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lunedì 30 aprile 2012

antiriciclaggio Ispezioni negli studi per operazioni sospette non segnalate

antiriciclaggio

Ispezioni negli studi per operazioni sospette non segnalate

Nella check list antiriciclaggio della GdF, oggetto di accertamento anche le procedure interne e l’iter valutativo seguito dal professionista
/ Lunedì 30 aprile 2012
La check list delle ispezioni antiriciclaggio della GdF negli studi professionali (si vedano “Ispezioni antiriciclaggio negli studi, nel mirino della GdF la registrazione dei dati” del 26 aprile e “Check list della GdF per le ispezioni antiriciclaggio negli studi” del 24 aprile) è completata dalle indicazioni relative alla verifica del rispetto dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette (SOS).
Il modulo operativo evidenzia una serie di attività propedeutiche da svolgere nella fase di accesso negli studi, tra le quali particolare attenzione merita, oltre all’individuazione del responsabile della segnalazione e dell’eventuale attività di formazione posta in essere per diffondere la conoscenza della materia tra i dipendenti e i collaboratori, anche l’acquisizione di informazioni in merito alle eventuali “procedure interne di regolamentazione” aventi ad oggetto l’iter valutativo delle SOS. Dette procedure, che non trovano alcun riscontro nel DLgs. 231/2007, sono espressamente previste nell’all. 2 al decreto del Ministero della Giustizia 16 aprile 2010 per la determinazione degli indicatori di anomalia, ove è espressamente previsto che i professionisti che operano nell’ambito di strutture associate o societarie si avvalgano di procedure interne per regolamentare l’iter valutativo della segnalazione. Ciò per garantire l’omogeneità dei comportamenti, la ricostruibilità a posteriori delle motivazioni sottostanti alle decisioni assunte (in caso di richiesta da parte delle autorità competenti) e, non ultimo, la ripartizione delle responsabilità.
Lo step successivo prevede l’acquisizione, da parte della GdF, della documentazione necessaria per l’approfondimento delle operazioni “anomale”. Anche in tal caso potrà essere utilizzato il campione già oggetto di selezione in materia di adeguata verifica o di registrazione dei dati, o potrà esserne individuato uno diverso, avente ad oggetto operazioni contraddistinte da particolari causali (ad es. finanza straordinaria o gestione di strumenti finanziari), ovvero riconducibili a fiduciarie, trust ed enti non profit, o ancora realizzate in Paesi a regime antiriciclaggio non equivalente o a fiscalità privilegiata.
A questo punto, le linee guida delle Fiamme gialle entrano nel merito della fattispecie oggetto dell’accertamento, vale a dire l’omessa segnalazione di operazioni sospette, distinguendo a tal fine due ipotesi:
- omessa segnalazione al professionista-titolare da parte dei dipendenti o degli altri soggetti eventualmente incaricati della procedura (cui corrisponde una responsabilità di “primo livello”);
- omessa segnalazione alla UIF, direttamente o tramite l’Ordine di appartenenza, da parte del professionista (cui corrisponde una responsabilità di “secondo livello”).
In entrambi i casi, l’inadempimento è punito con la medesima sanzione amministrativa pecuniaria, variabile dall’1 al 40% dell’importo dell’operazione non segnalata (art. 57, comma 4 del DLgs. 231/2001).
Due tipi di omessa segnalazione: al professionista-titolare e alla UIF
Cambiano invece le modalità di accertamento: nel caso di omessa segnalazione alla UIF (direttamente o per il tramite dell’Ordine, ove quest’ultimo abbia attivato la cosiddetta funzione di filtro per la segnalazione) da parte del professionista, dovranno essere valutate le procedure interne istituite, il contenuto del fascicolo del cliente e le motivazioni addotte dal soggetto destinatario dell’obbligo. In altre parole, ai fini dell’imputazione delle responsabilità di primo livello, l’unità operativa dovrà vagliare nel merito l’iter valutativo seguito dal professionista, dalla valutazione del livello di rischiosità soggettivo (del cliente) e oggettivo (dell’operazione) fino alla corretta applicazione degli indicatori di anomalia.
Nel caso di omessa segnalazione al professionista, per accertare le responsabilità di secondo livello dovranno altresì essere valutati eventuali profili di omissione colpevole, verificando la fondatezza delle anomalie riscontrate dal dipendente/collaboratore, il corretto flusso informativo tra chi ha proposto la segnalazione di quelle anomalie alla UIF e chi invece ha deciso di non effettuarla e infine l’adeguatezza e la completezza dell’istruttoria interna svolta dal professionista quale responsabile di secondo livello.
A tal fine, si legge nel modulo operativo, la GdF dovrà vagliare non solo la validità delle motivazioni del professionista, ma anche la loro formalizzazione, unitamente all’esistenza di eventuali documenti a supporto: il tutto dovrà essere riportato nel verbale di ispezione. Ove non sia possibile individuare con esattezza il soggetto responsabile dell’omissione, quest’ultima sarà imputata direttamente al legale rappresentante della struttura, in virtù di quanto disposto dall’art. 59 del DLgs. 231/2007.
Un cenno merita infine il riferimento alla verbalizzazione – da parte dell’unità operativa – della contestazione di SOS tardive, cioè inviate dal professionista in un momento successivo a quello in cui il sospetto era maturato. Nel modulo operativo, non proprio chiarissimo sul punto, si suggerisce di ponderare bene la relativa valutazione, peraltro limitata a casi specifici, come quello della SOS effettuata “a posteriori” dal professionista, che solo attraverso la stampa sia venuto a conoscenza di un procedimento penale a carico del cliente.
L’arduo compito dell’unità operativa, in tal caso, è quello di verificare se il profilo soggettivo del cliente emergente dal relativo fascicolo non consentisse al professionista, già prima della diffusione della notizia, di acquisire elementi tali da indurlo ad effettuare la segnalazione alla UIF.
 Annalisa DE VIVO

Antiriciclaggio Gli stranieri possono acquistare in contanti fino a 15.000 euro

Gli operatori italiani interessati, però, devono comunicare gli acquisti di importo pari o superiore a 1.000 euro all’Agenzia delle Entrate
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/ Lunedì 30 aprile 2012
I turisti stranieri possono effettuare acquisti in contanti entro il limite di 15.000 euro, ma gli operatori italiani devono comunque comunicare all’Agenzia delle Entrate le operazioni di importo unitario pari o superiore a 1.000 euro.
Sono queste le principali novità che la L. 26 aprile 2012 n. 44, di conversione del DL 16/2012, ha apportato alla disciplina che deroga ai limiti di trasferimento del denaro contante in favore di turisti stranieri.
L’art. 3 comma 1 del DL 16/2012 aveva disposto che il divieto di trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 1.000 euro, di cui all’art. 49 comma 1 del DLgs. 231/2007, non avrebbe operato per gli acquisti di beni e di prestazioni di servizi legate al turismo – effettuati presso esercenti il commercio al minuto o attività assimilate, di cui all’art. 22 del DPR 633/72, nonché presso agenzie di viaggi e turismo che organizzano pacchetti turistici costituiti da viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso e connessi servizi, di cui all’art. 74-ter del DPR 633/72 – posti in essere da persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana e comunque diversa da quella di uno dei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo (Liechtenstein, Islanda e Norvegia), con residenza fuori dal territorio dello Stato. Tale deroga è stata subordinata a specifiche condizioni. Il cedente del bene o il prestatore del servizio, infatti, avrebbe dovuto: acquisire, all’atto dell’effettuazione dell’operazione, sia la fotocopia del passaporto del cessionario e/o del committente, sia un’apposita autocertificazione di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000, attestante lo status di straniero, nonché la residenza fuori del territorio dello Stato; versare, nel primo giorno feriale successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il denaro contante incassato su un proprio conto corrente tenuto presso un operatore finanziario, consegnando a quest’ultimo fotocopia dei documenti di cui sopra e della fattura, della ricevuta o dello scontrino fiscale emesso; inviare apposita comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, le cui modalità e termini sono stati precisati dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 marzo 2012 (ex art. 3 comma 2 del DL 16/2012).
In sede di conversione in legge del DL 16/2012, le ricordate disposizioni normative sono state integralmente riscritte. Viene stabilito, in primo luogo, che i turisti stranieri possono effettuare acquisti in contanti presso i ricordati soggetti entro il limite di 15.000 euro. A tali fini, gli esercenti il commercio al minuto o attività assimilate, di cui all’art. 22 del DPR 633/72, nonché le agenzie di viaggi e turismo, di cui all’art. 74-ter del DPR 633/72, devono innanzitutto inviare apposita comunicazione preventiva di adesione alla disciplina all’Agenzia delle Entrate, nella quale indicare anche il conto che si intende utilizzare. Ne consegue la necessità di un adeguamento del modello predisposto con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 marzo 2012, che non consente di fornire tale informazione. I soggetti di cui sopra, inoltre, restano tenuti, all’atto dell’effettuazione dell’operazione, ad identificare il cliente (fotocopiando il passaporto) e ad acquisire da quest’ultimo autocertificazione circa il proprio status. Confermato anche l’obbligo di versare, nel primo giorno feriale successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il denaro contante incassato sul conto indicato; all’operatore finanziario, tuttavia, deve essere consegnata la sola copia della ricevuta della comunicazione preventiva e non più anche la fotocopia del passaporto e dell’autocertificazione, nonché della fattura, della ricevuta o dello scontrino fiscale emesso. A tutto ciò si aggiunge l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate le operazioni in contanti di importo unitario non inferiore a 1.000 euro effettuate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, secondo modalità e termini che saranno stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (cfr. il nuovo art. 3 comma 2-bis del DL 16/2012 convertito).
La nuova disciplina è priva di specifiche sanzioni
La disciplina esaminata è priva di specifiche sanzioni. Potrebbero quindi sorgere dubbi circa l’applicazione della sanzione comminata dall’art. 58 comma 1 del DLgs. 231/2007 (dall’1% al 40% dell’importo trasferito), che si riferisce alla sola violazione dei limiti all’utilizzo del denaro contante di cui all’art. 49 comma 1 del DLgs. 231/2007; ciò, in particolare, alla luce del divieto di applicazione analogica sancito dall’art. 1 comma 2 della L. 689/81, ai sensi del quale “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”. L’applicazione della ricordata sanzione, tuttavia, appare più l’esito di una legittima interpretazione estensiva (cfr., con riguardo alle sanzioni penali, la recente sentenza 18 aprile 2012 n. 15048 della Corte di Cassazione) che non di una vietata interpretazione analogica.
  Maurizio MEOLI
Immobili

