Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
Variazioni all 'Agenzia delle Entrate
Cessioni di quote di Società Srl
Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari

mercoledì 30 novembre 2011

La «soglia» per l’ipoteca esattoriale comprende anche i debiti INPS


La «soglia» per l’ipoteca esattoriale comprende anche i debiti INPS

Nel limite di ottomila euro non rientrano solo i debiti tributari, ma tutti quelli dati ad Equitalia dai vari enti

/ Mercoledì 30 novembre 2011
L’art. 77 del DPR 602/73 stabilisce che, decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, Equitalia può iscrivere ipoteca esattoriale sui beni immobili del contribuente; nel sistema degli accertamenti esecutivi, invece, l’ipoteca può essere disposta decorsi, di norma, novanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento.
In entrambe le ipotesi, l’adozione dell’ipoteca deve sottostare a specifici limiti di valore, che poi sono gli stessi dettati dall’art. 76 del DPR 602/73 per l’espropriazione immobiliare.
Come criterio generale, essa non può essere adottata per i debiti di valore inferiore a ottomila euro. Poi, se il debito è contestato o contestabile in via giudiziale e se l’immobile da ipotecare è adibito ad abitazione principale del contribuente, il limite è elevato a 20.000 euro (quest’ultima soglia è stata introdotta dal DL 70/2011, si veda “Ipoteca esattoriale limitata per la «prima casa»” del 19 luglio 2011).
La Commissione tributaria provinciale di Novara, sentenza del 14 marzo scorso n. 23 sezione VI, si è pronunciata in merito al criterio per quantificare la soglia degli ottomila euro (ma alle stesse conclusioni si può giungere per la neointrodotta soglia dei ventimila euro).
Lo stesso discorso dovrebbe valere per il limite dei 20.000 euro
Nello specifico, i giudici affermano che il carico iscritto a ruolo nei confronti del contribuente ammontava a più di 17.000 euro, quindi ciò, di per sé, legittima l’iscrizione dell’ipoteca.
In altri termini, non è necessario che il limite di ottomila euro si riferisca a crediti di natura esclusivamente fiscale.
I giudici affermano che “la ratio della norma consiste nel delimitare, dal punto di vista quantitativo, la possibilità per l’Agente della riscossione di ricorrere ad esecuzione immobiliare, in modo da contemperare l’interesse degli enti impositori all’incasso di quanto dovuto con quello dei contribuenti/debitori a non essere sottoposti a procedure coattive troppo onerose in relazione alle somme a debito”.
Tirando le somme, la natura giuridica del debito rileva solo ai fini della determinazione del giudice fornito di giurisdizione, ma non ai fini della quantificazione della soglia.
Equitalia, come noto, riceve ruoli e debiti di vari enti impositori, infatti si va dalle imposte, alle sanzioni Antitrust, ai premi previdenziali, sino alla contravvenzioni per violazioni del Codice della Strada. Tutti questi debiti devono essere riscossi, e, salvo alcune eccezioni, le norme che disciplinano l’esecuzione sono sempre quelle del DPR 602/73.
Se nel complesso il debito a carico di un contribuente è superiore alle soglia, l’ipoteca può essere adottata.
Da ciò consegue a nostro avviso che, qualora il debito, per effetto dello sgravio di un ente impositore o di annullamento del giudice fornito di giurisdizione, venga portato sotto la soglia, l’ipoteca diviene automaticamente inadottabile: infatti, se il debito deve essere considerato nel suo complesso, devono avere rilievo le vicende di quel debito, prescindendo dalla natura dello stesso.
 / Alfio CISSELLO

martedì 29 novembre 2011

Il ravvedimento operoso Il DL 98/2011

Il ravvedimento operoso 

il 25 luglio 2011

Il DL 98/2011, convertito in Legge 111/2011, introduce una nuova modalità di ravvedimento nel caso il contribuente che non abbia pagato le imposte provveda a farlo entro pochi giorni dalla scadenza originaria del debito. Si tratta di una terza via che potrà essere utilizzata per sanare pagamenti entro i 14 giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento, che va ad aggiungersi ai già esistenti “ravvedimento breve” e “ravvedimento lungo” e che consentirà di pagare sanzioni più leggere nell’ordine dello 0,2% per ogni giorno di ritardo.
Schematizzando, con le novità introdotte dalla manovra correttiva 2011, le possibilità a disposizione del contribuente per sanare imposte non pagate alla scadenza sono diventare tre:
  1. Ravvedimento Sprint: utilizzabile entro i 14 giorni successivi alla scadenza del termine per il versamento;
  2. Ravvedimento breve: utilizzabile dal quindicesimo giorno fino al trentesimo giorno successivo alla scadenza;
  3. Ravvedimento lungo: utilizzabile entro il  termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore.
Ma prima di entrare nel merito degli importi delle sanzioni, delle modalità di calcolo delle stesse e di eventuali esempi esplicativi, è bene richiamare la normativa in materia di ritardati od omessi versamenti.
L’art. 13, co. 1, del D.Lgs. 471/97, prevede che “chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti riguardanti crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria, effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dalla lettera a) del comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo”.
L’art. 13, co. 1, lett. a), del D.Lgs. 472/97 stabilisce invece che “la sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza:
a) ad un decimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;
b) ad un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore”.
La manovra correttiva è intervenuta sul primo comma dell’art.13 del D.Lgs. 471/97 e, nell’intento di raggiungere la finalità di coordinare l’entità delle sanzioni al ritardo dei versamenti, ha soppresso l’espressione “Per i versamenti riguardanti crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria”, estendendo a tutti i versamenti tributari il ravvedimento “sprint” che prima era concesso solo per gli omessi versamenti di tributi che erano oggetto di garanzia a favore dell’Erario.
La norma infatti prevede che per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 30%, oltre a quanto previsto dalla lettera a) del comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. In pratica il 3% di sanzione del cosiddetto “ravvedimento breve” si riduce ulteriormente a un importo pari allo 0,2% per ogni giorno di ritardo rispetto alla scadenza originaria del debito d’imposta
Si tratta di una generale riduzione della sanzione riservata al contribuente che si dimentica di pagare le imposte ma che rimedia con pochi giorni di ritardo; una misura che ovviamente cresce con il passare dei giorni sino ad arrivare al limite massimo del quindicesimo giorno, quando lascia il posto al ravvedimento breve.
Quella introdotta è una novità nella normativa del ravvedimento operoso che risponde alla finalità di rendere l’impianto sanzionatorio più graduale, rafforzando l’aderenza della sanzione stessa alla gravità dell’adempimento.
Per riportare un esempio esplicativo di quanto scritto, si consideri un contribuente che non abbia pagato l’IVA relativa al mese di giugno di euro 15.000, in scadenza il 18 luglio 2011, che lo faccia il 26 luglio 2011, con un ritardo di otto giorni rispetto all’ordinaria scadenza.
La sanzione prevista col “ravvedimento sprint” sarebbe quella dello 0,2% per ogni giorno di ritardo, in totale 1,60%. Operativamente, nel Modello F24 il contribuente dovrà indicare:
  • l’importo di 15.000 euro con il codice tributo 6006, per il versamento dell’IVA;
  • l’importo di 240 euro con il codice tributo 8904 per la sanzione dell’1,60% sugli otto giorni di ritardo;
  • l’importo di 4,93 euro di interessi legali per gli otto giorni, calcolati con il tasso annuo dell’1,5%, con il codice 1991 “interessi sul ravvedimento – IVA”.
L’importo totale del versamento sarà quindi di euro 15.244,93.

