ilcasodelgiorno
Servizi verso l’estero con verifica multipla
Nelle prestazioni di servizi «generiche», il fornitore nazionale deve compiere alcuni accertamenti per determinare il trattamento IVA dell’operazione
Le prestazioni di servizi “generiche” rese da operatori economici nei confronti di soggetti passivi sono territorialmente rilevanti ai fini IVA nel luogo in cui il destinatario ha stabilito la propria attività. L’accertamento delle menzionate caratteristiche è demandato agli stessi soggetti coinvolti nell’operazione, secondo regole fissate dal Legislatore o dalla singola Amministrazione fiscale. In particolare, il regolamento del Consiglio Ue n. 282/2011, di rifusione del precedente Regolamento n. 1777/2005, ha previsto alcune disposizioni volte a garantire i soggetti coinvolti nelle prestazioni di servizi transnazionali, con particolare riguardo alla figura del prestatore adempiente, il quale è ora tenuto all’accertamento dello status, della qualità e del luogo di stabilimento del committente.
Tali caratteristiche devono essere valutate esclusivamente al momento del fatto generatore dell’imposta (articolo 25 del Regolamento Ue n. 282/2011), cioè, in sostanza, al momento di effettuazione dell’operazione secondo la normativa nazionale, da individuarsi in base ai criteri di cui all’art. 6 del Decreto IVA. Un diverso trattamento fiscale può aversi, invece, nel caso di iniziale versamento di un acconto con previsione di un determinato impiego del servizio (ad esempio, per fini privati) e successivo pagamento del saldo, in presenza, tuttavia, di una diversa utilizzazione dello stesso (ad esempio, per fini d’impresa), nel qual caso si applicherà un regime IVA differenziato con riferimento ai due diversi momenti (circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2011).
Tanto premesso, il prestatore del servizio dovrà innanzitutto verificare che il committente sia un soggetto passivo IVA. A tal fine, occorre distinguere l’ipotesi in cui quest’ultimo sia appartenente alla Ue da quella in cui non lo sia.
Il prestatore Ue, qualora il committente Ue gli comunichi il proprio numero di partita IVA, sarà tenuto, per essere esonerato da ogni responsabilità (salvo che, naturalmente, possegga informazioni contrarie), semplicemente a verificare:
- la validità di tale numero mediante il sistema VIES;
- la corrispondenza del nome e dell’indirizzo comunicati in base alle disposizioni del Regolamento comunitario n. 904/2010, in vigore, tuttavia, soltanto dal 2012.
Laddove, poi, il committente non abbia ancora ottenuto il numero di partita IVA, ma abbia informato il prestatore di averne fatta richiesta, il prestatore potrà fare riferimento a qualsiasi prova fornita dal committente, fermo restando che il primo dovrà effettuare una verifica di ragionevole ampiezza, attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali (controlli d’identità o di pagamento), dell’esattezza delle informazioni fornite dal committente. In assenza di elementi che dimostrino palesemente l’assenza di status di soggetto passivo, può attribuirsi rilevanza alla richiesta di attribuzione della partita IVA che il committente estero mette a disposizione del prestatore stabilito nel territorio dello Stato (circ. n. 37/2011). Nel caso in cui, invece, il prestatore dimostri che il committente non gli ha comunicato il suo numero individuale di identificazione IVA, egli può considerare il committente privo di soggettività passiva, salvo che, anche in questo caso, disponga di informazioni contrarie sullo status di quest’ultimo.
Laddove, poi, il committente sia un soggetto extra-Ue, il prestatore Ue per essere al riparo da ogni contestazione, posto che emette una fattura senza IVA ai sensi dell’art. 7-ter, comma 1, lett. a) del DPR n. 633 del 1972, deve ottenere dal committente extra-Ue il certificato attestante il diritto al rimborso ai sensi della tredicesima direttiva (Direttiva 86/560/CEE - Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità). In mancanza di tale certificato (che peraltro è rilasciato solo da un limitato numero di Paesi, come ad esempio Israele, Svizzera e Norvegia), il destinatario dovrà disporre di un numero di partita IVA o di un altro numero identificativo equivalente attribuitogli dal Paese di stabilimento o, comunque, dovrà fornire al prestatore qualsiasi altra prova attestante il proprio status di soggetto passivo. L’esattezza delle informazioni fornite dovrà, poi, essere verificata dal prestatore attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento.