Immobili storici locati, riduzione del 35% della base imponibile

Il DL 16/2012 convertito introduce l’agevolazione, aggiungendola all’art. 37, comma 4-bis del TUIR
/ Lunedì 30 aprile 2012
Sul Supplemento Ordinario n. 85 della Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile, è stata pubblicata la L. 26 aprile 2012 n. 44, di conversione del DL 16/2012, in vigore da ieri. In sede di conversione, sono state introdotte delle disposizioni volte a ridurre la tassazione sugli immobili d’interesse storico o artistico.
Ai sensi dell’art. 37, commi da 1 a 4 del TUIR, la rendita catastale, utilizzata per il calcolo dei redditi dei fabbricati ai fini IRPEF, si determina con differenti criteri: per gli immobili a destinazione ordinaria (gruppi A, B e C), mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo stabilite dalla legge catastale, moltiplicata per la consistenza dell’unità immobiliare; per i fabbricati a destinazione speciale o particolare (gruppi D ed E), mediante stima diretta del valore da parte dell’Agenzia del Territorio; per i fabbricati non ancora iscritti in Catasto o iscritti con rendita non più adeguata, si applica una rendita provvisoria.
Nel caso, però, in cui i fabbricati siano concessi in locazione, il loro reddito, ai sensi del successivo comma 4-bis dello stesso art. 37, è determinato assumendo il maggiore ammontare fra il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfettariamente del 15% (25% per i fabbricati situati in Venezia centro, isole della Giudecca, Murano e Burano) e la rendita catastale iscritta in Catasto.
Se fino ad oggi, quindi, non vi erano agevolazioni per gli immobili di interesse storico o artistico ex art. 10 del DLgs. 42/2004, ora l’art. 4, comma 5-sexies, lett. a) del DL 16/2012 convertito interviene in tal senso, aggiungendo all’anzidetto comma 4-bis dell’art. 37 un’ulteriore misura di riduzione forfettaria della base imponibile pari al 35% del canone di locazione, specifica per tali immobili di interesse storico o artistico.
È appena il caso di ricordare, peraltro, che l’art. 71, comma 3 della Ddl. di riforma del mercato del lavoro prevede la riduzione dal 15% al 5%, a decorrere dal 2013, della succitata percentuale prevista in via ordinaria a titolo di deduzione forfettaria dal canone di locazione imponibile ai fini IRPEF.
Ritornando agli immobili storici o artistici, il DL convertito ha previsto analoghe misure agevolative a loro favore anche per i soggetti IRES.
Previste analoghe misure agevolative anche a favore dei soggetti IRES
In particolare, per quanto concerne i cosiddetti “immobili patrimonio” delle imprese, di cui all’art. 90 del TUIR, l’art. 4, comma 5-sexies, lett. b) del DL convertito dispone, al n. 1), che, se si tratta di unità immobiliari di interesse storico o artistico, il loro reddito medio ordinario (rendita catastale) è ridotto del 50%, mentre, al n. 2), che, nel caso di immobili storici o artistici locati, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto del 35% risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione.
Analoghe disposizioni di favore sono state previste anche per gli immobili di interesse storico o artistico posseduti da enti non commerciali. Infatti, l’art. 4, comma 5-sexies, lett. c), modificando l’art. 144, comma 1 del TUIR, relativo alla determinazione dei redditi degli enti non commerciali, dispone che il reddito medio ordinario derivante dagli immobili storici o artistici posseduti da tali enti è ridotto del 50%.
Infine, l’art. 4, comma 5-septies del DL 16/2012 convertito stabilisce che le sopra illustrate disposizioni trovano applicazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2011. Tuttavia, per la determinazione degli acconti dovuti per il medesimo periodo d’imposta si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando già le predette nuove disposizioni.
agevolazioni

Regimi opzionali, efficace la comunicazione tardiva

Criticità per l’IVA di gruppo, opportunità per l’IRAP in base al bilancio
/ Lunedì 30 aprile 2012
L’art. 2, comma 1, del DL 16/2012, la cui legge di conversione (L. 26 aprile 2012 n. 44) è stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 85 della Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile ed è in vigore da ieri, stabilisce che la fruizione dei benefici di natura fiscale o l’accesso ai regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione, ovvero ad altro adempimento di natura formale, non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:
- la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza;
- il contribuente: sia in possesso dei sostanziali requisiti di legge; esegua l’adempimento entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile (nel caso dei contribuenti aventi il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, l’omessa comunicazione dell’opzione può, pertanto, essere sanata entro il 30 settembre 2012); versi contestualmente la sanzione di 258 euro mediante modello di pagamento F24, senza potersi avvalere della compensazione con crediti tributari. In mancanza dell’istituzione di uno specifico codice tributo, deve ritenersi utilizzabile l’identificativo “8911”.
La norma deve ritenersi applicabile retroattivamente, se favorevole al contribuente, e interessa la generalità dei regimi opzionali, come, ad esempio, quello riguardante la liquidazione e il versamento mensile o trimestrale dell’IVA di gruppo – previsto dall’art. 73, comma 3, del DPR 633/1972, così come attuato dal DM 13 dicembre 1979 – del periodo d’imposta 2011 (e 2012), il cui termine è scaduto il 16 febbraio 2011 (o 2012). La natura periodica di tali adempimenti potrebbe, tuttavia, costituire un evidente impedimento oggettivo alla regolarizzazione ex-post dell’omesso esercizio tempestivo dell’opzione, se perfezionata in un momento in cui il periodo d’imposta di riferimento potrebbe già essersi chiuso (il 2011, ma non il 2012) e i termini per le liquidazioni periodiche già decorsi (2011, e i primi tre mesi del 2012), salvo il caso in cui la controllante, pur non avendo manifestato l’opzione entro il 16 febbraio, abbia comunque liquidato e versato periodicamente l’IVA di gruppo.
Un altro possibile regime opzionale interessato dalla novità normativa è quello riservato alle società di persone e agli imprenditori individuali in contabilità ordinaria che possono avvalersi della facoltà di determinare la base imponibile IRAP – in luogo del regime naturale fondato sulle disposizioni del TUIR – secondo le medesime regole previste per le società di capitali (art. 5-bis, comma 2, del DLgs. 446/1997), ovvero il cosiddetto principio di derivazione dal bilancio. Tale possibilità è, quindi, prospettabile già rispetto all’opzione per il triennio 2011-2013 (o 2012-2014), pur non avendola esercitata tempestivamente, entro 60 giorni dall’inizio del primo periodo d’imposta di efficacia del triennio e, dunque, entro il 1° marzo 2011 (o 29 febbraio 2012).
La novità è particolarmente rilevante in relazione alla prima annualità, il 2011, in quanto il relativo esercizio si è già chiuso ed è, pertanto, possibile verificare, a differenza dell’adempimento tempestivo, l’effettiva convenienza dell’adozione dei criteri di determinazione della base imponibile IRAP secondo le regole previste per le società di capitali. Il contribuente è, infatti, in grado di conoscere, a consuntivo, la consistenza di quelle componenti reddituali (plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, oneri diversi di gestione, ecc.) del primo periodo d’imposta del triennio di efficacia della prospettata opzione, che consentono di valutare meglio l’opportunità di derogare al regime naturale fondato sulle disposizioni del DPR 917/1986, anche alla luce delle stime effettuate con riferimento agli altri due esercizi costituente il triennio di efficacia dell’opzione. Quest’ultima potrebbe, infatti, essere preferita qualora siano previste significative minusvalenze da realizzo e sopravvenienze passive, nonché spese che sarebbero, invece, soggette ad una limitazione della deducibilità in base al DPR 917/1986: al contrario, il contribuente sarà orientato ad applicare il regime naturale in previsione di plusvalenze considerevoli, o comunque eccedenti le minusvalenze e le sopravvenienze passive, irrilevanti fiscalmente in base all’art. 5-bis, comma 1, del DLgs. 446/1997.
Analogamente, la forma di regolarizzazione introdotta dal Decreto “semplificazioni tributarie” deve ritenersi prospettabile, sempre entro il 30 settembre 2012, con riferimento agli istituti speciali dell’IRES, ovvero il consolidato fiscale e la trasparenza – delle società di capitali partecipate esclusivamente da imprese della medesima natura (art. 115 del DPR 917/1986) e delle srl a ristretta base proprietaria (art. 116 del TUIR) – relativi al triennio 2011-2013, il cui termine di esercizio tempestivo dell’opzione è scaduto, rispettivamente, lo scorso 16 giugno e 31 dicembre 2011.
irpef