Adeguamento studi di settore: modalità, termini e conseguenze

Adeguamento studi di settore: modalità, termini e conseguenze

IL 4 LUGLIO 2011 ERA l’ora delle scelte per quanto concerne l’adeguamento spontaneo agli studi di settore. Le regole applicabili sono articolate e lascano spazio a molti dubbi. Ripercorriamo gli aspetti salienti derivanti dall’adeguamento con particolare rilevanza alle modalità, termini ed effetti.
La disciplina dell’adeguamento spontaneo agli studi di settore contenuta nel DPR 195/1999 prevede che tale adeguamento sia:
  • gratuito per gli studi “nuovi” o “revisionati”;
  • sanzionato con una maggiorazione del 3% per gli studi che:
    • non si trovano nel primo anno di applicazione (o di revisione);
    • presentano uno scostamento superiore al 10% dei ricavi o compensi dichiarati.
L’importo dovuto:
  • deve essere indicato nella dichiarazione unificata, nel quadro di determinazione del reddito d’impresa o professionale;
  • viene ripreso nel quadro RS della dichiarazione dei redditi;
  • deve essere effettuato entro il termine ordinario per il versamento a saldo delle imposte sul reddito ovvero entro il maggior termine previsto con la maggiorazione dello 0,40%;
  • è rateizzabile.
I codici tributo da utilizzare sono:
1)     4726 denominato: Persone fisiche – Maggiorazione 3% adeguamento studi di settore;
2)     2118 denominato: Soggetti diversi dalle persone fisiche – Maggiorazione 3% adeguamento studi di settore.
Il versamento della maggiorazione del 3% deve essere effettuato nei termini previsti.
Si ritiene che non sia possibile avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso in quanto la maggiorazione in argomento non ha natura di “tributo” e come tale non rientra tra le fattispecie contemplate dall’articolo 13 del D.lgs 472/1997.
Sui maggiori ricavi da adeguamento il contribuente oltre all’eventuale maggiorazione dovrà versare anche l’IVA da calcolarsi in base all’aliquota media.
L’imposta deve essere versata:
  • entro il termine del versamento a saldo delle imposte sul reddito (quest’anno 6 luglio o 5 agosto con maggiorazione dello 0,40%);
  • utilizzando il codice tributo 6494 denominato: Studi di settore adeguamento IVA;
  • anche avvalendosi della possibilità di effettuare il versamento in forma rateale.
I maggiori ricavi o compensi non annotati nelle scritture contabili conseguenti all’adeguamento agli studi di settore rilevano ai fini IRAP, anche se relativi al primo periodo d’imposta in cui trovano applicazione gli studi o le revisioni dei medesimi. Tale rilevanza non sussiste, invece,  per i maggior ricavi indicati in dichiarazione dei redditi a seguito di adeguamento ai parametri..
L’articolo 1, comma 17, della legge 296/2007 dispone che non risultano esperibili gli avvisi di accertamento di tipo analitico presuntivo (ex art. 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973) nei confronti dei contribuenti che risultano congrui, anche per effetto di adeguamento con le risultanze di GE.RI.CO. qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40% dei ricavi o compensi dichiarati.
In assenza di una contestazione dei dati comunicati nella dichiarazione annuale, qualora gli Uffici volessero esperire un accertamento secondo la tipologia indicata, per superare l’accertamento a mezzo degli studi di settore, devono indicare nell’atto di accertamento le ragioni che inducono l’ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente.
Secondo quanto previsto dalla disciplina in tema di società di comodo (ex art. 30, comma 1, lettera c), n. 6-sexies, ln n. 724/1994) sono esclusi i soggetti congrui e coerenti agli studi di settore.
La congruità è rilevante anche se conseguita per il tramite dell’adeguamento dei ricavi dichiarati in dichiarazione e deve essere comunque accompagnata dalla coerenza a tutti gli indicatori previsti dallo studio di settore.
Ai fini dell’esclusione dall’applicazione dello speciale regime previsto per le società non operative va anche ricordato che è sufficiente la congruità sull’anno e non quella dell’intero triennio di osservazione ai fini della disciplina in analisi (circ. n. 14/E del 14 febbraio 2008).
I maggiori ricavi derivanti dall’adeguamento devono essere annotati in apposita sezione del registro delle fatture emesse o dei corrispettivi. A tal fine si ricorda che:
1)     qualora, a seguito dell’adeguamento, l’ammontare dei ricavi dichiarati superi i limiti previsti per la tenuta della contabilità semplificata, non sorge, per il periodo d’imposta successivo, l’obbligo della tenuta della contabilità ordinaria;
2)     stessa cosa accade qualora il volume d’affari del contribuente superi il limite previsto dall’articolo 7 del Dpr 542/1999 per l’effettuazione trimestrale delle liquidazioni periodiche e dei relativi versamenti. Il contribuente potrà quindi mantenere la cadenza trimestrale.
 Scritto da Nicolò Cipriani il 4 luglio 2011

ilcasodelgiorno : Neutralità fiscale per conferimento, fusione e scissione

ilcasodelgiorno

Neutralità fiscale per conferimento, fusione e scissione

In tali operazioni non c’è tassazione in capo al dante causa e non vengono riconosciuti i maggiori valori contabili in capo all’avente causa
/ Martedì 29 novembre 2011
Mentre le operazioni di cessione d’azienda costituiscono anche ai fini fiscali operazioni realizzative che comportano la tassazione in capo al dante causa (cedente) delle plusvalenze realizzate ed il riconoscimento in capo all’avente causa (cessionario) dei maggiori valori contabili iscritti a seguito dell’operazione, rispetto a quelli che risultavano fiscalmente riconosciuti in capo al dante causa, le operazioni di conferimento d’azienda, di fusione e di scissione sono caratterizzate da un regime di neutralità fiscale tale per cui in capo al dante causa (conferente, fusa o incorporata, scissa) non ha luogo alcuna tassazione dei maggiori valori, rispetto a quelli riconosciuti sul piano fiscale, che emergono nell’ambito dell’operazione, e, in capo all’avente causa (conferitaria, incorporante o risultante, beneficiaria), non vengono riconosciuti i maggiori valori contabili iscritti, in quanto ai fini fiscali vengono recepiti “in continuità” quelli che risultavano riconosciuti in capo al dante causa.
La neutralità fiscale delle predette operazioni sussiste anche quando, ai fini contabili, hanno natura di acquisizioni aziendali e, essendo implementate da soggetti che, per obbligo o per scelta, redigono il proprio bilancio secondo i principi contabili internazionali, vengono rappresentate secondo le regole previste dal documento IFRS n. 3.
Il DM 1 aprile 2009 n. 48 (cosiddetto “Decreto IAS“) rinvia infatti anche per i conferimenti d’azienda, le fusioni e le scissioni, che, ai fini dei principi contabili internazionali, costituiscono operazioni di acquisizione aziendale, alla disciplina fiscale recata, rispettivamente, dall’art. 176, 172 e 173 del TUIR.
Obbligo di rilevazione della correlata fiscalità differita
Ciò comporta che, nella misura in cui l’entità acquirente giuridica evidenzia nel proprio bilancio valori contabili maggiori di quelli “ereditati“ sul piano fiscale presso le proprie acquisite giuridiche, si determinano anche in questo contesto quei disallineamenti tra (maggiori) valori contabili e (minori) valori fiscali che fanno da presupposto all’obbligo di rilevazione della correlata fiscalità differita.
Il paragrafo 24 del documento IFRS n. 3 statuisce che “l’acquirente deve rilevare e valutare un’attività o passività fiscale differita derivante dalle attività acquisite e dalle passività assunte in una aggregazione aziendale in conformità allo IAS 12”.
A sua volta, il paragrafo 15 dello IAS n. 12, quale risultante a seguito delle modifiche recate dall’appendice C.4 dello IFRS n. 3, statuisce che “una passività fiscale differita deve essere rilevata per tutte le differenze temporanee imponibili, salvo che tale passività derivi dalla rilevazione iniziale dell’avviamento o dalla rilevazione iniziale di un’attività o di una passività in un’operazione che:
- non sia un’aggregazione di imprese;
- e, al momento dell’operazione, non influisca né sull’utile contabile né sul reddito imponibile (perdita fiscale)“.
Il successivo paragrafo 66 dello IAS n. 12 chiarisce, invece, che la contropartita dell’iscrizione della fiscalità differita deve essere rappresentata da una pari variazione dell’avviamento.
Dunque, nel caso di un’operazione di fusione, scissione o conferimento d’azienda che costituisce “aggregazione aziendale” (ai sensi della definizione data dallo IFRS n. 3), la società incorporante, risultante, beneficiaria o conferitaria che redige il proprio bilancio secondo principi contabili internazionali:
- è tenuta a rilevare la fiscalità differita sui disallineamenti tra valori contabili iscritti e corrispondenti valori fiscalmente riconosciuti, fatta eccezione per il disallineamento che insiste sull’eventuale voce di avviamento;
- in contropartita all’iscrizione contabile del fondo imposte differite, correlato ai predetti disallineamenti, pone un pari incremento della voce di avviamento.

