a 2mila euro e il discarico, da parte di Equitalia e degli altri agenti della riscossione, per quelli di importo superiore.
In particolare:

– i crediti di importo fino a 2mila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati. In forza di ciò, Equitalia è tenuta a inviare, all’ente titolare del credito, l’elenco dei ruoli minori in via telematica. Tali importi così comunicati vengono automaticamente discaricati;
– anche i ruoli di importo superiore a 2mila euro – iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 – devono essere discaricati dagli agenti e così tornare nella disponibilità degli enti titolari del diritto di credito.
In tali casi si tratta, nel dettaglio, di quelle somme che, alla data di entrata in vigore del decreto, non hanno dato luogo a procedure esecutive esattoriali, o per le quali non pendono ricorsi avviati dal contribuente, o non sono stati oggetto di accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali e previdenziali, da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte, ovvero, da dilazioni in corso.

In pratica, con riferimento ai crediti di importo superiore a 2mila euro, se successivamente alla data di entrata in vigore del decreto pubblicato ieri le somme in questione non sono state integralmente riscosse per effetto di procedure di espropriazione o di pignoramento già avviate da Equitalia, o attraverso eventuali piani di rateazione concessi al contribuente o a seguito della definizione degli accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali e previdenziali, di fallimenti o altre procedure concorsuali, o di contenzioso pendente, sono inserite in un elenco trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività.
Al contrario, restano, invece, in gestione ad Equitalia le somme (e le relative cartelle) interessate da uno qualsiasi dei procedimenti sopra elencati.

Tuttavia, qualora successivamente all’entrata in vigore del decreto, l’ente di riscossione dovesse verificare l’impossibilità di incassare le predette somme, le stesse saranno trasmesse in un elenco all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività di recupero.
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[1] Legge n. 228/2012 commi 527 e 528 dell’art.1.
[2] Gazz. Uff. n. 142 del 23.06.15.

Fonte: Sole24Ore
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– i crediti di importo fino a 2mila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati. In forza di ciò, Equitalia è tenuta a inviare, all’ente titolare del credito, l’elenco dei ruoli minori in via telematica. Tali importi così comunicati vengono automaticamente discaricati;
– anche i ruoli di importo superiore a 2mila euro – iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 – devono essere discaricati dagli agenti e così tornare nella disponibilità degli enti titolari del diritto di credito.
In tali casi si tratta, nel dettaglio, di quelle somme che, alla data di entrata in vigore del decreto, non hanno dato luogo a procedure esecutive esattoriali, o per le quali non pendono ricorsi avviati dal contribuente, o non sono stati oggetto di accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali e previdenziali, da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte, ovvero, da dilazioni in corso.

In pratica, con riferimento ai crediti di importo superiore a 2mila euro, se successivamente alla data di entrata in vigore del decreto pubblicato ieri le somme in questione non sono state integralmente riscosse per effetto di procedure di espropriazione o di pignoramento già avviate da Equitalia, o attraverso eventuali piani di rateazione concessi al contribuente o a seguito della definizione degli accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali e previdenziali, di fallimenti o altre procedure concorsuali, o di contenzioso pendente, sono inserite in un elenco trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività.
Al contrario, restano, invece, in gestione ad Equitalia le somme (e le relative cartelle) interessate da uno qualsiasi dei procedimenti sopra elencati.

Tuttavia, qualora successivamente all’entrata in vigore del decreto, l’ente di riscossione dovesse verificare l’impossibilità di incassare le predette somme, le stesse saranno trasmesse in un elenco all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività di recupero.
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[1] Legge n. 228/2012 commi 527 e 528 dell’art.1.
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Equitalia: cancellati i ruoli fino a 2mila euro

Le cartelle che non hanno dato luogo ad alcuna attività di riscossione o di transazione o dilazione devono essere discaricate (annullate): pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia.
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Anche se con un netto ritardo dal varo della normativa [1] che disponeva la rottamazione (o meglio, l’annullamento) dei ruoli affidati ad Equitalia fino al 2000, finalmente ieri è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze [2]: in particolare il provvedimento disciplina le modalità operative con cui dovrà avvenire il discarico dei ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 (con conseguente rimborso ad Equitalia delle relative spese sostenute per le procedure esecutive avviate).
Ricordiamo che la norma in questione ha stabilito la rottamazione dei ruoli di importo fino a 2mila euro e il discarico, da parte di Equitalia e degli altri agenti della riscossione, per quelli di importo superiore.
In particolare:

– i crediti di importo fino a 2mila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati. In forza di ciò, Equitalia è tenuta a inviare, all’ente titolare del credito, l’elenco dei ruoli minori in via telematica. Tali importi così comunicati vengono automaticamente discaricati;
– anche i ruoli di importo superiore a 2mila euro – iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999 – devono essere discaricati dagli agenti e così tornare nella disponibilità degli enti titolari del diritto di credito.
In tali casi si tratta, nel dettaglio, di quelle somme che, alla data di entrata in vigore del decreto, non hanno dato luogo a procedure esecutive esattoriali, o per le quali non pendono ricorsi avviati dal contribuente, o non sono stati oggetto di accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali e previdenziali, da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte, ovvero, da dilazioni in corso.

In pratica, con riferimento ai crediti di importo superiore a 2mila euro, se successivamente alla data di entrata in vigore del decreto pubblicato ieri le somme in questione non sono state integralmente riscosse per effetto di procedure di espropriazione o di pignoramento già avviate da Equitalia, o attraverso eventuali piani di rateazione concessi al contribuente o a seguito della definizione degli accordi di ristrutturazione, di transazioni fiscali e previdenziali, di fallimenti o altre procedure concorsuali, o di contenzioso pendente, sono inserite in un elenco trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività.
Al contrario, restano, invece, in gestione ad Equitalia le somme (e le relative cartelle) interessate da uno qualsiasi dei procedimenti sopra elencati.

Tuttavia, qualora successivamente all’entrata in vigore del decreto, l’ente di riscossione dovesse verificare l’impossibilità di incassare le predette somme, le stesse saranno trasmesse in un elenco all’ente creditore entro due mesi dalla conclusione delle attività di recupero.
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[1] Legge n. 228/2012 commi 527 e 528 dell’art.1.
[2] Gazz. Uff. n. 142 del 23.06.15.

Fonte: Sole24Ore
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