Restyling per l’indeducibilità dei costi da reato

In sede di conversione in legge del DL 16/2012 sono state apportate ulteriori modifiche alla disciplina dell’indeducibilità
/ Lunedì 30 aprile 2012
Rispetto alla prima versione contenuta nel DL 16/2012, con la L. di conversione (n. 44 del 26 aprile 2012, in vigore da ieri), l’art. 8 del citato DL prevede ulteriori modifiche all’art. 14 comma 4-bis della L. n. 537/1993, recante la disciplina dell’indeducibilità dei costi da reato.
Giova ricordare che, ante DL 16/2012, la versione in vigore dell’art. 14 citato prevedeva che, “nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”.
Ai sensi dell’art. 8 del DL 16/2012, l’art. 14 comma 4-bis della L. 537/1993 prevede ora che, nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6 comma 1 del TUIR, non siano ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.
A seguito delle modifiche apportate in sede di conversione in legge, l’indeducibilità dei suddetti costi scatta anche qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p. (ossia per intervenuta prescrizione del reato).
Viene altresì disposto che compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione in base alla suddetta disposizione e dei relativi interessi qualora intervenga:
- una sentenza definitiva di assoluzione, ai sensi dell’art. 530 c.p.p.;
- una sentenza definitiva di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata su motivi diversi dalla prescrizione;
- una sentenza definitiva di non doversi procedere, ai sensi dell’art. 529 c.p.p.
Fatture oggettivamente inesistenti
Il secondo comma dell’art. 8 del DL 16/2012, rimasto immutato in sede di conversione, dispone che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi.
In tal caso, è prevista una sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi (si veda “Deducibili i costi da attività illecite colpose” del 12 marzo 2012).
È prevista l’applicabilità delle summenzionate disposizioni, ove più favorevoli, in luogo di quanto disposto dal previgente comma 4-bis dell’art. 14 della L. n. 537/1993, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, facendo comunque salva l’ipotesi in cui i provvedimenti emessi in base al predetto comma 4-bis previgente si siano resi definitivi.
Infine, la norma prevede che tali disposizioni si applichino anche ai fini della determinazione della base imponibile IRAP.

Iva: Niente reverse charge per mancata iscrizione al VIES

Lo chiarisce l’Agenzia con la ris. n. 42, in relazione agli acquisti intracomunitari dei soggetti IVA passivi nazionali

/ Sabato 28 aprile 2012
La mancata iscrizione al VIES da parte di un soggetto passivo IVA nazionale non legittima l’applicazione del “reverse charge” sugli acquisti intracomunitari effettuati da tale soggetto.
È questa la “massima” che si ricava dalla lettura della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 42 di ieri, 27 aprile, che riguarda il caso di un soggetto IVA nazionale che ha acquistato dei pannelli fotovoltaici presso un fornitore tedesco, il cui accordo si è perfezionato prima dell’entrata in vigore dell’obbligo d’iscrizione al VIES, ma la cui consegna è avvenuta solamente nel mese di aprile 2011, e quindi successivamente all’efficacia dei provvedimenti direttoriali che hanno imposto l’obbligo in questione. L’operazione è stata considerata come acquisto intracomunitario, ai sensi dell’art. 38 del DL n. 331/93, assoggettato ad IVA in Italia, mediante applicazione del “reverse charge”.
Preliminarmente, ricorda l’Agenzia, l’art. 35 del DPR 633/72, come modificato dall’art. 27 del DL 78/2010, richiede al soggetto passivo d’imposta che intenda effettuare operazioni intracomunitarie l’obbligo di richiedere l’iscrizione nell’archivio VIES. Mentre per i soggetti che iniziano l’attività, tale richiesta è effettuata in sede di dichiarazione d’inizio attività, per i soggetti già in possesso di partita IVA, la predetta volontà deve essere manifestata mediante apposita istanza da presentare all’Agenzia delle Entrate. In ogni caso, decorsi 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, senza che l’Agenzia abbia formulato un diniego espresso, il soggetto passivo acquisisce di diritto l’iscrizione nell’archivio VIES (silenzio assenso).
Premesso ciò, prendendo spunto dal caso di specie illustrato nel documento di prassi in commento, l’Agenzia fornisce alcune precisazioni, molte delle quali erano già contenute nella circolare n. 39/2011.
In primo luogo, l’Agenzia ricorda che, una volta ricevuta l’istanza per l’iscrizione al VIES, è sospesa la soggettività attiva e passiva per le operazioni intracomunitarie fino al 30° giorno successivo, periodo nel quale il soggetto IVA può operare in piena legittimità solo per le operazioni interne. Dal 31° giorno, invece, salvo rifiuto esplicito da parte dell’Agenzia, il soggetto IVA è iscritto nel Vies ed acquisisce in tal modo la legittimità anche in ambito intracomunitario.
Per quanto riguarda, invece, il regime IVA delle operazioni poste in essere in assenza di regolare iscrizione al VIES, l’Agenzia precisa che:
- le cessioni e le prestazioni di servizi intracomunitarie effettuate da un soggetto IVA nazionale, non iscritto nel Vies, devono essere assoggettate ad IVA in Italia, in quanto operazioni “interne” e non intracomunitarie;
- specularmente, “l’acquirente italiano non regolarmente iscritto al Vies, ricevuta la fattura senza IVA dal fornitore europeo, non deve procedere alla doppia annotazione della stessa nel registro delle fatture emesse e nel registro degli acquisti, non essendo applicabile il meccanismo dell’inversione contabile”.
Per i non iscritti, operazioni intracomunitarie soggette a IVA in Italia
In tale ultima ipotesi, continua l’Agenzia, si realizzerebbe una fattispecie di indebita detrazione dell’IVA, con conseguente applicazione della sanzione di cui all’art. 6, comma 6 del DLgs. n. 471/97, in misura pari all’ammontare dell’imposta detratta. Nel caso di specie, tuttavia, posto che la circ. n. 39/2011 ha stabilito che le sanzioni non sono applicabili in capo ai soggetti non iscritti al VIES per le violazioni commesse prima dell’emanazione della predetta circolare (1° agosto 2011), non si rende applicabile alcuna sanzione.
Infine, l’Agenzia precisa che, in sede di operazione amministrativa con gli altri Stati membri, si provvederà a segnalare l’operazione irregolarmente eseguita all’Amministrazione dello Stato membro del fornitore (Germania, nel caso di specie), che potrà recuperare l’eventuale imposta (tedesca) non applicata dal fornitore stesso, il quale, dopo aver consultato il VIES e non aver trovato il cliente italiano, avrebbe dovuto infatti trattare l’operazione come interna e non come intracomunitaria.
 / Sandro CERATO