agevolazioni Al via la richiesta di incentivi per chi assume apprendisti

agevolazioni

Al via la richiesta di incentivi per chi assume apprendisti

Dal 30 novembre, le aziende che stipulano contratti di apprendistato potranno presentare a Italia Lavoro la domanda per i contributi
/ Lunedì 28 novembre 2011
Lo scorso 11 novembre 2011 è stato pubblicato sul sito www.italialavoro.it l’Avviso di Italia Lavoro S.p.A. finalizzato a incentivare l’utilizzo del contratto di apprendistato sull’intero territorio nazionale, mediante la concessione di contributi per la stipula di contratti di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale e di contratti di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere.
Si ricorda che Italia Lavoro Spa, in qualità di organismo di assistenza tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è soggetto attuatore del Programma AMVA – Apprendistato e Mestieri a Vocazione Artigianale – promosso dal Ministero medesimo, e che ha, tra le diverse finalità, anche la promozione del contratto di apprendistato attraverso un’azione integrata tra politiche per lo sviluppo delle imprese, politiche per il lavoro e politiche per la formazione.
Come abbiamo detto, l’Avviso è finalizzato a incentivare l’utilizzo del contratto di apprendistato sull’intero territorio nazionale con l’assegnazione, alle imprese beneficiarie, di un contributo di 5.500 euro per ogni lavoratore assunto con contratto di apprendistato per la qualifica professionale a tempo pieno, oppure di 4.700 euro per ogni lavoratore assunto con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, sempre a tempo pieno. Nell’avviso in esame, si precisa che tali contributi non sono cumulabili con altri incentivi finalizzati all’assunzione erogati da Italia Lavoro S.p.A. a favore del medesimo lavoratore.
I contratti di apprendistato per i quali potrà essere avanzata richiesta di contributo dovranno essere stipulati a partire dal 30 novembre 2011, e potranno presentare candidature esclusivamente i datori di lavoro privati che abbiano la sede operativa – presso cui è operata l’assunzione – sul territorio nazionale e che assumano giovani con contratti di apprendistato nelle predette tipologie.
Il datore di lavoro interessato potrà presentare la domanda di contributo dal 30 novembre 2011 al 31 dicembre 2012, unicamente attraverso il sistema raggiungibile all’indirizzo http://amva.italialavoro.it.
Alla data di presentazione della domanda di contributo, i soggetti beneficiari dovranno possedere determinati requisiti tassativamente elencati nell’Avviso, tra i quali segnaliamo, ad esempio, non aver cessato o sospeso la propria attività, oppure essere in regola con l’applicazione del CCNL di riferimento, con la normativa in materia di sicurezza del lavoro, con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, con il versamento degli obblighi contributivi e assicurativi.
È inoltre necessario non trovarsi sottoposti a procedure per fallimento o concordato preventivo, oppure non essere incorsi, negli ultimi dieci anni, in irregolarità definitivamente accertate dalle autorità competenti, nella gestione di interventi che abbiano beneficiato di finanziamenti pubblici, e così via.
Requisiti tassativi anche per i lavoratori assunti
Per quanto concerne i lavoratori assunti, si segnala che essi devono possedere il requisito di lavoratori “svantaggiati” come definito dal Reg. (CE) n. 800/20082 (ad esempio, soggetti che non hanno un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o che non possiedono un diploma di scuola media superiore o professionale, eccetera), oppure non devono aver avuto rapporti di lavoro dipendente o assimilato negli ultimi 12 mesi con il datore di lavoro beneficiario, la cui cessazione sia stata determinata da cause diverse dalla scadenza naturale dei contratti.
Si segnala infine che, in caso di interruzione anticipata del rapporto di lavoro, per qualsivoglia ragione e a qualsiasi titolo, l’impresa beneficiaria del contributo dovrà restituire all’ente erogatore (Italia Lavoro Spa) l’intero contributo riconosciuto, in caso di interruzione del rapporto di lavoro nei primi 6 mesi dalla stipula del contratto; qualora, invece, siano decorsi 6 mesi dalla stipula del contratto, deve restituire un importo proporzionale al periodo intercorrente tra la data di dimissioni e un periodo di riferimento convenzionalmente calcolato in 12 mesi a decorrere dalla data di assunzione. Non è ammessa, in nessun caso, la sostituzione dei lavoratori per i quali è stato concesso il contributo.

PEC senza sanzioni fino al 31 dicembre

Semplificazione amministrativa

PEC senza sanzioni fino al 31 dicembre

Per il Ministero dello Sviluppo economico, ragioni di difficoltà oggettive «giustificano» il ritardo almeno fino a tale data

/ Sabato 26 novembre 2011
È di ieri – 25 novembre 2011 – la lettera circolare n. 224402 con la quale il Ministero dello Sviluppo economico ha diffuso alcune importanti indicazioni integrative alla sua precedente circolare n. 3645/C del 3 novembre 2011 sull’obbligo per le società di comunicazione del proprio indirizzo PEC al Registro delle imprese.
Oggetto dei chiarimenti, resi ormai a pochissimi giorni dalla scadenza del termine – prevista per il 29 novembre 2011 dall’art. 16, comma 6, del DL 185/2008 (conv. in L. 2/2009) – è la sanzione applicabile alle società inadempienti.
Con la precedente circolare n. 3645/C-2011, il Ministero ha espressamente sancito l’applicabilità a carico delle imprese ritardatarie della sanzione pecuniaria amministrativa prevista dall’art. 2630 c.c. per l’“omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi” al Registro delle imprese, in capo al legale rappresentante dell’impresa stessa.
Si segnala che l’mporto della sanzione che è stato dimezzato dal comma 5 dell’art. 9 della L. 11 novembre 2011 n. 180, recante “Norme per la tutela della libertà d`impresa. Statuto delle imprese”: si passa, infatti, dagli importi di 206 e di 2065 euro a 103 e 1.032 euro. Se, poi, la comunicazione avviene nei 30 giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria viene ridotta a un terzo.
Ciò posto, il Ministero sembra fare un passo indietro. Di fronte alle numerose segnalazioni dei soggetti gestori del sistema PEC di non riuscire a far fronte alle richieste di nuovi indirizzi PEC concentratasi – come prevedibile – in questi ultimi giorni, il Ministero “suggerisce” alle Camere di Commercio – così si legge nella lettera circolare in commento – di ritenere come “corretto adempimentoanche quello tardivo.
Troppo grande, insomma, la mole di richieste da parte delle società nell’imminenza del termine, che rende impossibile per i gestori PEC il rilascio a tutte le società medesime della casella certificata nei tempi sanciti dalla normativa.
Per il Ministero, si tratterebbe di una situazione di oggettiva difficoltà, generalizzata e comunque transitoria. Questo almeno fino “all’inizio del nuovo anno”.
Proroga del termine per la mole di richiesta di dati troppo elevata
A giustificazione di tale rinvio – perché di rinvio si ritiene nella sostanza si tratti – il Ministero richiama la mancanza dell’elemento soggettivo, quindi dolo o colpa, in capo ai soggetti obbligati per l’applicazione della sanzione amministrativa (art. 3 della L. 689/81).
Pertanto, al fine di evitare contenziosi presumibilmente di esito negativo per le ragioni sopra esposte, il Ministero rileva l’“opportunità” per le Camere di Commercio di astenersi dall’applicazione delle sanzioni previste.
Tali indicazioni, si aggiungono a quelle rese lo scorso 24 novembre 2011 con il parere n. 223761 dello stesso Ministero sulle società soggette a procedure concorsuali.
Le società in stato di fallimento non rientrano – secondo il Ministero – tra i soggetti obbligati alla comunicazione dell’indirizzo PEC. Il curatore fallimentare, però, può iscrivere l’indirizzo PEC – della società o il proprio – al Registro delle imprese.
Tale parere è arrivato in concomitanza con una nota del CNDCEC resa in stessa data, nella quale è stato precisato che, ove si fossero ritenute soggette all’adempimento della comunicazione PEC le società dichiarate fallite, l’obbligo avrebbe riguardato il rappresentante legale dell’impresa della società (e non il curatore).
In caso di concordato, il Ministero fa una distinzione. Nei concordati preventivi, nella fase precedente l’omologa e in quelli non liquidatori o “in prosecuzione dell’attività”, la comunicazione della PEC spetta al rappresentante legale della società, anche con indicazione di un autonomo indirizzo PEC. Nel caso di concordati liquidatori nella fase successiva all’omologa, l’obbligo di comunicazione passa al liquidatore, che può indicare anche la propria casella PEC.
 / Roberta VITALE

iva : Elenco «clienti e fornitori»: black list escluse per il 2010

iva

Elenco «clienti e fornitori»: black list escluse per il 2010

Non rientrano nell’obbligo di comunicazione essendo già state oggetto di segnalazione all’Amministrazione finanziaria

