residenza fiscale
Individuazione della residenza, non basta l’utenza elettrica in Italia
Inoltre, l’art. 2 comma 2 del TUIR prevede, per la residenza, un requisito temporale di almeno 183 giorni nell’arco di un periodo d’imposta
La semplice intestazione di un’utenza domestica di energia elettrica non configura, di per sé, una circostanza sufficiente per ricondurre in Italia la sede principale degli affari e degli interessi di un contribuente residente all’estero. Lo ha stabilito la C.T. Prov. di Milano, con la sentenza n. 241 del 20 luglio 2011.
L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento a una persona fisica, per l’anno d’imposta 2005, determinando una maggiore IRPEF dovuta, oltre a sanzioni e interessi. La rettifica parziale, ai sensi dell’articolo 41-bis del DPR 600/1973, nasceva dalle informazioni desunte dall’Anagrafe tributaria, in base alle quali risultava che il soggetto accertato avesse percepito, nel 2005, compensi non dichiarati.
Il contribuente proponeva ricorso avverso l’atto impositivo, eccependo che in tale periodo d’imposta era residente all’estero, come risultante dai certificati comunali allegati, nonché dall’iscrizione all’A.I.R.E. e dalla dichiarazione dei redditi presentata, nel cui frontespizio era stata indicata, appunto, tale circostanza. Il compenso che secondo l’Ufficio non sarebbe stato dichiarato era riconducibile, invero, all’attività di collaborazione coordinata e continuativa (contratto a progetto di cui all’art. 61 del DLgs. 276/2003) prestata a favore di un soggetto residente nello Stato, ma svolta dal ricorrente in totale autonomia, dalla sua residenza estera, con modalità telematiche. Il relativo compenso, di cui l’Ufficio contestava l’omessa dichiarazione, era stato assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, ai sensi dell’articolo 24, comma 1-ter, del DPR 600/1973, non dovendo più essere indicato, quindi, nella dichiarazione dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate controdeduceva – per la prima volta in tale sede, come rilevato dai giudici di merito – che il contribuente non poteva essere considerato non residente, atteso che risultava intestatario di un immobile in Italia, a partire da ottobre 2005, peraltro, regolarmente indicato nella dichiarazione dei redditi, e soprattutto risultava intestatario di un’utenza elettrica, con tariffa domestica ad uso residenti, già attiva da settembre 2005.
I giudici di prime cure non ha condiviso la tesi della difesa erariale, poiché la sola esistenza nel territorio dello Stato di un’utenza intestata al contribuente non poteva essere sufficiente, di per sé, a ricondurre in Italia la sede principale degli affari e degli interessi del ricorrente. Inoltre, i giudici di merito hanno evidenziato che il consumo in Kwh era stato piuttosto modesto. Infine, anche a voler considerare il contribuente come residente in Italia per via dell’attivazione di tale utenza, essa avrebbe avuto comunque decorrenza da settembre 2005, ovvero per un periodo di tempo inferiore a quello richiesto dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, in base al quale si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Il Collegio ha accolto, pertanto, il ricorso, annullando l’avviso di accertamento.
Nel caso oggetto della pronuncia in commento, secondo i giudici provinciali, la semplice intestazione di un’utenza elettrica non poteva essere ritenuta sufficiente a integrare tale concetto di centro di interessi personali e patrimoniali, né a dimostrare la presenza fisica del soggetto presso tale luogo. Del resto, ancora recentemente, la Suprema Corte ha stabilito che la natura fittizia della residenza (o del trasferimento della medesima) all’estero deve essere dimostrata dall’Amministrazione finanziaria con circostanze che assumano la qualità di indizi gravi, precisi e concordanti. A tal fine, la rilevanza dei legami familiari e affettivi e la determinazione del centro di interessi deve essere valutata caso per caso (cfr. Cass. n. 23249/2010).
