manovra correttiva
Stretta per i beni d’impresa in uso ai soci
Diventa reddito diverso il valore di mercato connesso all’utilizzo quando non è stato previsto un corrispettivo specifico
/ Venerdì 02 settembre 2011
La bozza di emendamento al DL 13 agosto 2011 n. 138 contiene alcune rilevanti disposizioni con riferimento ai beni dell’impresa “concessi in godimento” a soci o a familiari dell’imprenditore.
Viene infatti prevista una nuova ipotesi di reddito, nell’ambito della categoria dei redditi diversi, rappresentata dalla differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa.
Inoltre, i costi relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato sono indeducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Quindi, ipotizzando che una società possieda un determinato bene e che lo stesso venga messo a disposizione dei soci, con la nuova disposizione viene espressamente richiesto che, a fronte di tale utilizzo, la società riceva un corrispettivo e che tale corrispettivo sia allineato con il valore di mercato.
In caso contrario, si configura un reddito in capo al socio e un costo indeducibile in capo alla società (sempre che il relativo costo sia deducibile nella determinazione del reddito d’impresa).
Già ad una prima lettura, la norma pone alcuni problemi interpretativi, anche alla luce dell’attuale assetto normativo.
Occorre ricordare che l’art. 86 del TUIR considera plusvalenze tassate i beni strumentali assegnati ai soci ovvero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (analoga disposizione opera per i beni merce, ai sensi dell’art. 85 del TUIR).
Nel caso di beni in godimento, non si realizzerebbe una cessione definitiva quanto, piuttosto, una prestazione di servizi che, ad oggi, non configurerebbe un’ipotesi fiscalmente rilevante, sebbene in giurisprudenza si sia anche sostenuto il contrario (C.T. Reg. Milano 22 gennaio 2007 n. 156/1/07 ).
Lato costi, invece, il principio di inerenza consente la deducibilità degli stessi solo nella misura in cui questi si riferiscano ad attività o beni da cui derivano ricavi tassati.
Nel caso di beni concessi in mero godimento a terzi, già oggi è plausibile ritenere che i relativi costi siano indeducibili in quanto non inerenti.
Occorre poi ricordare che vi sono alcune norme che forfettizano l’inerenza (esempio tipico è quello delle autovetture in base all’art. 164 del TUIR), presumendo ex lege una percentuale di utilizzo imprenditoriale (es. 40%).
Quindi, se appare possibile individuare una ratio della norma laddove riconduce a tassazione il beneficio ritratto dai soci o dai familiari dell’imprenditore, meno chiara è la stessa ratio nella parte in cui sancisce l’indeducibilità dei relativi costi, considerato che si tratta di un principio già presente nel TUIR.
Al di là di questo aspetto, cosa capiterà a partire dal 2012 (la norma infatti si applicherà a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione)?
Quando una società o un’impresa individuale concederanno in godimento un determinato bene ad un socio ovvero ad un familiare dell’imprenditore (non è chiaro se per tutto l’anno o per frazione di anno, visto che la norma si riferisce al corrispettivo annuo) dovranno necessariamente valorizzare tale prestazione, assoggettandola a tassazione a valore di mercato.
Se ciò non avverrà, la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo costituirà reddito per il fruitore del bene e, in ogni caso, il costo diventerà indeducibile.
Alla luce di tale radicale mutamento di prospettiva, occorre chiedersi se siano ancora coerenti sul piano sistematico quelle norme che vietano la deducibilità di taluni costi relativi a beni che possono essere interessati dalla disposizione in commento.
Supponiamo che una società conceda in uso ai soci un immobile abitativo.
A partire dal 2012, dovrà essere individuato un valore di mercato per tale utilizzo, pena l’imputazione di un reddito diverso in capo al socio secondo le modalità prima evidenziate.
Relativamente allo stesso immobile, tuttavia, l’art. 90, comma 2 del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi siano indeducibili, contenendo già una penalizzazione diretta a disincentivare le intestazione di comodo.
Analogo ragionamento può essere fatto per le autovetture aziendali. Se un socio utilizza un’autovettura della società (già deducibile in misura parziale), dovrà comunque riconoscere un corrispettivo alla società che tasserà il ricavo, ma vedrà i costi deducibili al 40%.
In definitiva, gli effetti della nuova disposizione meriterebbero un’ulteriore riflessione, al fine di garantire alla modifica in commento una certa coerenza sul piano sistematico.
