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lunedì 30 aprile 2012

reddito d'impresa

Operazioni straordinarie alla prova dell’ACE

Tale relazione viene approfondita dal Consorzio Studi e Ricerche fiscali del gruppo Intesa San Paolo

/ Venerdì 27 aprile 2012
Con la circolare del 26 aprile 2012 n. 3, il Consorzio Studi e Ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo esamina l’agevolazione per la crescita economica (ACE) di cui all’art. 1 del DL 201/2011. Nonostante l’analisi riguardi tutti i profili applicativi dell’agevolazione (presupposti, modalità di applicazione, calcolo dell’agevolazione, disposizioni antielusive e così via), nel presente intervento ci si soffermerà sulle considerazioni esposte in merito al rapporto tra l’ACE e le operazioni straordinarie.
Il documento in esame precisa, innanzitutto, che il DM 14 marzo 2012 non contiene disposizioni specifiche relative alle operazioni straordinarie, posto che esse non costituiscono, di per sé, presupposto per l’applicazione dell’agevolazione. Al riguardo, la relazione ha precisato che “trovano applicazione, tendenzialmente, i principi generali che connotano tali operazioni”.
Per quanto riguarda la fusione, la circolare in oggetto rileva che tale operazione non è idonea, di per sé, a determinare alcuna variazione rilevante ai fini ACE, né in aumento né in diminuzione, neppure nel caso in cui la fusione avvenga con concambio e, conseguentemente, al servizio dell’operazione si determini un incremento del patrimonio netto della società incorporante o risultante dalla fusione; ciò in quanto ai fini della fruizione dell’agevolazione non rilevano gli incrementi patrimoniali in natura, ma solo quelli in denaro ovvero gli accantonamenti di utili a riserva ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili. Parimenti, deve considerarsi irrilevante la circostanza che fra gli elementi dell’attivo dell’incorporata siano incluse somme di denaro.
Peraltro, in mancanza di apposita disciplina, secondo il Consorzio, devono ritenersi validi i chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria in occasione della DIT (cfr. C.M. n. 76/1998). In particolare, è stato precisato che la società risultante dalla fusione o quella incorporante possono, a partire dalla data in cui ha effetto la fusione, determinare l’incremento del capitale proprio investito, assumendo anche la variazione del capitale investito delle società fuse o incorporate. Ciò coerentemente con il principio sancito dal comma 4 dell’art. 172 (già 123) del TUIR, secondo cui, dalla data in cui ha effetto la fusione, la società incorporante o risultante dalla funzione subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate. In pratica, per determinare l’incremento di patrimonio netto rilevante ai fini ACE, l’incorporante dovrà sommare al proprio incremento anche quello manifestatosi presso l’incorporata.
Tuttavia, secondo il Consorzio, detto principio deve essere “temperato” nel caso in cui la società incorporante incorpori una propria partecipata alla quale in precedenza abbia effettuato un conferimento rilevante. In tale ipotesi, con riferimento alla DIT, la risoluzione n. 147/2002 dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che la disciplina relativa alle sterilizzazioni dei conferimenti a società appartenenti al medesimo gruppo non dovesse risolversi in annullamenti ingiustificati dell’agevolazione, dovendo la società incorporante rilevare – rispetto alla sua situazione ante fusione – il medesimo incremento del capitale di cui già godeva, senza che i conferimenti effettuati alla società controllata successivamente incorporata assumano rilevanza come incrementi di capitale da un lato e come sterilizzazioni dello stesso dall’altro. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria ha affermato la necessità di eliminare le sterilizzazioni dei conferimenti da parte della controllante incorporante a favore della controllata incorporata e, nel contempo, di ridurre gli incrementi di quest’ultima derivanti dai predetti conferimenti.
Tali indicazioni devono ritenersi valide, secondo il Consorzio, anche per l’ACE.
Eccedenza ACE trasferita all’incorporante
In base ai principi generali, l’eventuale quota eccedente di ACE dell’incorporata, riportabile ai periodi d’imposta successivi, si trasferisce anch’essa all’incorporante. Peraltro, in assenza di qualsiasi rinvio all’art. 172, comma 7 del TUIR, in materia di riporto delle perdite fiscali pregresse, dovrebbe ritenersi che il trasferimento della quota eccedente di ACE non debba essere subordinato ad alcuna limitazione, né riguardo alla “vitalità” dei soggetti partecipanti alla fusione né con riferimento al limite massimo del patrimonio netto della società dante causa, diversamente da quanto accade, invece, per il riporto delle eccedenze di interessi passivi o di ROL ai sensi dell’art. 96 del TUIR.
Anche per la scissione valgono le medesime considerazioni in merito all’irrilevanza dell’operazione a creare, di per sé, incrementi di patrimonio netto rilevanti ai fini della disciplina.
Il criterio di ripartizione proporzionale dovrebbe valere anche per le eccedenze di ACE formatesi presso la scissa in precedenti periodi d’imposta. Come per le fusioni, non dovrebbero trovare applicazione i limiti in materia di riporto della perdite fiscali.
 / Pamela ALBERTI

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