/ Alessandro BORGOGLIO
L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento a una persona fisica, per l’anno d’imposta 2005, determinando una maggiore IRPEF dovuta, oltre a sanzioni e interessi. La rettifica parziale, ai sensi dell’articolo 41-bis del DPR 600/1973, nasceva dalle informazioni desunte dall’Anagrafe tributaria, in base alle quali risultava che il soggetto accertato avesse percepito, nel 2005, compensi non dichiarati.
Il contribuente proponeva ricorso avverso l’atto impositivo, eccependo che in tale periodo d’imposta era residente all’estero, come risultante dai certificati comunali allegati, nonché dall’iscrizione all’A.I.R.E. e dalla dichiarazione dei redditi presentata, nel cui frontespizio era stata indicata, appunto, tale circostanza. Il compenso che secondo l’Ufficio non sarebbe stato dichiarato era riconducibile, invero, all’attività di collaborazione coordinata e continuativa (contratto a progetto di cui all’art. 61 del DLgs. 276/2003) prestata a favore di un soggetto residente nello Stato, ma svolta dal ricorrente in totale autonomia, dalla sua residenza estera, con modalità telematiche. Il relativo compenso, di cui l’Ufficio contestava l’omessa dichiarazione, era stato assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, ai sensi dell’articolo 24, comma 1-ter, del DPR 600/1973, non dovendo più essere indicato, quindi, nella dichiarazione dei redditi.
L’Agenzia delle Entrate controdeduceva – per la prima volta in tale sede, come rilevato dai giudici di merito – che il contribuente non poteva essere considerato non residente, atteso che risultava intestatario di un immobile in Italia, a partire da ottobre 2005, peraltro, regolarmente indicato nella dichiarazione dei redditi, e soprattutto risultava intestatario di un’utenza elettrica, con tariffa domestica ad uso residenti, già attiva da settembre 2005.
I giudici di prime cure non ha condiviso la tesi della difesa erariale, poiché la sola esistenza nel territorio dello Stato di un’utenza intestata al contribuente non poteva essere sufficiente, di per sé, a ricondurre in Italia la sede principale degli affari e degli interessi del ricorrente. Inoltre, i giudici di merito hanno evidenziato che il consumo in Kwh era stato piuttosto modesto. Infine, anche a voler considerare il contribuente come residente in Italia per via dell’attivazione di tale utenza, essa avrebbe avuto comunque decorrenza da settembre 2005, ovvero per un periodo di tempo inferiore a quello richiesto dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, in base al quale si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Il Collegio ha accolto, pertanto, il ricorso, annullando l’avviso di accertamento.
Distinguo fra i concetti di “residenza” e “domicilio”
Ritornando al summenzionato articolo 2, le nozioni a cui occorre fare riferimento sono quelle del codice civile, che, all’art. 43, dispone che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Se quest’ultima definizione appare sufficientemente chiara, legandola ad un concetto di presenza fisica del soggetto, più sfumata risulta invece la prima. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha inteso il domicilio come la sede principale degli affari e interessi economici, nonché delle relazioni personali (cfr. Cass. n. 14434/2010): si tratta cioè del centro degli interessi vitali, ossia del luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali (cfr. Cass. n. 13803/2001 e, più recentemente, Cass. n. 6934/2011).Nel caso oggetto della pronuncia in commento, secondo i giudici provinciali, la semplice intestazione di un’utenza elettrica non poteva essere ritenuta sufficiente a integrare tale concetto di centro di interessi personali e patrimoniali, né a dimostrare la presenza fisica del soggetto presso tale luogo. Del resto, ancora recentemente, la Suprema Corte ha stabilito che la natura fittizia della residenza (o del trasferimento della medesima) all’estero deve essere dimostrata dall’Amministrazione finanziaria con circostanze che assumano la qualità di indizi gravi, precisi e concordanti. A tal fine, la rilevanza dei legami familiari e affettivi e la determinazione del centro di interessi deve essere valutata caso per caso (cfr. Cass. n. 23249/2010).
/ Alessandro BORGOGLIO
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