Accertamento


Il contribuente non deve sempre dimostrare l’inerenza dei costi

In merito, la Cassazione ha stabilito che il costo per la sponsorizzazione è deducibile anche se il contribuente non è titolare del marchio

/ Sabato 28 aprile 2012
Con la sentenza n. 6548 del 27 aprile 2012, la Corte di Cassazione si è espressa in merito all’onere di dimostrare l’inerenza dei costi di pubblicità sostenuti da parte di una società che si occupa della distribuzione di un prodotto senza possedere la titolarità del marchio sponsorizzato.
In primo luogo, si osserva che la Corte ha fatto proprio un principio già espresso nella sentenza 24065/2011, per il quale l’art. 109, comma 5 del TUIR consente la deducibilità delle spese relative ad un contratto di sponsorizzazione anche quando il medesimo viene stipulato a favore di un terzo, se vengono dimostrate le potenziali utilità che si possono ricavare per la propria attività commerciale o i futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo.
Infatti, dal complesso delle caratteristiche concernenti il contratto di sponsorizzazione non può desumersi che tale contratto debba necessariamente essere concluso da uno sponsor che sia egli stesso il produttore industriale di una determinata merce, ovvero il titolare dei diritti sul marchio. Tanto è vero che la disciplina civilistica riconosce un rapporto patrimonialmente rilevante, ancorché non riconducibile ad un contratto tipico, anche in presenza di un contratto nel quale lo sponsor sia un altro soggetto, che tragga comunque un’utilità dallo sfruttamento dell’immagine altrui, sebbene diverso risulti l’organizzatore della relativa produzione.
Nel caso di specie, la casa madre aveva conferito alla società ricorrente l’incarico di distributore esclusivo in Italia del prodotto contrassegnato con il proprio marchio. Ad avviso della Corte, da tali elementi ne discende una connaturale inerenza tra l’attività di pubblicizzazione, sia pure indiretta, del prodotto avente il marchio della casa madre da parte della società ricorrente rispetto all’attività commerciale svolta da quest’ultima. Pertanto, diviene sicuramente legittima la deducibilità dei costi di pubblicità in esame e sarebbe stato onere dell’Amministrazione provare l’assenza dell’inerenza di tali costi.
Proprio in merito a quest’ultimo punto la sentenza in esame sembra dimostrarsi molto interessante, in quanto pare definire un confine tra quei costi per i quali la dimostrazione dell’inerenza ricade sul contribuente e quegli oneri per cui dovrebbe essere l’Ufficio a provare che i medesimi non sono riconducibili all’attività di impresa svolta dal contribuente.
Su tal punto, infatti, occorre effettuare una precisazione: se è vero che l’onere della prova circa l’inerenza grava, come concetto generale, sul contribuente, è innegabile che i verificatori non possano disconoscere, sic et simpliciter, intere voci di costo, spettando al contribuente dimostrarne l’inerenza.
I verificatori non possono disconoscere intere voci di costo
I giudici rammentano che l’onere di provare l’inerenza non grava sul contribuente in merito alle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito, “o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale” (si pensi alle materie prime, ai macchinari e agli strumenti indispensabili a produrre certi beni).
Se l’accertamento è fondato sul recupero a tassazione di detti costi, la non inerenza deve essere provata dall’Amministrazione.
Viceversa, l’onere della prova circa l’inerenza grava sul contribuente ogniqualvolta sorga “un dubbio collegamento della componente reddituale negativa con l’impresa”.
Richiamando alcuni precedenti, la Suprema Corte, in sostanza, sancisce che:
- occorre sempre distinguere i beni “normalmente necessari e strumentali” e i beni “non necessari e strumentali”, “ponendosi a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza”;
- il requisito dell’inerenza si determina in relazione alla funzione del bene e del servizio acquistato, ovvero alla ragione della spesa.
La deducibilità del costo non postula che esso sia stato sostenuto per realizzare una specifica componente attiva del reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa, “ossia che tale costo sia stato sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili”.
 / Alfio CISSELLO e Salvatore SANNA

Iva - SPESOMETRO 2012

Iva

Escluse dallo spesometro le attività istituzionali degli enti non profit

Con una recente circolare, la F.I.G.C. ha precisato che l’obbligo di comunicazione è previsto soltanto per le operazioni commerciali

/ Sabato 28 aprile 2012
Sono escluse dall’obbligo comunicativo le operazioni effettuate dalle associazioni sportive dilettantistiche nell’ambito della loro sfera istituzionale di attività. Lo ha precisato l’Ufficio Studi Tributari della F.I.G.C., con la circolare n. 9/2012 del 20 aprile scorso.
Ai sensi dell’art. 21 del DL n. 78/2010 (conv. con modif. dalla L. n. 122/2010), come modificato dall’articolo 2, comma 6, del DL 16/2012, entro il prossimo 30 aprile i contribuenti dovranno comunicare all’Agenzia delle Entrate le operazioni rilevanti ai fini IVA poste in essere nel 2011 di importo superiore a 3.000 euro, IVA esclusa, per le quali sussisteva l’obbligo di emissione della fattura; riguardo, invece, alle operazioni per cui non era obbligatoria l’emissione di tale documento, dovranno essere comunicate soltanto quelle di importo superiore a 3.600 euro, IVA inclusa. Con il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate del 5 aprile 2012, tuttavia, è stato consentito di inviare per l’anno 2011 anche le operazioni sotto soglia.
La F.I.G.C. ha ricordato, a tal proposito, che sono esonerati dall’obbligo comunicativo soltanto i contribuenti minimi, nonché lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri organismi di diritto pubblico, in considerazione delle modalità di tenuta della contabilità stabilite dalla legge, che rendono difficoltoso distinguere tra attività di carattere istituzionale e attività di carattere commerciale rilevanti ai fini IVA.
Anche gli enti non commerciali, pertanto, rientrano tra i soggetti tenuti all’obbligo di trasmissione delle comunicazioni in oggetto. In particolare, anche le associazioni sportive dilettantistiche sono obbligate, anche se determinano l’IVA con il criterio forfettario di cui alla L. 398/1991, che prevede l’applicazione dell’art. 74, comma 6, del DPR 633/1972, in base al quale la detrazione dell’IVA versata sugli acquisti è forfettizzata nella misura del 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili. In proposito, la F.I.G.C. ha puntualizzato che, relativamente a tali associazioni, l’adempimento comunicativo è previsto soltanto per le operazioni commerciali poste in essere al di fuori delle attività istituzionali di ciascuna associazione.
È opportuno evidenziare, al riguardo, che i soggetti con detrazione forfetizzata, come le associazioni sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime di cui alla predetta L. 398/1991, comunicano le operazioni attive commerciali, ma non quelle passive perché gli acquisti non sono registrati, in quanto riconosciuti a forfait “a prescindere” (su tale aspetto, tuttavia, non è ancora giunta alcuna conferma ufficiale). Gli altri soggetti IVA, invece, comunicano le operazioni attive e passive, se rilevanti ai fini IVA e, quindi, per quelle passive, la comunicazione va fatta anche per gli acquisti non registrati perché la detrazione è preclusa o non viene esercitata; del resto, le istruzioni confermano che nella comunicazione, in mancanza della data di registrazione, va indicata la data di effettuazione dell’operazione.
Termine al 30 aprile per la trasmissione dei dati relativi al 2011
Nel documento in oggetto è stato ricordato, poi, che l’omessa comunicazione o la trasmissione di dati non corretti o incompleti comporta l’applicazione di quanto previsto dall’art. 11, comma 1, lettera a), del DLgs. 471/1997, per cui è punita con la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro l’omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli Uffici o dalla Guardia di Finanza al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di verifica e accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri. La F.I.G.C. ha ricordato che, però, è fatta salva la possibilità di ricorrere all’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del DLgs. 472/1997.
Infine, è stato precisato che, sebbene il termine ultimo per l’invio dei dati relativi al 2011 sia quello ormai prossimo del 30 aprile 2012 (anche se da indiscrezioni giornalistiche sembrerebbe trapelare la possibilità di un rinvio di una settimana), i contribuenti possono comunque inviare una nuova comunicazione entro 30 giorni per rettificare i dati già trasmessi senza l’applicazione di alcuna sanzione.
 / Alessandro BORGOGLIO