/ Martedì 29 novembre 2011
Entro il prossimo 31 dicembre 2011, i soggetti passivi IVA devono presentare la comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, effettuate e ricevute nell’anno 2010, ai sensi dell’art. 21 del DL 78/2010. Secondo quanto stabilito dal provvedimento direttoriale 22 dicembre 2010 (§ 2.4), tra le diverse fattispecie di operazioni escluse dall’obbligo di comunicazione, rientrano anche “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black list” (trattasi dei Paesi individuati dal DM 4 maggio 1999 e dal DM 21 novembre 2001). La ratio di tale esclusione è evidente: trattandosi di operazioni già comunicate all’Amministrazione finanziaria, l’eventuale inserimento, anche nella comunicazione di cui all’art. 21 del DL 78/2010, costituirebbe una duplicazione inutile e pesante per le imprese.
Le disposizioni del DL n. 40/2010 ed il successivo provvedimento direttoriale del 5 agosto 2010, hanno stabilito che l’obbligo di comunicazione delle suddette operazioni decorre da quelle effettuate e ricevute a partire dal 1° luglio 2010. Al contrario, ai fini della comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di cui all’art. 21 del DL 78/2010, la decorrenza è stabilita per le operazioni effettuate e ricevute a partire dal 1° gennaio 2010, pur ricordando che, per l’anno 2010, la comunicazione è limitata alle operazioni di importo almeno pari a euro 25.000, al netto dell’IVA, per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura.
Combinando le due disposizioni normative richiamate, emerge che, per il periodo 1° gennaio 2010 – 30 giugno 2010, le operazioni effettuate e ricevute con controparti black list dovrebbero essere oggetto di comunicazione ai sensi dell’art. 21 del DL 78/2010 (elenco “clienti e fornitori”), posto che per tale periodo non era ancora vigente l’obbligo di comunicazione delle operazioni con soggetti stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata (in quanto, come detto, efficace solamente dal 1° luglio 2010). Tuttavia, ad una più attenta lettura delle disposizioni del provvedimento direttoriale del 22 dicembre 2010 e delle regole generali sottese a tale adempimento, le operazioni effettuate e ricevute nel predetto periodo, 1° gennaio – 30 giugno 2010, con controparti black list, sono in molti casi comunque escluse dall’obbligo di comunicazione in quanto:
- se trattasi di importazioni o esportazioni di beni, lo stesso provvedimento (§2.4) stabilisce l’esclusione per importazioni ed esportazioni, di cui all’art. 8, lett. a) e b), del DPR 633/72;
- se trattasi di acquisti o cessioni intracomunitarie, come tali indicate negli elenchi riepilogativi Intrastat, sono esclusi dalla comunicazione, come precisato dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 24/2011 (ad esempio, acquisti e cessioni con soggetti passivi residenti in Lussemburgo);
- per le prestazioni di servizi generiche, di cui all’art. 7-ter del DPR 633/72, rese a soggetti black list, l’esclusione dall’obbligo di comunicazione deriva dalla regola generale secondo cui, affinchè sussista tale obbligo, deve trattarsi di operazioni rilevanti ai fini IVA (in tal caso, invece, le operazioni sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA per carenza del presupposto territoriale);
- per le prestazioni di servizi, di cui agli artt. 7-quater e 7-quinques, del DPR 633/72, rese a soggetti passivi stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata e per le quali non si verifica il presupposto territoriale, non sussiste alcun obbligo di comunicazione in quanto, al pari di quelle precedenti, non sussiste il presupposto territoriale.
Differenti conclusioni per le prestazioni di servizi
A differenti conclusioni, invece, si perviene per le prestazioni di servizi, di cui ai suddetti artt. 7-quater e 7-quinquies, rese a soggetti passivi stabiliti in Paesi black list, per le quali si verifica il presupposto territoriale in Italia (ad esempio servizi relativi a beni immobili ubicati nel territorio dello Stato), in quanto, trattandosi di operazioni rilevanti ai fini IVA, devono essere incluse nella comunicazione di cui all’art. 21 del DL 78/2010. Infatti, essendo riferite al primo semestre 2010, e quindi non comunicate all’Amministrazione finanziaria nella comunicazione black list, tali operazioni, se di importo almeno pari a euro 25.000, devono essere inserite nell’elenco “clienti e fornitori”.
Per quanto riguarda invece le prestazioni di servizi, acquisite presso operatori economici stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiate nel periodo 1 gennaio – 30 giugno 2010, se si verifica il presupposto territoriale in Italia (ai sensi dell’art. 7-ter, ovvero 7-quater e 7-quinquies), devono essere incluse nella comunicazione in questione, sempreché ovviamente di importo almeno pari a euro 25.000, al netto dell’IVA.
 / Sandro CERATO

Agevolazioni : Bonus ricerca per tutte le imprese

Agevolazioni

Bonus ricerca per tutte le imprese

La circ. 51 dell’Agenzia precisa, inoltre, che sono oggetto del beneficio la ricerca fondamentale, quella industriale e lo sviluppo sperimentale
/ Martedì 29 novembre 2011
Libero accesso al credito per la ricerca di cui all’art. 1 del DL n. 70/2011 per tutte le imprese, anche quelle costituite dopo l’entrata in vigore del Decreto Sviluppo, nonché per le stabili organizzazioni e gli enti non commerciali; sono agevolabili la ricerca fondamentale, la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale, con la sola esclusione della ricerca interna. Questi alcuni chiarimenti forniti nella circolare n. 51 dell’Agenzia delle Entrate di ieri sul credito introdotto dall’art. 1 del DL n. 70/2011 convertito, destinato alle imprese che investono, in ciascuno degli anni 2011 e 2012, in progetti di ricerca realizzati da Università o enti pubblici di ricerca. I chiarimenti si affiancano al provvedimento del 9 settembre 2011 e alla ris. n. 88/2011, istitutiva del relativo codice tributo 6835“.
Sotto il profilo soggettivo, stante il richiamo del comma 1 della norma alle “imprese che finanziano progetti di ricerca”, la circ. chiarisce che il credito d’imposta è riservato a tutte le imprese che - indipendentemente da forma giuridica, dimensioni aziendali, settore economico in cui operano, nonché regime contabile adottato - effettuano investimenti in progetti di ricerca commissionati a Università o enti pubblici di ricerca. Possono quindi godere dell’agevolazione anche gli enti commerciali, per l’attività commerciale eventualmente esercitata, le stabili organizzazioni, le imprese che hanno intrapreso l’attività a partire dal 14 maggio 2011 (data di entrata in vigore del DL Sviluppo).
Con riferimento all’ambito oggettivo, l’Agenzia precisa che, alla luce del generico riferimento a “progetti di ricerca”, gli investimenti ammessi al beneficio sono relativi alle attività di ricerca fondamentale, di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale come definite dalla disciplina comunitaria (Comunicazione della Commissione europea, G.U.U.E. del 30 dicembre 2006 n. C 323), purché svolte su commissione da Università ed enti pubblici di ricerca; restano escluse le attività di “ricerca interna“ e le spese di ricerca sostenute direttamente dalle imprese anche se relative a beni o servizi messi a disposizione di Università o enti per la realizzazione del progetto di ricerca finanziato. Fermo restando quanto affermato dal DL 70/2011, secondo cui l’attività di ricerca può essere commissionata, oltre che a Università ed enti pubblici di ricerca, all’ASI, agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e agli organismi di ricerca (o ad ulteriori strutture individuate con apposito decreto), la circ. n. 51 conferma che non sono previste esclusioni fondate sulla residenza dell’Università o dell’ente pubblico.
Per ciò che concerne i costi, mutuando quanto affermato dalla circ. 46/2008 con riferimento alla precedente versione del credito d’imposta per la ricerca (art. 1, commi 280-283 della L. n. 296/2006), quelli relativi alla “ricerca contrattuale” sono considerati ammissibili, “nella misura congrua e pertinente“, purché i risultati di tale ricerca siano acquisiti “nell’ambito di un’operazione effettuata alle normali condizioni di mercato e che non comporti elementi di collusione”. Ai fini della deducibilità integrale dei costi di ricerca ex art. 108 del TUIR, viene sottolineato il necessario rispetto del requisito dell’inerenza, previsto all’art. 109, comma 5 del TUIR.
Con riferimento all’ambito temporale, ricordando che, per i soggetti solari, l’agevolazione spetta per gli investimenti realizzati in ciascuno degli anni 2011 e 2012, la circ. 51 (§ 2.3) precisa che, trattandosi di ricerca “commissionata”, il momento di realizzazione dell’investimento coincide con la data di ultimazione delle prestazioni oppure, in caso di stato avanzamento lavori, con la data di accettazione dei SAL da parte del committente, indipendentemente dalla durata infrannuale o ultrannuale del contratto. Viene altresì chiarito che sono agevolabili tutti gli investimenti effettuati nel periodo “agevolato”, anche se già avviati.
Ulteriori chiarimenti sono poi forniti sul calcolo dell’agevolazione. Ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 3, lett. b), n. 2) dell’art. 1 del DL Sviluppo, il credito d’imposta compete in misura pari al 90% dell’investimento incrementale sostenuto rispetto alla media degli investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010. Di conseguenza, occorre calcolare la media degli investimenti effettuati nel triennio 2008-2010 per confrontarla con l’importo degli investimenti realizzati in ogni periodo agevolabile. Ad esempio, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, ai quali compete il credito d’imposta per gli investimenti realizzati dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012, il triennio di riferimento per il calcolo della media è compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2010. Ai fini del calcolo della media, andranno considerati solo gli investimenti agevolabili, ossia quelli relativi a progetti realizzati con Università ed enti di ricerca.
Se in nessuno dei tre esercizi di riferimento sono stati sostenuti costi agevolabili, la percentuale del 90% andrà applicata sull’intero ammontare dei costi sostenuti in ciascun periodo agevolabile. Per le imprese di recente costituzione, che non hanno maturato un triennio di riferimento per il calcolo, la media è calcolata sul minor periodo che decorre dall’esercizio di costituzione. La circ. 51 precisa anche che il credito è cumulabile con altre agevolazioni o contributi pubblici concessi per la stessa tipologia di spese in ricerca.

reddito d'impresa : l’affrancamento «una tantum»

reddito d'impresa

Per l’affrancamento «una tantum» spazio al ravvedimento operoso

Secondo Assonime, sarebbe possibile esercitare validamente l’opzione anche dopo il 30 novembre