Da notare, infine, che la bozza di provvedimento non fa riferimento all’imprenditore, ma solo ai suoi familiari; ciò in quanto, per l’imprenditore, l’utilizzo per fini personali di un bene aziendale configura un’ipotesi di autoconsumo che concorre a formare sempre il reddito d’impresa.
Viene infatti prevista una nuova ipotesi di reddito, nell’ambito della categoria dei redditi diversi, rappresentata dalla differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa.
Inoltre, i costi relativi ai beni dell’impresa concessi in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato sono indeducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Quindi, ipotizzando che una società possieda un determinato bene e che lo stesso venga messo a disposizione dei soci, con la nuova disposizione viene espressamente richiesto che, a fronte di tale utilizzo, la società riceva un corrispettivo e che tale corrispettivo sia allineato con il valore di mercato.
In caso contrario, si configura un reddito in capo al socio e un costo indeducibile in capo alla società (sempre che il relativo costo sia deducibile nella determinazione del reddito d’impresa).
Già ad una prima lettura, la norma pone alcuni problemi interpretativi, anche alla luce dell’attuale assetto normativo.
Occorre ricordare che l’art. 86 del TUIR considera plusvalenze tassate i beni strumentali assegnati ai soci ovvero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (analoga disposizione opera per i beni merce, ai sensi dell’art. 85 del TUIR).
Nel caso di beni in godimento, non si realizzerebbe una cessione definitiva quanto, piuttosto, una prestazione di servizi che, ad oggi, non configurerebbe un’ipotesi fiscalmente rilevante, sebbene in giurisprudenza si sia anche sostenuto il contrario (C.T. Reg. Milano 22 gennaio 2007 n. 156/1/07 ).
Lato costi, invece, il principio di inerenza consente la deducibilità degli stessi solo nella misura in cui questi si riferiscano ad attività o beni da cui derivano ricavi tassati.
Nel caso di beni concessi in mero godimento a terzi, già oggi è plausibile ritenere che i relativi costi siano indeducibili in quanto non inerenti.
Occorre poi ricordare che vi sono alcune norme che forfettizano l’inerenza (esempio tipico è quello delle autovetture in base all’art. 164 del TUIR), presumendo ex lege una percentuale di utilizzo imprenditoriale (es. 40%).
Quindi, se appare possibile individuare una ratio della norma laddove riconduce a tassazione il beneficio ritratto dai soci o dai familiari dell’imprenditore, meno chiara è la stessa ratio nella parte in cui sancisce l’indeducibilità dei relativi costi, considerato che si tratta di un principio già presente nel TUIR.
Al di là di questo aspetto, cosa capiterà a partire dal 2012 (la norma infatti si applicherà a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione)?
Quando una società o un’impresa individuale concederanno in godimento un determinato bene ad un socio ovvero ad un familiare dell’imprenditore (non è chiaro se per tutto l’anno o per frazione di anno, visto che la norma si riferisce al corrispettivo annuo) dovranno necessariamente valorizzare tale prestazione, assoggettandola a tassazione a valore di mercato.
Se ciò non avverrà, la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo costituirà reddito per il fruitore del bene e, in ogni caso, il costo diventerà indeducibile.
Alla luce di tale radicale mutamento di prospettiva, occorre chiedersi se siano ancora coerenti sul piano sistematico quelle norme che vietano la deducibilità di taluni costi relativi a beni che possono essere interessati dalla disposizione in commento.
Supponiamo che una società conceda in uso ai soci un immobile abitativo.
A partire dal 2012, dovrà essere individuato un valore di mercato per tale utilizzo, pena l’imputazione di un reddito diverso in capo al socio secondo le modalità prima evidenziate.
Relativamente allo stesso immobile, tuttavia, l’art. 90, comma 2 del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi siano indeducibili, contenendo già una penalizzazione diretta a disincentivare le intestazione di comodo.
Analogo ragionamento può essere fatto per le autovetture aziendali. Se un socio utilizza un’autovettura della società (già deducibile in misura parziale), dovrà comunque riconoscere un corrispettivo alla società che tasserà il ricavo, ma vedrà i costi deducibili al 40%.
In definitiva, gli effetti della nuova disposizione meriterebbero un’ulteriore riflessione, al fine di garantire alla modifica in commento una certa coerenza sul piano sistematico.
Da notare, infine, che la bozza di provvedimento non fa riferimento all’imprenditore, ma solo ai suoi familiari; ciò in quanto, per l’imprenditore, l’utilizzo per fini personali di un bene aziendale configura un’ipotesi di autoconsumo che concorre a formare sempre il reddito d’impresa.
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