Contenzioso

Contenzioso

No all’inammissibilità per vizi della procura o di assistenza del contribuente

La Cassazione richiama il neointrodotto art. 182 del codice di procedura civile, nonché i propri precedenti

/ Sabato 28 aprile 2012
Nel processo tributario non è legittimo dichiarare subito l’inammissibilità del ricorso in caso di vizi che comportano la nullità della procura o, comunque, in presenza di difetti circa la rappresentanza e l’assistenza dei contribuenti.
In tal senso depongono sia il consolidato orientamento della Corte Costituzionale e della stessa Cassazione, secondo cui l’inammissibilità può essere dichiarata solo a seguito dell’inottemperanza, da parte del contribuente, circa l’ordine di regolarizzare la propria posizione, sia il sopravvento dell’art. 182 c.p.c., introdotto dalla L. 69/2009, secondo cui “quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.
Questo è l’importante principio sancito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 6532 depositata ieri, ove, per quanto è dato sapere, è la prima volta che, in ambito processuale tributario, viene richiamato il nuovo art. 182 del codice di procedura civile.
L’assunto dei giudici non può che essere accolto con favore, siccome dovrebbe scongiurare il ripetersi di dichiarazioni di inammissibilità dovute a questioni meramente formali, che mal si adattano a un sistema giuridico che, anche grazie alla sempre più forte ingerenza del diritto comunitario, deve essere ispirato al fondamentale principio di prevalenza della sostanza sulla forma.
In precedenti articoli, infatti, si era fatto presente che alcune volte i ricorsi sono dichiarati inammissibili per vizi della procura (si vedano “Ricorso introduttivo sottoscritto dal contribuente a rischio inammissibilità” del 7 aprile 2012, e “Inammissibilità del ricorso tributario «ristretta» con la riforma del CPC” del 28 novembre 2011), il che comporta un inutile dispendio di energie processuali per la parte, posto che, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di Cassazione, è “obbligata” magari a ricorrere in appello se non in Cassazione per poter finalmente ottenere dal giudice del merito l’ordine che, come detto, fa “stare in piedi” il ricorso.
Inammissibilità solo se non si adempie all’ordine giudiziale
Si noti che il principio contenuto nell’art. 182 c.p.c. ha una vasta applicazione, specie considerando che quanto esposto prima dalla Corte Costituzionale e poi dalla Cassazione era, ab origine, circoscritto al caso in cui il contribuente avesse sottoscritto il ricorso personalmente senza avvalersi del difensore (è in merito a questa situazione che, in base al combinato disposto degli artt. 18 e 12, comma 5, del DLgs. 546/92, i giudici avevano sancito che l’inammissibilità non va dichiarata subito, ma solo dopo l’inottemperanza all’ordine giudiziale circa la necessità di conferire l’incarico al difensore).
Molte sono le situazioni che rientrano, astrattamente, nella casistica illustrata, si pensi al classico caso di procura non autenticata o a vizi relativi alla rappresentanza del contribuente che, come nel caso di specie, possono verificarsi in ambito societario.
Anche per la parte resistente, a nostro avviso, l’art. 182 c.p.c. può tornare utile: è ora molto discutibile che il giudice tributario possa dichiarare la nullità, ad esempio, di un appello proposto dal Comune per difetto di autorizzazione, posto che dovrebbe assegnare alla parte un termine per il rilascio dell’autorizzazione stessa.
 / Alfio CISSELLO
dichiarazione dei redditi

Slittano i termini per i modelli 730/2012

Consegna al sostituto d’imposta entro il 16 maggio, oppure ad un CAF o ad un professionista abilitato entro il 20 giugno
/ Venerdì 27 aprile 2012
Con il comunicato stampa diffuso ieri, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato un apposito decreto per differire i termini relativi alla presentazione dei modelli 730/2012 da parte dei contribuenti e ai conseguenti adempimenti da parte dei sostituti d’imposta, dei CAF-dipendenti e dei professionisti abilitati a prestare assistenza fiscale.
Le proroghe previste in relazione ai modelli 730/2012 sono analoghe a quelle che erano state stabilite lo scorso anno dall’art. 2 del DPCM 12 maggio 2011.
Più tempo, pertanto, per la presentazione dei modelli 730/2012 da parte dei contribuenti che possono avvalersi dell’assistenza fiscale, tipicamente lavoratori dipendenti, pensionati e alcuni titolari di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (ad esempio, collaboratori coordinati e continuativi e lavoratori a progetto).
Se il modello 730/2012 viene presentato al sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale diretta, la scadenza ormai prossima del 30 aprile viene differita al 16 maggio. Si ricorda che la presentazione del modello 730 al sostituto d’imposta è possibile solo se il datore di lavoro o ente previdenziale ha comunicato, entro lo scorso 16 gennaio (il 15 era domenica), di voler svolgere questa attività. Per quanto riguarda i pensionati, la presentazione dei modelli 730 non è più possibile né all’INPS (come lo scorso anno) né all’INPDAP, in quanto ente soppresso e confluito nell’INPS, a decorrere dal 1° gennaio 2012, per effetto del DL 201/2011.
Il modello 730/2012 deve essere presentato al datore di lavoro o all’ente previdenziale già compilato e senza allegare alcuna documentazione di supporto, in quanto il sostituto d’imposta non deve rilasciare il visto di conformità sulla dichiarazione.
Se, invece, il modello 730/2012 viene presentato ad un CAF-dipendenti o ad un professionista abilitato (soggetto iscritto negli Albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o dei consulenti del lavoro), l’ordinario termine del 31 maggio è stato prorogato al 20 giugno 2012. Vengono conseguentemente differiti i termini entro cui il soggetto che presta l’assistenza fiscale deve consegnare al contribuente la copia del modello 730/2012 elaborato. Nello specifico, tale consegna deve avvenire entro il 15 giugno 2012 (invece del 31 maggio), se si tratta del sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale diretta, ovvero entro il 2 luglio 2012 (invece del 15 giugno), se si tratta di un CAF o di un professionista.
Proroga anche del termine entro cui i CAF e i professionisti che prestano assistenza fiscale devono trasmettere in via telematica i modelli 730/2012 all’Agenzia delle Entrate, che slitta al 12 luglio 2012 (in luogo del 2 luglio, in quanto il 30 giugno cade di sabato). Entro tale termine, devono essere trasmessi all’Agenzia delle Entrate i modelli 730/2012 elaborati, le schede relative alla destinazione dell’otto e del cinque per mille dell’IRPEF (modelli 730-1), i prospetti di liquidazione della dichiarazione (modelli 730-3) e la comunicazione dei risultati contabili dei modelli 730/2012 elaborati (modelli 730-4), ai fini dell’effettuazione dei conguagli in capo al contribuente, che la stessa Agenzia provvederà poi a “girare”, sempre in via telematica, ai sostituti d’imposta. Si ricorda che, da quest’anno, tutti i sostituti d’imposta sono tenuti a ricevere i modelli 730-4 in via telematica dall’Agenzia delle Entrate e, a tali fini, dovevano effettuare l’apposita comunicazione entro il 2 aprile 2012, ai sensi del provvedimento del 2 febbraio 2012, ad esclusione dei sostituti d’imposta che nel 2011 avevano già ricevuto i modelli 730-4 in via telematica dall’Agenzia delle Entrate e che non dovevano comunicare variazioni dei dati già forniti.
Nulla cambia, invece, in relazione alla trasmissione telematica dei modelli 730/2012 da parte dei sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale diretta, per i quali rimane ferma la scadenza del 2 luglio 2012. Si ricorda che, entro la suddetta data, il sostituto d’imposta che trasmette telematicamente i modelli 730/2012 deve comunque consegnare ad un intermediario abilitato o ad un ufficio postale le buste con le schede per la destinazione dell’otto e del cinque per mille dell’IRPEF (modelli 730-1); per motivi di riservatezza, infatti, il sostituto d’imposta non può mai aprire tali buste per inviare telematicamente i relativi dati, ma deve sempre rivolgersi ad un soggetto esterno. La suddetta scadenza del 2 luglio rimane ferma anche qualora il sostituto d’imposta incarichi un intermediario abilitato di effettuare la trasmissione telematica sia dei modelli 730/2012 elaborati che delle buste con le schede per la destinazione dell’otto e del cinque per mille dell’IRPEF (modelli 730-1).

