operazioni straordinarie
Induttivo per il tassista che trasferisce la licenza e non dichiara la plusvalenza
Lo ha stabilito la Regionale di Roma, perché il trasferimento della licenza di taxi si configura come cessione d’azienda
/ Giovedì 01 settembre 2011
Un contribuente aveva trasferito la propria licenza per l’esercizio del servizio di taxi ad altro soggetto dotato degli specifici requisiti previsti, così come stabilito dall’art. 9 della L. 21/1992 (recante la legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea). A fronte di tale trasferimento, il contribuente aveva percepito un corrispettivo, che aveva dato luogo ad una plusvalenza da questi non dichiarata.
L’Ufficio, per ricostruire il valore di cessione della licenza, che è influenzato da una molteplicità di fattori, tra cui ovviamente la città di utilizzo, si era affidato ai risultati di un’indagine condotta da un’Università italiana ed a una serie di dati provenienti dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici comunali. Sulla base di tali informazioni, l’Amministrazione finanziaria aveva accertato induttivamente, ai sensi dell’art. 39 del DPR 600/1973, una plusvalenza non dichiarata pari a 120.000 euro, derivante, appunto, dalla cessione della licenza di taxi in oggetto.
Il contribuente proponeva ricorso alla C.T. Prov., che lo accoglieva. La decisione veniva appellata dall’Agenzia delle Entrate, che ribadiva la correttezza del suo operato. Il tassista, a sua volta, controdeduceva che l’atto impositivo si fondava su una presunzione priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla normativa per la rettifica in oggetto (il riferimento evidentemente è all’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/1973).
I giudici regionali hanno osservato, innanzitutto, che, come si desume da altre sentenze dalla stessa Commissione (cfr. sentenza n. 134 del 12 aprile 2010), il trasferimento della licenza di taxi deve considerarsi alla stessa stregua di una vera e propria cessione d’azienda, che impone, pertanto, al cedente di presentare la dichiarazione dei redditi, esponendo come reddito il valore della plusvalenza conseguita con il predetto trasferimento.
Le plusvalenze realizzate concorrono alla formazione del reddito
L’art. 86, comma 2 del TUIR stabilisce, infatti, che concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso; la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. Il successivo comma 4 prevede, poi, che tali plusvalenze concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, a certe condizioni e su specifica opzione del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto; la predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi, e se questa non è presentata, la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata.Il tassista, quindi, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione, indicando la plusvalenza derivante dal trasferimento di licenza. Avendo omesso tale dichiarazione, secondo la C.T. Reg., risultava quindi legittimo l’accertamento dell’Ufficio predisposto sulla base dei dati dell’indagine universitaria, nonché delle notizie inviate dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici comunali. Il collegio ha stabilito, infatti, che, in ipotesi di omessa dichiarazione della plusvalenza conseguita con la cessione d’azienda, l’Ufficio è legittimato a procedere all’accertamento induttivo “puro”, avvalendosi di dati e notizie comunque raccolti e utilizzando anche presunzioni semplici non qualificate (ex artt. 39, comma 2, e 41, comma 2 del DPR 600/1973).
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