/ Martedì 29 novembre 2011
La circolare Assonime n. 31 del 25 novembre 2011 ha commentato il Provv. Agenzia delle Entrate 22 novembre 2011 n. 168379 in merito al cosiddetto affrancamento “una tantum” introdotto dal DL 98/2011. Tale regime consente alle società che abbiano acquisito partecipazioni di controllo di ottenere il riconoscimento fiscale della quota parte del maggior valore delle partecipazioni riferibile all’avviamento (e agli altri asset immateriali) della società partecipata (sul tema si veda anche “Conto alla rovescia per il riallineamento «una tantum»“ del 28 novembre 2011).
Con riferimento alle operazioni che possono beneficiare dell’agevolazione, rilevano astrattamente tutte le fattispecie che possono condurre all’iscrizione, nel bilancio di esercizio redatto in base all’art. 2423 c.c. o in base ai principi contabili internazionali, di una partecipazione di controllo. Le operazioni di cui tener conto ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 16% sono, quindi, non soltanto quelle desumibili dalla lettera del DL 98/2011 (fusioni, scissioni, conferimenti d’azienda, cessioni di azienda o di partecipazioni), ma anche altre operazioni che, per natura, possono condurre ad analogo risultato, come gli scambi di partecipazioni e i conferimenti di partecipazioni di controllo.
Al riguardo, si osserva poi che, nell’ipotesi di conferimento d’azienda, le disposizioni attuative puntualizzano che, ai fini della determinazione del maggior valore contabile della partecipazione di controllo acquisita dal conferente, occorre assumere il patrimonio netto del ramo d’azienda conferito così come risultante dalla situazione contabile redatta dalla conferente. Peraltro, in relazione proprio al conferimento d’azienda, il provvedimento dell’Agenzia precisa che il valore contabile dell’azienda conferita deve essere conteggiato al netto dell’avviamento già iscritto dal medesimo conferente, sul presupposto che tale valore non sarebbe suscettibile di essere trasferito con il compendio aziendale. In sostanza, il provvedimento si uniforma all’impostazione già indicata dalla circ. Agenzia delle Entrate del 4 marzo 2010 n. 8, nonostante le numerose critiche avanzate dalla dottrina in merito.
Quanto al versamento dell’imposta, il provvedimento precisa che non è consentito avvalersi dell’istituto della compensazione e ribadisce che il termine ultimo per assolvere l’imposta è il prossimo 30 novembre 2011.
L’Assonime ritiene che la posizione dell’Agenzia delle Entrate (circ. n. 28/2009) con riferimento all’opzione dell’affrancamento delle immobilizzazioni immateriali ex art. 15 comma 10 del DL 185/2008 è stata quella di ritenere valido il versamento dell’imposta sostitutiva, al fine del perfezionamento dell’opzione, senza richiedere al contempo la sua tempestività e la sua congruità; pertanto, in questo ambito dovrebbero essere idonei all’esercizio dell’opzione anche i versamenti regolarizzati mediante ricorso al ravvedimento operoso. Se così è, l’Associazione ritiene logico che questi stessi principi possano ritenersi validi anche per il regime in esame, poiché fa espresso richiamo all’imposta sostitutiva di cui al citato art. 15 comma 10, con la conseguenza che anche ai fini dell’esercizio dell’opzione in argomento dovrebbero valere le medesime conclusioni in merito alla possibilità di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso.
Il punto meriterebbe comunque un chiarimento ufficiale.
L’imposta può essere capitalizzata e spesata durante il periodo di ammortamento
Infine, la circolare n. 31/2011 si occupa degli aspetti contabili derivanti dall’esercizio dell’affrancamento “una tantum”.
Per le imprese che adottano i principi contabili nazionali, si ritiene che l’imposta sostitutiva rappresenti un’anticipazione di imposte correnti future e che debba essere rilevata nella voce II - Crediti, 4-ter) imposte anticipate dello Stato patrimoniale. Tale valore sarà poi imputato a Conto economico in concomitanza con l’ammortamento extracontabile degli asset immateriali oggetto dell’affrancamento secondo lo stesso approccio indicato dal documento interpretativo n. 3 dell’OIC, datato marzo 2009.
Per i soggetti che adottano gli IAS/IFRS, dovrebbero risultare ancora valide le soluzioni alternative già indicate dall’OIC in relazione alle altre discipline di riallineamento previste dall’art. 15 comma 10 del DL 185/2008. Tra queste, in particolare, oltre all’ipotesi di imputazione diretta dell’imposta sostitutiva a Conto economico e quella alternativa di una sua capitalizzazione quale anticipazione di future imposte correnti, dovrebbe essere consentito di accedere anche alla terza soluzione indicata nel documento dell’OIC, e cioè quella di procedere alla rilevazione dell’intero beneficio dovuto al differenziale tra imposizione ordinaria e sostitutiva nel Conto economico e all’iscrizione nello Stato patrimoniale di imposte differite attive pari all’intero importo dell’IRES e dell’IRAP sull’importo affrancato.
 / Salvatore SANNA

reddito d'impresa : Compensi degli amministratori deducibili solo se prima deliberati

reddito d'impresa

Compensi degli amministratori deducibili solo se prima deliberati

Tale delibera deve essere preventiva all’erogazione, ma non è necessario che ve ne sia una specifica per ogni anno

/ Martedì 29 novembre 2011
I compensi erogati da una società di capitali ai suoi amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa se sono stati preventivamente e specificatamente deliberati dall’assemblea dei soci. Lo ha stabilito la C.T. Prov. di Alessandria, con la sentenza n. 86/5/11 del 23 novembre 2011.
L’articolo 95, comma 5, del TUIR dispone che i compensi spettanti agli amministratori delle società di capitali sono deducibili  nell’esercizio  in  cui  sono corrisposti. La Cassazione, in proposito, al di là di uno “scivolone”, l’anno scorso, sull’indeducibilità tout court di tali compensi (cfr. Cass. 18702/2010), ha affermato, rifacendosi ai principi civilistici, che l’attribuzione e la determinazione dei compensi da corrispondere agli amministratori di società deve essere contenuta in apposita deliberazione adottata da parte dell’assemblea dei soci e non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio (Cass. SS.UU. 21933/2008).
I fatti di causa della pronuncia odierna attengono proprio a una piccola srl che aveva regolarmente dedotto i compensi erogati all’amministratore, ma deliberati implicitamente soltanto dopo, con l’approvazione del bilancio di esercizio. L’Amministrazione finanziaria, allora, aveva recuperato a tassazione l’ammontare corrispondente a tali compensi, ritenendoli indeducibili per violazione del principio generale di inerenza delle componenti di reddito di cui all’art. 109, comma 5, del TUIR.
La società impugnava l’avviso di accertamento, ma i giudici di merito, sulla base della giurisprudenza di legittimità, confermavano la ripresa del Fisco, stabilendo che non era sufficiente che i compensi fossero stati ratificati in sede di approvazione del bilancio, essendo necessario, invece, ai fini della deducibilità, la specifica deliberazione sul punto prima dell’erogazione degli emolumenti.
In tal senso, peraltro, i Supremi Giudici, oltre che con la sopra illustrata decisione a Sezioni Unite, si erano già pronunciati anche in precedenza (cfr. Cass. n. 23872/2007). La stessa posizione, poi, è stata più volte avallata anche dalla giurisprudenza di merito, a cui si sono accodati i giudici alessandrini. Appena un anno fa, la C.T. Prov. di Reggio Emilia aveva stabilito, infatti, che non sono deducibili dal reddito d’impresa i compensi corrisposti da una società di capitali ai suoi amministratori in assenza di una preventiva e specifica delibera assembleare (sentenza n. 186 del 18 ottobre 2010). Il principio è stato “ammorbidito“ più recentemente dai giudici provinciali torinesi, che hanno statuito che non esiste alcuna disposizione civilistica o fiscale che imponga di effettuare ogni anno una specifica delibera per la determinazione dei compensi spettanti agli amministratori delle società di capitali, ben potendo l’assemblea dei soci, nella sua autonomia, stabilire con un’unica delibera gli emolumenti da corrispondere a detti amministratori per più esercizi, senza che ciò comporti l’indeducibilità dal reddito di tali compensi attribuiti negli anni seguenti a quello in cui è stata posta in essere la relativa delibera (cfr. C.T. Prov. di Torino, sez. XVI, sentenza n. 37 del 10 marzo 2011).
Parte della giurisprudenza di merito ritiene i compensi sempre deducibili
Alla luce di tale rassegna giurisprudenziale, pertanto, al fine di non incorrere in possibili contestazioni del Fisco circa la deducibilità dei compensi amministrativi, è opportuno che:
- venga sempre posta in essere una specifica delibera con cui siano determinati gli emolumenti in oggetto, non essendo sufficiente che tale statuizione emerga implicitamente dall’approvazione del bilancio;
- la delibera relativa ai compensi amministrativi deve essere preventiva all’erogazione degli stessi, ma non è necessario che ve ne sia una specifica per ogni anno, ben potendo l’assemblea disporre l’entità degli emolumenti per più annualità successive.
Per completezza, occorre tuttavia ricordare che di orientamento contrario a quello sin qui delineato sono una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, che ritengono sempre deducibili i compensi amministrativi erogati dalle società di capitali, a prescindere dall’esistenza di una specifica delibera assembleare (C.T. Prov. di Lucca n. 64 del 14 luglio 2006; C.T. Reg. di Firenze n. 170 del 25 novembre 2008; C.T. Reg. di Milano n. 36 del 31 marzo 2006).
 / Alessandro BORGOGLIO

iva : Nei contratti collegati rileva la somma dei corrispettivi

iva

Nei contratti collegati rileva la somma dei corrispettivi

Ai fini della comunicazione relativa agli elenchi «clienti e fornitori», l’Agenzia ha chiarito che la sommatoria prescinde dall’anno solare