Contenzioso


La Consulta conferma la sospendibilità per le sentenze tributarie

Dovrebbe essere pacifica la possibilità di sospendere sia le sentenze di primo grado che quelle di appello

/ Venerdì 27 aprile 2012
Poco tempo fa (si veda “Torna alla Consulta la sospendibilità delle sentenze” del 16 aprile 2012) avevamo messo in risalto il fatto che fosse stata nuovamente rimessa all’esame della Corte Costituzionale la questione concernente la possibilità di sospendere le sentenze del giudice tributario, in quanto per il giudice a quo la precedente sentenza n. 217/2010 non era convincente.
Con la sentenza n. 109/2012, pubblicata ieri sul sito internet della Corte, detta pronuncia è però stata confermata integralmente.
Le osservazioni della Corte Costituzionale non dovrebbero lasciare quindi più dubbi in merito all’applicabilità, nel processo tributario:
- dell’art. 373 c.p.c., relativo alla possibilità, per il giudice di appello, di sospendere la sentenza dallo stesso emessa e impugnata mediante ricorso per Cassazione;
- dell’art. 283 c.p.c., relativo alla possibilità, per il giudice di appello, di sospendere la sentenza di primo grado.
In base alla sentenza n. 109/2012, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 49 del DLgs. 546/92, nella parte in cui, così come erroneamente interpretata dal giudice di merito, esclude, nel contenzioso tributario, la possibilità di sospendere gli effetti delle sentenze.
I giudici costituzionali rilevano in primo luogo che la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 217 del 17 giugno 2010, ha dichiarato infondata la questione sostenendo che, mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata, è possibile pervenire ad una diversa conclusione.
Nella menzionata decisione, il Giudice delle Leggi, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità dell’art. 49 del DLgs. 546/92, aveva chiarito che, siccome l’art. 49 prevede l’inapplicabilità dell’art. 337 c.p.c. (relativo all’esecutività delle sentenze) e, a sua volta, tale norma contempla un’ulteriore eccezione alla regola (l’art. 337 c.p.c. sancisce che le sentenze non sono sospese per effetto dell’impugnazione, eccezion fatta per gli artt. 373 e 283 c.p.c., che abilitano il giudice di appello a sospendere le sentenze, in costanza di determinati presupposti), l’inapplicabilità della regola dell’art. 337 c.p.c. non comporta necessariamente l’inapplicabilità anche “delle sopraindicate eccezioni alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenze di appello impugnata per Cassazione”.
In base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, quindi, anche nel rito fiscale era stata sancita la possibilità di sospensione delle sentenze, determinando che la tutela cautelare non poteva più ritenersi circoscritta al primo grado di giudizio.
Vince l’interpretazione costituzionalmente orientata
Inoltre, prosegue la Consulta, la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 2845 del 24 febbraio 2012, si è uniformata al principio affermato con la sentenza n. 217/2010, così come lo stesso giudice a quo con la pronuncia del 20 giugno 2011.
Come ulteriore affermazione, non è possibile sostenere, come fatto nell’ordinanza di rimessione, che il sistema processuale tributario prevede la sospensione, in appello, delle sole sanzioni (art. 19 del DLgs. 472/97), siccome tale norma concerne la sospensione degli effetti dell’atto impugnato e non la sospensione delle sentenze.
In effetti, tale precisazione appare poco persuasiva da un punto di vista anche pratico: il sistema prevede che le sanzioni possano essere sospese dal giudice di appello semplicemente perché, in primo grado, esse non possono essere riscosse (salvo alcune eccezioni come nella liquidazione automatica). In realtà il primo grado si svolge in appello, proprio a causa del particolare regime di riscossione in pendenza di giudizio contemplato per le sanzioni (dato dal combinato disposto degli artt. 19 del DLgs. 472/97 e 68 del DLgs. 546/92).
 / Alfio CISSELLO
diritto societario

Più tempo per la rettifica a favore delle dichiarazioni in fase di liquidazione

La risoluzione 41 dell’Agenzia delle Entrate analizza le modalità di computo dei termini per l’UNICO integrativo

/ Venerdì 27 aprile 2012
La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 41 del 26 aprile 2012 esamina una questione di notevole importanza per le società interessate da operazioni straordinarie, rappresentata dalla corretta individuazione dei termini per la presentazione di una dichiarazione integrativa “a favore”.
La problematica nasce dalla formulazione dell’art. 2, comma 8-bis, del DPR 322/98, ai sensi del quale la rettifica a proprio favore è consentita se essa avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo. Applicando letteralmente la disposizione, pertanto, vi sarebbero casi in cui il lasso di tempo tra la presentazione della dichiarazione errata e la presentazione di quella integrativa sarebbe esiguo.
La soluzione adottata dell’Agenzia delle Entrate è quella per cui il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del DPR 322/98 va riferito “al termine ordinario di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo unitariamente considerato, indipendentemente dal verificarsi di un evento straordinario quale la messa in liquidazione”.
Si prenda ad esempio una liquidazione che ha avuto effetto dal 26 febbraio 2012; in tal caso, il termine per la presentazione della dichiarazione del 2011 è il 30 settembre 2012, e la rettifica a proprio favore dovrebbe essere effettuata entro il 30 novembre 2012 (termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo 1° gennaio 2012 – 25 febbraio 2012). Per effetto della risoluzione, questo termine dovrebbe ora essere individuato nel 30 settembre 2013, ovvero nel termine di presentazione della dichiarazione per il 2012, se “unitariamente considerato”.
La risoluzione non sembra, tuttavia, considerare in modo espresso i termini per la rettifica a proprio favore della dichiarazione del periodo “ante liquidazione”.
Si pensi, ad esempio, ad una liquidazione di una società con esercizio sociale coincidente con l’anno solare, iniziata il 20 novembre 2011; il termine di presentazione della dichiarazione del periodo “ante liquidazione” scadrebbe il 31 agosto 2012 (ultimo giorno del nono mese successivo), ma se si intendesse rettificare a proprio favore tale dichiarazione il termine scadrebbe al 30 settembre 2012, ovvero nello stesso giorno in cui scade il termine di presentazione del modello UNICO per il periodo 20 novembre 2011 – 31 dicembre 2011 (periodo d’imposta successivo a quello chiuso al 19 novembre 2011).
Letteralmente, il principio indicato dalla risoluzione (per cui il termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis, del DPR 322/98 va riferito al termine ordinario di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo unitariamente considerato) lascerebbe la problematica irrisolta, in quanto il termine per la presentazione della dichiarazione del 2011 – anche se unitariamente considerato – scadrebbe comunque al 30 settembre 2012.
Appare quindi logico ritenere che la ratio dell’interpretazione possa essere quella di concedere sempre un periodo “di ripensamento” almeno pari a 12 mesi per le dichiarazioni rettificative; nell’esempio appena proposto, il termine di presentazione della dichiarazione rettificativa del periodo d’imposta chiuso al 19 novembre 2011 non cadrebbe al 30 settembre 2012, bensì al 30 settembre 2013 (termine di presentazione del primo esercizio di 12 mesi consecutivi dopo la messa in liquidazione).
Si tratta di questioni che, in virtù della formulazione non cristallina della risoluzione 41/2012, andrebbero meglio precisate da parte dell’Agenzia delle Entrate, per i rilevanti effetti pratici che rivestono per le società.
Possibile estensione a tutte le operazioni straordinarie
Da ultimo, nulla sembra impedire l’estensione dei principi sottesi dalla risoluzione alle dichiarazioni presentate dalle società che hanno effettuato trasformazioni, fusioni e scissioni; nonostante la formulazione del TUIR e del DPR 322/98 non sia perfettamente sovrapponibile per tutte queste operazioni, l’elemento comune sembra rinvenirsi nella possibilità di considerare, ai soli fini del computo dei termini per la presentazione delle dichiarazioni rettificative, l’esercizio che viene frazionato in due periodi d’imposta come un unico periodo.
 / Massimo NEGRO e Gianluca ODETTO
FONTE:EUTEKNE
Immobili

L’erede può autocertificare i requisiti «prima casa»

