ilcasodelgiorno
Nessuna plusvalenza se il capannone è ceduto dal privato dopo 5 anni
Il principio vale solo se la vendita non viene posta in essere nello svolgimento di un’attività di impresa
/ Lunedì 05 settembre 2011
Per definire quale sia il corretto regime di imposizione che si applica in tale fattispecie, si ricorda che, per i soggetti non imprenditori, costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili, diversi dalle aree fabbricabili, acquistati o costruiti da non più di 5 anni (cfr. art. 67, comma 1 lett. b) del TUIR).
La ratio di tale disposizione si rinviene nel termine temporale che essa pone; detto termine, infatti, tende, in linea di principio, ad attrarre a tassazione le cessioni che, essendo eseguite in tempi relativamente ristretti dall’acquisto o dalla costruzione, si presume siano realizzate per fini speculativi. Si osserva come la norma non relazioni il termine in oggetto alle opere di ristrutturazione oppure al cambio di destinazione delle stesse, ponendo l’accento su quelle operazioni che, concretizzandosi in un intervallo temporale ristretto, possono essere considerate speculative.
L’unico vincolo è di carattere temporale
Precisamente, né il tenore letterale della norma né la ratio sembrano dipendere dalla natura dei fabbricati ceduti (l’unica distinzione in merito, infatti, riguarda i terreni). Pertanto, il termine “immobili” dovrebbe essere inteso in modo ampio e tale da ricomprendere non solo immobili ad uso abitativo, ma anche soffitte, cantine, posti auto e immobili a destinazione commerciale o industriale, come ad esempio i capannoni. Pare anche ragionevole ritenere che, ai fini del computo del quinquennio sopramenzionato, non rilevi il cambio di destinazione operato sull’immobile, in quanto rappresenta un evento che non modifica il presupposto impositivo delineato dalla norma.Tuttavia, le problematiche relative alla fattispecie in esame non si esauriscono nella mera analisi dell’art. 67 del TUIR. In particolare, pare opportuno considerare che la serie di atti e negozi posti in essere per la vendita del capannone potrebbero rappresentare un’attività d’impresa.
Con riferimento alla possibilità che le opere svolte da soggetti non imprenditori vengano riqualificate in attività d’impresa, occorre considerare la nozione di cui all’art. 55 del TUIR, secondo la quale “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate (...) anche se non organizzate in forma d’impresa”. Ad avviso della Corte di Cassazione, l’abitualità, la sistematicità e la continuità dell’attività economica, come indici della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore, devono essere intese in senso non assoluto, ma relativo.
Pertanto, nello svolgimento di operazioni aventi una durata protratta nel tempo, ancorché finalizzate al compimento di un’unica operazione speculativa, non può escludersi la qualifica di imprenditore (si vedano Cass. 10 maggio 1996 n. 4407 e 11 aprile 1996 n. 3406).
Si segnala, poi, che, con la ris. Agenzia delle Entrate 7 agosto 2002 n. 273, l’Amministrazione ha chiarito che è del tutto irrilevante che l’esercizio dell’impresa si esaurisca in un singolo affare, poiché anche il compimento di un unico affare può costituire impresa quando implichi l’esecuzione di una serie coordinata di atti economici; in particolare, il caso di specie riguardava un contribuente persona fisica che, su un terreno in comunione con la moglie, intendeva costruire alcuni box auto destinati alla vendita.
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