/ Lunedì 28 novembre 2011
Nella predisposizione della comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo almeno pari a 3.000 euro, di cui all’art. 21 del DL 78/2010, per la verifica della soglia dell’operazione bisogna tener conto, come regola generale, del corrispettivo pattuito tra le parti (provvedimento direttoriale del 22 dicembre 2010). Regole particolari, e in deroga a tale principio, sono state previste per i contratti tra loro collegati.
L’Agenzia delle Entrate, dopo essere intervenuta con la circ. n. 24/2011, il 24 ottobre 2011 ha fornito ulteriori chiarimenti sull’’obbligo in questione, rispondendo ad alcuni quesiti posti dalle principali associazioni di categoria. In presenza di più contratti tra loro collegati, il provvedimento direttoriale stabilisce che, ai fini della verifica del limite (25.000 euro per l’anno 2010 e 3.000 euro per l’anno 2011), si deve considerare l’ammontare complessivo dei corrispettivi stabiliti dalle parti per tutti i predetti contratti. Tale “sommatoria” prescinde dal periodo temporale di riferimento stabilito dalle parti, con la conseguenza che la fattispecie in esame può riguardare anche più anni solari, in quanto è sempre necessario collegare tra loro i singoli contratti. Sul punto, la circ. n. 24/2011 ha fornito importanti chiarimenti, riguardo le modalità di individuazione del collegamento negoziale e di compilazione della comunicazione in presenza di corrispettivi frazionati riferiti a più contratti tra loro collegati.
In relazione al primo aspetto, l’Agenzia delle Entrate, richiamando l’orientamento consolidato della Suprema Corte (cfr. sentenze 10 luglio 2008 n. 18884, 17 dicembre 2004 n. 23470 e 16 marzo 2006 n. 5851; in ogni caso, come stabilito dalle sentenze 28 marzo 2006 n. 7074 e 12 luglio 2005 n. 14611, il collegamento negoziale non dà luogo a un nuovo e autonomo contratto), ha evidenziato che “il collegamento negoziale, sia che trovi la sua fonte nella legge, ovvero nell’autonomia negoziale delle parti, è essenzialmente un meccanismo mediante il quale le parti perseguono un risultato economico e complesso che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto bensì mediante una pluralità coordinata di contratti; tale collegamento può, tra l’altro, riguardare sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo”.
Da ciò, prosegue la circolare, deriva che, “ai fini della comunicazione in parola, il collegamento negoziale rileva quando dalla pluralità dei contratti emerge nei confronti dello stesso contribuente un corrispettivo superiore rispetto alle soglie previste dal provvedimento”. Relativamente al collegamento negoziale desunto dalla legge, l’Agenzia cita, ad esempio, il subcontratto di locazione (art. 1595 c.c.), il subcontratto di mandato (art. 1717 c.c.), il subcontratto di fornitura (L. n. 192/1998) e il contratto preliminare rispetto a quello definitivo. Riguardo il collegamento negoziale per volontà delle parti, invece, sono citati gli esempi della locazione con patto di futura vendita, ovvero quello riferito alla vendita di un veicolo collegato al contratto di finanziamento.
Sulle modalità di comunicazione degli importi riferiti a contratti tra loro collegati, l’Agenzia delle Entrate precisa che in presenza di pagamento frazionato del corrispettivo, il cui totale supera la soglia di 3.000 euro (ovvero 3.600) in un anno solare, “deve essere comunicato l’importo complessivo delle operazioni rese e ricevute nell’anno di riferimento, anche se il corrispettivo relativo al singolo contratto è inferiore a detti limiti, compilando un’unica riga del tracciato record. In tali casi, nel campo data dell’operazione, va indicata la data di registrazione dell’ultima operazione resa e ricevuta nell’anno di riferimento ovvero, in assenza dell’obbligo di registrazione, la data in cui le operazioni si intendono eseguite ai sensi dell’articolo 6 del decreto”.
Dalla lettura del documento dell’Agenzia emerge che, nella fattispecie di contratti tra loro collegati, si deve aver riguardo, per la verifica della soglia, al corrispettivo totale pattuito per ciascun anno solare. In realtà, il riferimento all’anno solare, quale parametro temporale di riferimento per la verifica della soglia, non è previsto dalle disposizioni del provvedimento del 22 dicembre 2010, ragion per cui l’Agenzia, in risposta a uno specifico quesito, il 24 ottobre ha precisato che l’importo va verificato sommando i corrispettivi pattuiti in relazione ai singoli contratti, anche se gli stessi si riferiscono ad annualità diverse. Tale interpretazione, se da un lato appare più aderente alle indicazioni normative, dall’altro rende più complesso individuare le operazioni oggetto di comunicazione, in quanto costringe i soggetti interessati ad “allargare” il campo di ricerca anche con riferimento a situazioni riferite a più anni solari.
Si pensi, ad esempio, a due contratti tra loro collegati, per i quali si prevede un corrispettivo di 2.000 euro ciascuno, stipulati in due anni diversi. Secondo l’Agenzia, “l’importo va verificato con riferimento al valore complessivo dei contratti collegati quindi i due contratti dell’esempio, da 2.000 €, costituiscono oggetto di comunicazione. Più precisamente, dovranno essere comunicati con la «modalità di pagamento» = 2, quali importi frazionati”.
 / Sandro CERATO

contenzioso : Ultimi giorni per la chiusura delle liti pendenti 2011

contenzioso

Ultimi giorni per la chiusura delle liti pendenti

Mercoledì è il termine ultimo per effettuare i versamenti per avvalersi della definizione delle liti con l’Agenzia delle Entrate
/ Lunedì 28 novembre 2011
Scade mercoledì 30 novembre il termine ultimo per versare gli importi dovuti per la fruizione della definizione delle liti pendenti, di cui all’art. 39, comma 12 del DL 98/2011. L’omesso o tardivo versamento degli importi determina l’inefficacia della sanatoria.
Sono definibili mediante tale sanatoria le liti di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011, dinanzi alle Commissioni tributarie o al Giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio. Per “valore della lite” si intende la maggiore imposta contestata nel ricorso introduttivo di primo grado, al netto degli interessi e delle sanzioni collegate al tributo.
Gli importi da versare per effetto della sanatoria sono pari a 150 euro, se la lite è di valore sino a 2.000 euro, mentre, se si tratta di cause di valore superiore a tale importo, si versa:
- il 50% del valore della lite, in caso di soccombenza del contribuente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale resa, sul merito ovvero sull’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, alla data di presentazione della domanda di definizione;
- il 10% del valore della lite, in caso di soccombenza dell’amministrazione nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale resa;
- il 30% del valore della lite ove, alla medesima data, la lite penda ancora in primo grado e non sia già stata resa alcuna pronuncia giurisdizionale.
Tali importi devono essere versati:
- in un’unica soluzione;
senza possibilità di compensazione con crediti disponibili;
- mediante compilazione del modello F24 “Elementi identificativi”, utilizzando il codice tributo “8082”, denominato “Liti fiscali pendenti - Definizione ai sensi dell’art. 39, comma 12, del degreto legge 6 luglio 2011, n. 98” (si veda “Definizione delle liti fiscali pendenti, pronto il codice tributo «8082»” del 6 agosto 2011).
Si ricorda che, oltre al versamento, deve essere presentata la domanda di definizione, la quale può essere inviata entro il 2 aprile 2012. Peraltro, onde evitare che, nel lasso di tempo intercorrente tra il versamento e la presentazione della domanda intervenga una pronuncia giudiziale, è opportuno che i contribuenti inviino la domanda subito dopo i versamenti.
Processi sospesi fino al 30 giugno 2012
La norma ha introdotto una sospensione automatica dei processi potenzialmente definibili, stabilendo che:
- le liti fiscali che possono essere definite sono sospese sino al 30 giugno 2012;
- per le stesse liti sono altresì sospesi, sempre sino al 30 giugno 2012, i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per Cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio.
Inoltre, i processi per cui è stata presentata la domanda di definizione sono ulteriormente sospesi fino al 30 settembre 2012 ed, entro tale data, gli uffici trasmetteranno alla Commissione tributaria la certificazione di regolarità della lite o il diniego di condono.
 Paola RIVETTI

reddito d'impresa : Scade il 30 novembre 2011 il termine per il versamento dell’imposta sostitutiva del 16%

reddito d'impresa

Conto alla rovescia per il riallineamento «una tantum»

Scade il 30 novembre il termine per il versamento dell’imposta sostitutiva del 16%