L’Agenzia chiarisce che, in tal caso, le ipocatastali possono applicarsi in misura fissa se l’erede attesta la presenza delle condizioni agevolative

/ Venerdì 27 aprile 2012
In caso di morte dell’erede che aveva titolo per applicare l’agevolazione prima casa in relazione alla quota di immobile trasferita per successione, la dichiarazione di presenza dei requisiti agevolativi può essere resa dal figlio, cui si trasmette il diritto di accettare l’eredità per conto del genitore defunto.
Questo è il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 40 di ieri, 26 aprile 2012.
L’interpello concerne l’applicazione dell’agevolazione prima casa in ipotesi di successione, questione che era già stata esaminata nella precedente ris. 15 marzo 2011 n. 33 (si veda “Prima casa: se un coerede dichiara il falso, la decadenza opera per tutti” del 16 marzo 2011).
Si ricorda, in proposito, che, a norma dell’art. 69, comma 3 della L. 342/2000, l’agevolazione prima casa può trovare applicazione, seppur limitatamente alle sole imposte ipotecaria e catastale, anche in ipotesi di acquisto per successione dell’immobile abitativo, ove in capo all’erede sussistano le condizioni agevolative di cui alla nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86.
Pertanto, a norma del citato art. 69, le imposte ipotecaria e catastale trovano applicazione in misura fissa (168 + 168 euro) se un’abitazione non di lusso è trasferita per successione ad un erede che:
- risiede nel Comune in cui si trova l’immobile trasferito per successione, o dichiara di volervi trasferire la residenza entro 18 mesi;
- non è titolare di diritti di proprietà, uso, usufrutto o abitazione, su altre case di abitazione nel medesimo Comune in cui si trova l’immobile trasferito per successione;
- non è titolare, neppure per quote, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà su altre case di abitazione acquistate con l’agevolazione prima casa.
La presenza di tali condizioni agevolative, come chiarito dal’Agenzia delle Entrate nella circ. 7 maggio 2001 n. 44, deve essere dichiarata dal contribuente nella dichiarazione di successione.
Nel caso oggetto di interpello, le difficoltà nell’applicazione dell’agevolazione derivavano da un’intricata vicenda successoria.
Infatti, nel caso di specie, un mese dopo la morte del padre, moriva anche la madre del contribuente. I due genitori erano titolari, in comproprietà al 50% ciascuno, di un immobile abitativo.
Atteso che, in capo alla madre, sussistevano le condizioni per l’agevolazione prima casa, il contribuente intendeva presentare la dichiarazione di successione del padre, in cui la madre figurava come erede, richiedendo l’agevolazione prima casa e dichiarando la presenza, in capo alla madre, delle condizioni agevolative.
L’Agenzia delle Entrate avalla la soluzione proposta dal contribuente, affermando che il contribuente, in quanto “successivo chiamato all’eredità, ai sensi dell’articolo 479 del codice civile”, è legittimato a presentare la dichiarazione di successione per conto della propria madre, in quanto questa è mancata prima di poter accettare l’eredità.
Si ricorda, infatti, che, a norma dell’art. 479 c.c., “se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi”. Pertanto, nel caso di specie, il diritto di accettare l’eredità del padre (spettante alla madre) si trasmette al figlio, che può, quindi, accettare l’eredità del padre per conto della propria madre, purché, però, egli abbia, a sua volta, accettato l’eredità della madre, all’interno della quale si trova anche il diritto di accettare l’eredità paterna.
Il diritto di accettare l’eredità si trasmette all’erede
Di conseguenza – aggiunge l’Agenzia – il figlio può, mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, resa, ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000, nell’interesse proprio, attestare l’esistenza delle condizioni agevolative per l’applicazione del beneficio “prima casa” in capo alla madre, in quanto si tratta di un’attestazione concernente “stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza”.
 / Anita MAURO
reddito d'impresa

Operazioni straordinarie alla prova dell’ACE

Tale relazione viene approfondita dal Consorzio Studi e Ricerche fiscali del gruppo Intesa San Paolo

/ Venerdì 27 aprile 2012
Con la circolare del 26 aprile 2012 n. 3, il Consorzio Studi e Ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo esamina l’agevolazione per la crescita economica (ACE) di cui all’art. 1 del DL 201/2011. Nonostante l’analisi riguardi tutti i profili applicativi dell’agevolazione (presupposti, modalità di applicazione, calcolo dell’agevolazione, disposizioni antielusive e così via), nel presente intervento ci si soffermerà sulle considerazioni esposte in merito al rapporto tra l’ACE e le operazioni straordinarie.
Il documento in esame precisa, innanzitutto, che il DM 14 marzo 2012 non contiene disposizioni specifiche relative alle operazioni straordinarie, posto che esse non costituiscono, di per sé, presupposto per l’applicazione dell’agevolazione. Al riguardo, la relazione ha precisato che “trovano applicazione, tendenzialmente, i principi generali che connotano tali operazioni”.
Per quanto riguarda la fusione, la circolare in oggetto rileva che tale operazione non è idonea, di per sé, a determinare alcuna variazione rilevante ai fini ACE, né in aumento né in diminuzione, neppure nel caso in cui la fusione avvenga con concambio e, conseguentemente, al servizio dell’operazione si determini un incremento del patrimonio netto della società incorporante o risultante dalla fusione; ciò in quanto ai fini della fruizione dell’agevolazione non rilevano gli incrementi patrimoniali in natura, ma solo quelli in denaro ovvero gli accantonamenti di utili a riserva ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili. Parimenti, deve considerarsi irrilevante la circostanza che fra gli elementi dell’attivo dell’incorporata siano incluse somme di denaro.
Peraltro, in mancanza di apposita disciplina, secondo il Consorzio, devono ritenersi validi i chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria in occasione della DIT (cfr. C.M. n. 76/1998). In particolare, è stato precisato che la società risultante dalla fusione o quella incorporante possono, a partire dalla data in cui ha effetto la fusione, determinare l’incremento del capitale proprio investito, assumendo anche la variazione del capitale investito delle società fuse o incorporate. Ciò coerentemente con il principio sancito dal comma 4 dell’art. 172 (già 123) del TUIR, secondo cui, dalla data in cui ha effetto la fusione, la società incorporante o risultante dalla funzione subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate. In pratica, per determinare l’incremento di patrimonio netto rilevante ai fini ACE, l’incorporante dovrà sommare al proprio incremento anche quello manifestatosi presso l’incorporata.
Tuttavia, secondo il Consorzio, detto principio deve essere “temperato” nel caso in cui la società incorporante incorpori una propria partecipata alla quale in precedenza abbia effettuato un conferimento rilevante. In tale ipotesi, con riferimento alla DIT, la risoluzione n. 147/2002 dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che la disciplina relativa alle sterilizzazioni dei conferimenti a società appartenenti al medesimo gruppo non dovesse risolversi in annullamenti ingiustificati dell’agevolazione, dovendo la società incorporante rilevare – rispetto alla sua situazione ante fusione – il medesimo incremento del capitale di cui già godeva, senza che i conferimenti effettuati alla società controllata successivamente incorporata assumano rilevanza come incrementi di capitale da un lato e come sterilizzazioni dello stesso dall’altro. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria ha affermato la necessità di eliminare le sterilizzazioni dei conferimenti da parte della controllante incorporante a favore della controllata incorporata e, nel contempo, di ridurre gli incrementi di quest’ultima derivanti dai predetti conferimenti.
Tali indicazioni devono ritenersi valide, secondo il Consorzio, anche per l’ACE.
Eccedenza ACE trasferita all’incorporante
In base ai principi generali, l’eventuale quota eccedente di ACE dell’incorporata, riportabile ai periodi d’imposta successivi, si trasferisce anch’essa all’incorporante. Peraltro, in assenza di qualsiasi rinvio all’art. 172, comma 7 del TUIR, in materia di riporto delle perdite fiscali pregresse, dovrebbe ritenersi che il trasferimento della quota eccedente di ACE non debba essere subordinato ad alcuna limitazione, né riguardo alla “vitalità” dei soggetti partecipanti alla fusione né con riferimento al limite massimo del patrimonio netto della società dante causa, diversamente da quanto accade, invece, per il riporto delle eccedenze di interessi passivi o di ROL ai sensi dell’art. 96 del TUIR.
Anche per la scissione valgono le medesime considerazioni in merito all’irrilevanza dell’operazione a creare, di per sé, incrementi di patrimonio netto rilevanti ai fini della disciplina.
Il criterio di ripartizione proporzionale dovrebbe valere anche per le eccedenze di ACE formatesi presso la scissa in precedenti periodi d’imposta. Come per le fusioni, non dovrebbero trovare applicazione i limiti in materia di riporto della perdite fiscali.
 / Pamela ALBERTI
iva