Eseguita questa prima valutazione, il committente dovrà, poi, verificare se il committente stia acquistando il servizio per destinarlo alla propria attività economica o esclusivamente a uso privato, dal momento che, in quest’ultimo caso, lo stesso dovrà considerarsi soggetto non passivo ai fini della individuazione del luogo di imposizione dell’operazione. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il destinatario abbia comunicato al prestatore il proprio numero di partita IVA, quest’ultimo può senz’altro considerare che i servizi siano destinati all’attività economica del destinatario anche in caso di effettiva destinazione ad uso privato, salvo che non disponga di informazioni contrarie (art. 19 del Regolamento n. 282/2011), come ad esempio la natura del servizio di fatto incompatibile per un utilizzo commerciale. Inoltre, in caso di servizi compatibili sia con la sfera privata sia con la veste di soggetti passivi, il prestatore potrà chiedere al committente non comunitario anche gli elementi necessari a giustificare la mancata applicazione dell’imposta secondo il criterio generale B2B (circ. n. 37/2011). Nell’ipotesi, poi, di servizi unici, destinati cioè sia ad uso privato, ivi compreso quello reso ai dipendenti del destinatario, sia a fini commerciali, il destinatario dei servizi dovrà essere considerato soggetto passivo per l’intera prestazione ricevuta (in assenza, tuttavia, di pratiche abusive).
Ricordiamo, al riguardo, che società, enti, associazioni o società semplici devono essere sempre considerate, a tali fini, soggetti passivi, salvo l’ipotesi in cui il servizio sia destinato a un uso privato delle persone che fanno parte di tali organizzazioni ovvero dei dipendenti delle stesse (ancora circ. n. 37/2011). L’esercizio di attività imprenditoriale, artistica o professionale non è, invece, sufficiente nel caso in cui il committente sia una persona fisica, per cui in questa ipotesi il prestatore del servizio sarà tenuto a effettuare una valutazione di compatibilità complessiva, al fine di verificare che il servizio sia acquistato nell’esercizio di tale attività.
Successivamente, il prestatore dovrà determinare il luogo di stabilimento del committente verificando l’esattezza delle pertinenti informazioni (tra le quali il numero di identificazione IVA), ricevute dal committente attraverso le normali procedure di sicurezza commerciale (controlli di identità o di pagamento).
Ricordiamo, infine, che il prestatore riveste un ruolo importante anche con riferimento alla verifica della circostanza che, in relazione alla prestazione di servizio eseguita nello Stato membro del committente, non sia dovuta l’imposta poiché, ad esempio, considerata esente o non imponibile in base alla legislazione locale. A tal fine, l’operatore italiano sarà esente da responsabilità circa la qualificazione dell’operazione (e la conseguente non inclusione della stessa negli elenchi INTRASTAT) laddove richieda e ottenga dal committente Ue una dichiarazione in cui quest’ultimo afferma che la prestazione è esente o non imponibile nel suo Paese di stabilimento (circ. Agenzia delle Entrate n. 43/2010).
Tale dichiarazione è valida per tutte le prestazioni della stessa specie dallo stesso ricevute, e rimane tale fino a che non vi siano cambiamenti per quanto concerne il trattamento fiscale delle stesse nel Paese del committente o le caratteristiche del servizio reso. In mancanza di tale dichiarazione, il soggetto IVA nazionale potrà essere esentato dall’obbligo di presentazione degli elenchi INTRASTAT esclusivamente nell’ipotesi in cui abbia la certezza, in base ad elementi di fatto obiettivi, che con riferimento alle stesse non è dovuta l’imposta nello Stato membro del committente.
/ Lelio CACCIAPAGLIA e Francesco D'ALFONSO
Tali caratteristiche devono essere valutate esclusivamente al momento del fatto generatore dell’imposta (articolo 25 del Regolamento Ue n. 282/2011), cioè, in sostanza, al momento di effettuazione dell’operazione secondo la normativa nazionale, da individuarsi in base ai criteri di cui all’art. 6 del Decreto IVA. Un diverso trattamento fiscale può aversi, invece, nel caso di iniziale versamento di un acconto con previsione di un determinato impiego del servizio (ad esempio, per fini privati) e successivo pagamento del saldo, in presenza, tuttavia, di una diversa utilizzazione dello stesso (ad esempio, per fini d’impresa), nel qual caso si applicherà un regime IVA differenziato con riferimento ai due diversi momenti (circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2011).
Tanto premesso, il prestatore del servizio dovrà innanzitutto verificare che il committente sia un soggetto passivo IVA. A tal fine, occorre distinguere l’ipotesi in cui quest’ultimo sia appartenente alla Ue da quella in cui non lo sia.
Il prestatore Ue, qualora il committente Ue gli comunichi il proprio numero di partita IVA, sarà tenuto, per essere esonerato da ogni responsabilità (salvo che, naturalmente, possegga informazioni contrarie), semplicemente a verificare:
- la validità di tale numero mediante il sistema VIES;
- la corrispondenza del nome e dell’indirizzo comunicati in base alle disposizioni del Regolamento comunitario n. 904/2010, in vigore, tuttavia, soltanto dal 2012.
Laddove, poi, il committente non abbia ancora ottenuto il numero di partita IVA, ma abbia informato il prestatore di averne fatta richiesta, il prestatore potrà fare riferimento a qualsiasi prova fornita dal committente, fermo restando che il primo dovrà effettuare una verifica di ragionevole ampiezza, attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali (controlli d’identità o di pagamento), dell’esattezza delle informazioni fornite dal committente. In assenza di elementi che dimostrino palesemente l’assenza di status di soggetto passivo, può attribuirsi rilevanza alla richiesta di attribuzione della partita IVA che il committente estero mette a disposizione del prestatore stabilito nel territorio dello Stato (circ. n. 37/2011). Nel caso in cui, invece, il prestatore dimostri che il committente non gli ha comunicato il suo numero individuale di identificazione IVA, egli può considerare il committente privo di soggettività passiva, salvo che, anche in questo caso, disponga di informazioni contrarie sullo status di quest’ultimo.