/ Lunedì 28 novembre 2011
Il DL 98/2011 ha introdotto la possibilità, previo pagamento di un’imposta sostitutiva del 16%, di riallineare:
- il maggior valore delle partecipazioni di controllo iscritte in bilancio a seguito delle operazioni di conferimento, fusione e scissione a titolo di avviamento, marchi d’impresa ed altre attività immateriali;
- il maggior valore delle partecipazioni di controllo acquisite nell’ambito di operazioni di cessione di azienda o di cessione di partecipazione attribuiti ad avviamento, marchi di impresa e altre attività immateriali.
L’agevolazione è limitata alle sole operazioni effettuate entro il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2010.
Sul tema è stato recentemente approvato il Provvedimento Agenzia delle Entrate 22 novembre 2011 n. 168379, il quale ha sciolto alcuni dubbi in merito all’applicazione del regime in esame (si veda anche “Partecipazioni di controllo: ogni soggetto del gruppo può affrancare una quota”, del 23 novembre 2011).
In primo luogo, l’Agenzia ha chiarito che si considerano partecipazioni di controllo le partecipazioni che presentano i requisiti di cui all’art. 26 del DLgs. 127/91, ovvero quelle che soddisfano i requisiti dello IAS 27 per i soggetti che adottano gli IAS/IFRS.
All’interno del provvedimento, vengono richiamate anche le partecipazioni di controllo congiunto definite come le partecipazioni che presentano i requisiti di cui all’art. 37 del DLgs. 127/91 ovvero quelle che soddisfano i requisiti di cui allo IAS 27 e relative interpretazioni per i soggetti che adottano gli IAS/IFRS.
Il regime dell’imposta sostitutiva in argomento si applica ad una platea di soggetti più ampia rispetto a quelli previsti dall’art. 176, comma 2-ter del TUIR e dall’art. 15, commi 10, 11 e 12 del DL 185/2008. Il provvedimento afferma che possono beneficiare dell’agevolazione i soggetti di seguito indicati, che abbiano iscritto nel bilancio individuale una partecipazione di controllo per effetto di un’operazione straordinaria traslativa:
- incorporanti o risultanti dalla fusione in operazioni di fusione;
- beneficiari in operazioni di scissione;
- conferitari in operazioni di conferimento d’azienda, conferimento di partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 175 del TUIR oppure in ipotesi di scambio di partecipazioni mediante conferimento ai sensi dell’art. 177 del TUIR;
- cessionari in ipotesi di compravendita di partecipazione di controllo;
- cessionari in ipotesi di compravendita d’azienda, che includa partecipazioni di controllo;
- scambianti che, per effetto di operazioni di scambio di partecipazioni mediante permuta ai sensi dell’art. 177 del TUIR, ricevono a loro volta una partecipazione di controllo;
- soci che, per effetto del rapporto di concambio, ricevono una partecipazione di controllo a seguito di un’operazione di fusione o scissione;
- conferenti che ricevono una partecipazione di controllo in operazioni di conferimento di azienda;
- conferenti che, per effetto di operazioni di conferimento di partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 175 del TUIR, ricevono a loro volta una partecipazione di controllo;
- conferenti che, per effetto di operazioni di scambio di partecipazioni mediante conferimento ai sensi dell’art. 177 del TUIR, ricevono a loro volta una partecipazione di controllo.
Tali soggetti possono esercitare l’opzione per il regime dell’imposta sostitutiva a condizione che facciano parte di un gruppo nel cui bilancio consolidato, riferibile all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010, a seguito di una delle ipotesi sopracitate, sia stata iscritta una voce a titolo di avviamento, marchi di impresa e altre attività immateriali.
Tuttavia, il medesimo valore di avviamento, marchi d’impresa ed altre attività immateriali iscritto nel bilancio consolidato, già affrancato – in tutto o in parte – con il regime dell’imposta sostitutiva, non può essere assoggettato per la quota già affrancata da un altro soggetto.
Si segnala, infine, che:
- l’importo assoggettato ad imposta sostitutiva non rileva ai fini della determinazione del valore fiscale della partecipazione;
gli effetti fiscali prodotti in virtù dell’esercizio dell’opzione in oggetto non s’intendono revocati in presenza di atti di realizzo riguardanti sia le partecipazioni di controllo, sia i marchi d’impresa, le altre attività immateriali o l’azienda cui si riferisce l’avviamento affrancato;
- l’esercizio dell’opzione per i regimi di riallineamento dei valori fiscali e contabili previsti dall’art. 176, comma 2-ter del TUIR e dall’art. 15, commi 10, 11 e 12 del DL 185/2008 non preclude la possibilità di optare per il regime dell’imposta sostitutiva in argomento, né l’esercizio dell’opzione per quest’ultima preclude l’esercizio dell’opzione per i predetti regimi di riallineamento.
 / Salvatore SANNA

Contenzioso : definizione delle liti pendenti introdotta dal DL 98/2011

Contenzioso

Errore scusabile se l’irregolarità non è dovuta a negligenza

Sono moltissime le ipotesi in cui il computo dei versamenti appare complesso, quindi il principio dovrebbe avere larga applicazione

/ Lunedì 28 novembre 2011
Il termine per il versamento delle somme relative alla definizione delle liti pendenti introdotta dal DL 98/2011 scade il 30 novembre 2011 (per un esempio di compilazione del modello F24 “Versamenti con elementi identificativi”, si veda “Definizione delle liti: come compilare l’F24 e la domanda di condono” del 14 ottobre 2011). Per espressa scelta del Legislatore, gli importi non possono essere compensati con crediti disponibili nel modello F24, e il pagamento, a differenza di quel che è avvenuto nel 2002, non può avvenire in forma rateale.
Anche nel caso del 2011, opera l’istituto dell’errore scusabile, secondo cui “in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio”.
Considerate le complessità della sanatoria del 2011, la quale, a differenza di quella del 2002, presenta la soglia di accesso del valore della lite (possono essere definite le sole liti su atti emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro), è opportuno che gli uffici facciano un ampio uso dell’errore scusabile.
Per fare qualche esempio, si consideri il caso della sentenza di primo grado appellata da entrambe le parti ove si è formato il giudicato interno su un recupero a tassazione, ove occorre, nel contempo, dividere la sentenza per calcolare sulla base del 10% le somme da condono parametrate alla parte di pronuncia favorevole, e sulla base del 50% per quella sfavorevole, scorporando però la parte coperta dal giudicato, la cui riscossione oramai avviene a titolo definitivo.
Ancora, si pensi al caso delle sanzioni non collegate al tributo (che concorrono a formare il valore della lite) contestate unitamente all’accertamento, ove si può porre il problema del cumulo giuridico (si veda su tale questione “Valore della lite complicato dal cumulo giuridico delle sanzioni” del 3 ottobre 2011).
Ad ogni modo, la presenza del cosiddetto “errore scusabile” comporta la necessità che gli uffici liquidino le somme dovute e invitino il contribuente al versamento integrativo, entro trenta giorni dalla data di ricezione della comunicazione.
Passando all’esame della prassi, emerge che l’errore scusabile difficilmente può essere riconosciuto nel caso delle liti di valore sino a 2.000 euro, posto che in tal caso vi è sempre da versare una somma fissa di 150 euro (circ. Agenzia delle Entrate 21 febbraio 2003 n. 12 § 11.10).
Termine per i versamenti al 30 novembre 2011
Invece, esso può trovare applicazione qualora vi sia obiettiva incertezza o complessità del calcolo, ad esempio “nel caso in cui il contribuente abbia determinato le somme dovute senza tener conto della sentenza depositata nello stesso giorno in cui viene presentata la domanda di definizione” (circ. Agenzia delle Entrate 21 febbraio 2003 n. 12 § 11.10 e 24 ottobre 2011 n. 48 § 14).
Comunque, l’istituto è inapplicabile tutte le volte in cui il contribuente ha tenuto un comportamento negligente, il che si ravvisa, per ipotesi, ove egli avesse “corrisposto l’importo previsto dalla lett. a) del comma 1 dell’articolo in esame, piuttosto che quello previsto dalle disposizioni recate dalla successiva lett. b) del medesimo comma” (circ. Agenzia delle Dogane 4 marzo 2003 n. 10 § 3.6).
 / Alfio CISSELLO