Vendita di immobili tra parti collegate, base imponibile IVA al valore normale

La norma generale, secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto, prevede un’eccezione per alcuni casi

/ Venerdì 27 aprile 2012
La Corte di giustizia, con la sentenza del 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, esamina una problematica IVA di particolare interesse concentrandosi, appunto, sulla vendita di beni immobili fra società collegate, con le inevitabili “ricadute” in tema di valore normale dell’operazione effettuata.
Procedendo con ordine, la vicenda riguarda due procedimenti.
Il primo, causa C-621/10, interessa una spa bulgara impegnata in un’attività di investimento di fondi acquistati mediante l’emissione di titoli immobiliari. Nel 2009, la società ha acquistato da un’altra società, in possesso di una percentuale azionaria della prima, alcuni immobili. L’imposta è stata detratta “al momento della conclusione del contratto definitivo e dell’emissione delle fatture finali”. Poiché la normativa nazionale stabilisce che, in caso di vendita fra parti collegate, la base imponibile sia pari al valore normale dei beni, sono state commissionate due perizie, una da parte della società e l’altra dall’Amministrazione finanziaria competente, la quale, concludendo che il valore normale dei beni fosse inferiore al prezzo di vendita effettivo di questi ultimi, ha considerato l’IVA calcolata su un prezzo superiore al valore normale dei beni quale imposta indebitamente fatturata non soggetta a detrazione.
Il secondo, causa C-129/11, concerne una srl bulgara la cui attività principale consiste nell’affitto di terreni agricoli e strutture in acciaio utilizzate per serre in polietilene. Tale società ha venduto nel 2009 “due terreni utilizzati per serre a uno dei suoi soci e un terreno al suo rappresentante”. Per tali vendite, la società ha emesso fatture al netto dell’IVA. Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria competente ha ritenuto che le vendite degli immobili includessero sia una cessione di terreni esente dall’IVA sia una cessione imponibile di elementi accessori, migliorie e colture permanenti. Come nel caso precedente, poiché le vendite erano tra parti collegate, la base imponibile ai fini dell’IVA era pari al valore normale stabilito da un perito. Quest’ultimo, tuttavia, ha stimato che il valore normale globale delle sole strutture in polietilene fosse di per sé superiore a quello realmente versato come corrispettivo, così legittimando l’azione di “recupero” dell’Amministrazione finanziaria.
Focalizzando la nostra attenzione sui quesiti maggiormente interessanti di cui si è occupata la Corte di Giustizia, emerge innanzitutto che l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che le condizioni di applicazione da esso indicate sono tassative e che, pertanto, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l’IVA, circostanza che spetta al giudice nazionale accertare.
Eccezione da interpretare restrittivamente
La soluzione prospettata dalla Corte passa attraverso l’esame della norma generale prevista dall’articolo 73 della Direttiva IVA, secondo cui la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio, effettuate a titolo oneroso, è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo. Nello specifico, si ribadisce che il corrispettivo costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi. Tuttavia, nel consentire in taluni casi di considerare che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione, l’articolo 80, paragrafo 1, introduce un’eccezione alla norma generale (prevista dall’articolo 73) che, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente.
In merito, poi, alla questione sollevata dal giudice del rinvio, ossia se l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA abbia un effetto diretto “e se il giudice nazionale possa, di conseguenza, applicarla direttamente alle controversie principali”, la risposta della Corte è decisa: “l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA conferisce alle società interessate il diritto di avvalersene direttamente al fine di opporsi all’applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con tale norma. Nell’impossibilità di procedere ad un’interpretazione della normativa interna in conformità con tale articolo 80, paragrafo 1, il giudice del rinvio dovrebbe disapplicare qualsiasi disposizione di tale normativa che contrasti con esso”.
 / Vincenzo CRISTIANO
IVA

Spesometro 2011, rush finale verso la scadenza del 30 aprile

Invariato il termine per la comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, anche se da più parti si chiede una proroga

/ Giovedì 26 aprile 2012
La comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di cui all’art. 21 del DL 78/2010, relativa all’anno 2011, è al rush finale. Dalle notizie apparse sul sito www.fiscooggi.it, infatti, sembra che il termine sia definitivamente fissato al prossimo 30 aprile 2012, anche se da più parti si richiede una proroga, tra l’altro già concessa agli operatori finanziari per l’invio dei dati riferiti alle operazioni effettuate con soggetti non passivi d’imposta ai fini IVA, a partire dal 1° luglio 2011, il cui pagamento sia avvenuto con carte di credito, di debito o prepagate (operazioni quindi escluse dallo spesometro).
Ricordando l’apertura dell’Agenzia delle Entrate – che con il comunicato stampa del 5 aprile ha consentito l’inserimento, anche per l’anno 2011, di tutte le operazioni, a prescindere dall’importo delle stesse – in questa sede si intende fornire un breve memorandum finale alle aziende e ai professionisti impegnati su questo fronte.
In particolare, è opportuno ricordare i seguenti aspetti:
in primis, l’obbligo di comunicazione riguarda esclusivamente le operazioni rilevanti ai fini IVA, essendo quindi escluse quelle carenti di uno dei presupposti di applicazione del tributo (cosiddetto “fuori campo”), nonché quelle escluse dalla base imponibile, quali le spese anticipate in nome e per conto di cui all’art. 15 del DPR 633/72;
- in secondo luogo, alcune categorie di operazioni sono escluse dall’obbligo di comunicazione, in quanto già conosciute da parte dell’Amministrazione finanziaria. In tale ambito rientrano, a titolo esemplificativo, le esportazioni, le importazioni, le operazioni intracomunitarie inserite negli elenchi Intrastat, nonché quelle effettuate o ricevute con operatori economici aventi sede in Paesi black list (resta invece fermo l’obbligo di comunicare le cessioni all’esportatore abituale, non imponibili ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), del DPR 633/72);
- infine, sono escluse dall’obbligo di comunicazione tutte quelle operazioni per le quali sono già vigenti altri obblighi di trasmissione all’Amministrazione finanziaria, quali, ad esempio, quelle oggetto di comunicazione all’Anagrafe tributaria (art. 7 del DPR 605/73).
In relazione a tale ultima categoria di operazioni, è bene ricordare alcuni chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate (circ. n. 24/2011 e circ. n. 28/2011). In particolare, dalla lettura dei predetti documenti, emerge che sono escluse dall’obbligo di comunicazione le cessioni di beni immobili, fermo restando l’obbligo di comunicazione di eventuali acconti su cessioni immobiliari laddove siano oggetto di registrazione nell’anno precedente a quello della stipula dell’atto notarile di trasferimento (si pensi, ad esempio, ad acconti pagati in relazione a contratti preliminari sottoscritti nell’anno precedente a quello di stipula del rogito notarile).
Particolare attenzione per quanto riguarda i leasing
Particolare attenzione, invece, deve essere prestata in relazione ai leasing (immobiliari e mobiliari), nonché ai contratti di locazione e noleggio di alcuni beni, indicati nel provvedimento direttoriale del 22 dicembre 2011 (autovetture, caravan, unità da diporto, ecc.), per i quali l’esonero dall’obbligo di inserimento nello spesometro riguarda solamente la società di leasing o di locazione/noleggio e non anche il soggetto utilizzatore del bene. Secondo l’Agenzia, infatti, l’esonero in questione è di natura soggettiva per le sole società di leasing e di noleggio, e non di natura oggettiva, in quanto lo scopo è quello di evitare di duplicare gli adempimenti in capo alle società che erogano tale tipologia di servizi. Tali soggetti, infatti, possono comunicare i dati dello spesometro all’interno della comunicazione all’Anagrafe tributaria, utilizzando un apposito record all’uopo istituito. Infine, a mero titolo esemplificativo, si ricorda che sono previsti anche i seguenti esoneri: operazioni relative a contratti di mutuo, operazioni relative alle cosiddette “utenze” (energia elettrica, gas e acqua), nonché quelle afferenti contratti di assicurazione (circ. n. 24/2011) e, infine, le utenze telefoniche (nota del 22 dicembre 2011).
 / Sandro CERATO
FONTE:EUTEKNE