Laddove, poi, il committente sia un soggetto extra-Ue, il prestatore Ue per essere al riparo da ogni contestazione, posto che emette una fattura senza IVA ai sensi dell’art. 7-ter, comma 1, lett. a) del DPR n. 633 del 1972, deve ottenere dal committente extra-Ue il certificato attestante il diritto al rimborso ai sensi della tredicesima direttiva (Direttiva 86/560/CEE - Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità). In mancanza di tale certificato (che peraltro è rilasciato solo da un limitato numero di Paesi, come ad esempio Israele, Svizzera e Norvegia), il destinatario dovrà disporre di un numero di partita IVA o di un altro numero identificativo equivalente attribuitogli dal Paese di stabilimento o, comunque, dovrà fornire al prestatore qualsiasi altra prova attestante il proprio status di soggetto passivo. L’esattezza delle informazioni fornite dovrà, poi, essere verificata dal prestatore attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento.
Eseguita questa prima valutazione, il committente dovrà, poi, verificare se il committente stia acquistando il servizio per destinarlo alla propria attività economica o esclusivamente a uso privato, dal momento che, in quest’ultimo caso, lo stesso dovrà considerarsi soggetto non passivo ai fini della individuazione del luogo di imposizione dell’operazione. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il destinatario abbia comunicato al prestatore il proprio numero di partita IVA, quest’ultimo può senz’altro considerare che i servizi siano destinati all’attività economica del destinatario anche in caso di effettiva destinazione ad uso privato, salvo che non disponga di informazioni contrarie (art. 19 del Regolamento n. 282/2011), come ad esempio la natura del servizio di fatto incompatibile per un utilizzo commerciale. Inoltre, in caso di servizi compatibili sia con la sfera privata sia con la veste di soggetti passivi, il prestatore potrà chiedere al committente non comunitario anche gli elementi necessari a giustificare la mancata applicazione dell’imposta secondo il criterio generale B2B (circ. n. 37/2011). Nell’ipotesi, poi, di servizi unici, destinati cioè sia ad uso privato, ivi compreso quello reso ai dipendenti del destinatario, sia a fini commerciali, il destinatario dei servizi dovrà essere considerato soggetto passivo per l’intera prestazione ricevuta (in assenza, tuttavia, di pratiche abusive).
Ricordiamo, al riguardo, che società, enti, associazioni o società semplici devono essere sempre considerate, a tali fini, soggetti passivi, salvo l’ipotesi in cui il servizio sia destinato a un uso privato delle persone che fanno parte di tali organizzazioni ovvero dei dipendenti delle stesse (ancora circ. n. 37/2011). L’esercizio di attività imprenditoriale, artistica o professionale non è, invece, sufficiente nel caso in cui il committente sia una persona fisica, per cui in questa ipotesi il prestatore del servizio sarà tenuto a effettuare una valutazione di compatibilità complessiva, al fine di verificare che il servizio sia acquistato nell’esercizio di tale attività.
Successivamente, il prestatore dovrà determinare il luogo di stabilimento del committente verificando l’esattezza delle pertinenti informazioni (tra le quali il numero di identificazione IVA), ricevute dal committente attraverso le normali procedure di sicurezza commerciale (controlli di identità o di pagamento).
Ricordiamo, infine, che il prestatore riveste un ruolo importante anche con riferimento alla verifica della circostanza che, in relazione alla prestazione di servizio eseguita nello Stato membro del committente, non sia dovuta l’imposta poiché, ad esempio, considerata esente o non imponibile in base alla legislazione locale. A tal fine, l’operatore italiano sarà esente da responsabilità circa la qualificazione dell’operazione (e la conseguente non inclusione della stessa negli elenchi INTRASTAT) laddove richieda e ottenga dal committente Ue una dichiarazione in cui quest’ultimo afferma che la prestazione è esente o non imponibile nel suo Paese di stabilimento (circ. Agenzia delle Entrate n. 43/2010).
Tale dichiarazione è valida per tutte le prestazioni della stessa specie dallo stesso ricevute, e rimane tale fino a che non vi siano cambiamenti per quanto concerne il trattamento fiscale delle stesse nel Paese del committente o le caratteristiche del servizio reso. In mancanza di tale dichiarazione, il soggetto IVA nazionale potrà essere esentato dall’obbligo di presentazione degli elenchi INTRASTAT esclusivamente nell’ipotesi in cui abbia la certezza, in base ad elementi di fatto obiettivi, che con riferimento alle stesse non è dovuta l’imposta nello Stato membro del committente.
/ Lelio CACCIAPAGLIA e Francesco D'ALFONSO
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