sabato 26 novembre 2011

riscossione Acconto leggero anche per minimi e cedolare secca

riscossione

Acconto leggero anche per minimi e cedolare secca

L’Agenzia delle Entrate estende l’ambito di applicazione della disposizione che consente di ridurre l’acconto IRPEF
/ Sabato 26 novembre 2011
Con il DPCM 21 novembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 275 di ieri, è stata ridotta all’82% la misura dell’acconto IRPEF cosiddetto “storico” che deve essere versato entro il prossimo 30 novembre (si veda “Acconto IRPEF 2011 ridotto dal 99% all’82%“ del 24 novembre scorso).
Ai contribuenti che, alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento in esame, quindi ieri, 25 novembre 2011, hanno già effettuato il versamento dell’acconto IRPEF senza tenere conto della suddetta riduzione, è riconosciuto un credito d’imposta pari alla differenza pagata in eccesso, da utilizzare in compensazione nel modello F24 secondo le consuete modalità, ai sensi dell’art. 17 del DLgs. n. 241/1997.
La riduzione all’82% riguarda tutti i soggetti tenuti al versamento dell’acconto IRPEF e quindi, in particolare, gli imprenditori individuali, i professionisti, i soci di società di persone, i lavoratori dipendenti e pensionati in possesso di ulteriori redditi (es. redditi fondiari o compensi per prestazioni occasionali), che, entro fine novembre, devono versare la seconda o unica rata di acconto IRPEF. Inoltre, qualora il contribuente utilizzi il cosiddetto metodo previsionale, il versamento dell’acconto sarà considerato “sufficiente” se almeno pari all’82% (e non più al 99%) dell’IRPEF netta relativa al 2011.
In merito, il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate pubblicato ieri ha chiarito che il decreto in argomento si applica anche al versamento della seconda o unica rata dell’acconto della “cedolare secca” sugli affitti degli immobili abitativi e dell’imposta sostitutiva dovuta da coloro che applicano il cosiddetto regime dei “contribuenti minimi”.
Ne consegue che, entro il 30 novembre 2011:
- per i contribuenti minimi tenuti al versamento dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF, pari al 20%, la misura dell’acconto si riduce dal 99% all’82% dell’imposta dovuta per il 2010;
- per i contribuenti tenuti al versamento della cedolare secca sugli affitti, la misura dell’acconto si riduce dall’85% al 68% dell’imposta dovuta per il 2011.
L’Agenzia delle Entrate, pertanto, ha esteso la disciplina della riduzione dell’acconto IRPEF anche agli acconti previsti per le relative imposte sostitutive (contribuenti minimi e cedolare secca). Tuttavia, in relazione alla cedolare secca, tale estensione appariva assai dubbia, in quanto il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 7 aprile 2011 prevede una particolare disciplina per i relativi versamenti in acconto, sia per il 2011, primo anno di applicazione di tale imposizione sostitutiva, sia a regime dal 2012, senza operare quindi un rinvio alla disciplina dell’IRPEF.
Per la cedolare secca, l’acconto si riduce dall’85% al 68%
Comunque, per i contribuenti che si avvalgono della cedolare secca, al ricorrere delle previste condizioni, per l’anno 2011 è sufficiente versare un acconto pari al 68% dell’imposta sostitutiva dovuta per le locazioni che abbiano avuto esecuzione nello stesso anno, rispetto alle quali il contribuente abbia optato (o opti in sede di dichiarazione dei redditi relativa al 2011) per il nuovo regime.
Se i contribuenti sopracitati hanno già effettuato il versamento applicando le percentuali in misura piena, compete loro un credito d’imposta di importo corrispondente al maggior acconto versato.
Si osserva poi che l’opzione per la cedolare ha un effetto indiretto anche sulla determinazione dell’acconto IRPEF. Infatti, al fine di evitare una duplicazione di acconti (IRPEF e, appunto, cedolare secca), la circolare Agenzia delle Entrate n. 26 (§ 8.2) del 1° giugno 2011 ha chiarito che l’acconto IRPEF relativo al 2011 non si considera incapiente ove risulti pari al 99% dell’IRPEF dovuta in base alla dichiarazione dei redditi relativa al 2010, assumendo tuttavia il relativo reddito al netto, rispettivamente:
- dell’intero reddito fondiario prodotto nel 2010 dagli immobili abitativi assoggettati al nuovo regime impositivo per l’intero periodo d’imposta 2011;
- del reddito fondiario prodotto nel corrispondente periodo del 2010 dagli immobili abitativi che, nel 2011, siano assoggettati al nuovo regime impositivo solo per un periodo infrannuale.
Tale impostazione si riferisce alla misura dell’acconto “storico” dovuto per il 2011 e riguarda la “base imponibile (nello specifico l’imposta netta)” cui occorre applicare la percentuale utile per il calcolo dell’acconto. Per questo motivo, pare logico ritenere che la riduzione della misura dell’acconto IRPEF si possa applicare anche all’imposta dovuta per il 2010 calcolata su un reddito al netto dei redditi fondiari derivanti dalle abitazioni.

imposte sui redditi Riepilogo di Assonime sugli acconti IRES e IRAP

imposte sui redditi

Riepilogo di Assonime sugli acconti IRES e IRAP

Con una circolare, l’Associazione fa una ricognizione sulle norme rilevanti ai fini del calcolo con i due metodi
/ Sabato 26 novembre 2011
A pochi giorni dal termine fissato per il pagamento della seconda o unica rata degli acconti IRES e IRAP (che, per i soggetti solari, coincide con il 30 novembre 2011), Assonime interviene sull’argomento con la circolare n. 30, diffusa il 24 novembre 2011.
Dopo aver riepilogato i termini e le modalità di versamento, con particolare riguardo alla disciplina delle compensazioni e al regime sanzionatorio, l’Associazione si sofferma sulle disposizioni che, in caso di adozione del cosiddetto metodo storico, impongono il ricalcolo dell’imposta relativa al 2010, sulla quale commisurare l’acconto relativo al 2011.
Come già rilevato su queste colonne (si vedano “Tremonti-ter, Tremonti-quater e reti di imprese: obbligo di ricalcolare gli acconti” del 31 ottobre 2011 e “Marchi e avviamento affrancati obbligano al ricalcolo degli acconti” del 1° novembre 2011), ai fini IRES rilevano le seguenti norme:
- la detassazione parziale degli investimenti in macchinari (cosiddetta “Tremonti-ter”), di cui all’art. 5, commi 1-3-bis del DL 78/2009, conv. L. 102/2009;
- la detassazione per la realizzazione di campionari nel settore tessile (cosiddetta “Tremonti-quater”), di cui all’art. 4, commi 2-4 del DL 40/2010, conv. L. 73/2010;
- le agevolazioni fiscali per le reti di imprese, di cui all’art. 42, comma 2-quater del DL 78/2010 (conv. L. 122/2010).
- l’ammortamento di marchi e avviamento riallineati ex art. 15, comma 10 ss. del DL 185/2008 (conv. L. 2/2009), disposizione, questa, rilevante anche ai fini IRAP.
Per le imprese che applicano il cosiddetto criterio previsionale, ai fini IRES rileva la riduzione della percentuale deducibile degli accantonamenti a fronte delle spese di ripristino e sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili e delle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione sostenute sui medesimi beni, riduzione prevista peraltro esclusivamente in capo alle concessionarie di costruzione e gestione di autostrade e trafori. Nel dettaglio, si ricorda che, ai sensi dell’art. 107, comma 2 del TUIR (come modificato dall’art. 23, comma 10 del DL 98/2011), detti accantonamenti divengono deducibili:
- nel limite massimo dell’1% (prima 5%) del costo;
- fino a che il fondo non abbia eguagliato l’ammontare complessivo delle spese relative al bene medesimo sostenute negli ultimi due esercizi.
Per le altre società concessionarie, invece, rimane ferma la percentuale del 5%.
In ambito IRAP, occorre tenere presente l’aumento automatico dello 0,15% dell’aliquota nelle Regioni in deficit sanitario, vale a dire Campania, Molise e Calabria (si veda “Acconto IRAP più salato in Calabria, Campania e Molise” del 2 novembre 2011).
Di tale incremento bisogna tenere conto nell’ipotesi di applicazione sia del metodo storico, sia di quello previsionale. Tuttavia, dal momento che anche lo scorso anno nelle suddette Regioni ha operato l’incremento automatico dell’aliquota d’imposta nell’uguale misura dello 0,15%, l’ammontare indicato nel rigo IR22 della dichiarazione IRAP 2011, base di calcolo dell’acconto, è già comprensivo della maggiorazione.
Acconto IRAP “storico” non influenzato dalle maggiori aliquote
Sempre con riguardo all’IRAP, in caso di adozione del criterio previsionale, occorre rammentare che, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 6 luglio 2011 (2011, per i soggetti “solari”), l’aliquota d’imposta è incrementata:
- al 4,65%, per le banche e gli altri soggetti finanziari che determinano il valore della produzione ai sensi dell’art. 6 del DLgs. 446/97, ivi incluse le holding industriali;
- al 5,90%, per le imprese di assicurazione che determinano il valore della produzione ai sensi dell’art. 7 del DLgs. 446/97;
- al 4,20%, per le società di capitali e gli enti commerciali (di cui all’art. 5 del DLgs. 446/97) esercenti attività di imprese concessionarie (diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori).
Assonime ribadisce come, nell’ipotesi di determinazione dell’acconto 2011 con il metodo storico, le nuove aliquote non esplichino alcun effetto: in questo caso, infatti, la base di calcolo dell’acconto è costituita dall’IRAP dovuta per il 2010, indicata nel rigo IR22 della dichiarazione IRAP 2011 (dato non influenzato dalle nuove misure), fatte salve ulteriori ipotesi di obbligo di ricalcolo (nello stesso senso, si veda anche il documento del Ministero dell’Economia e delle Finanze 6 settembre 2011 n. 15178/2011).
In ogni caso, alle suddette aliquote, deve essere sommata anche la maggiorazione eventualmente stabilita dall’ente locale, nonché, nelle Regioni in deficit sanitario (Campania, Molise e Calabria), la maggiorazione dello 0,15%, con il risultato che, ad esempio, per le banche l’aliquota IRAP risulterebbe pari al 5,72% (4,65% + 0,92% + 0,15%).