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venerdì 13 aprile 2012

Contenzioso

L’Agenzia «aggiorna» le istruzioni per le liti sulle cartelle esattoriali

La circolare 12 fa il punto della situazione su legittimazione processuale e chiamata in causa del soggetto non notificatario del ricorso
/ Venerdì 13 aprile 2012
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 12 pubblicata ieri, ha affrontato l’importante tema relativo alla gestione dei ricorsi contro gli atti dell’Agente della riscossione, esaminando varie questioni alla luce dei più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
In primo luogo, viene confermato il seguente principio:
- se il contribuente propone ricorso contro la cartella di pagamento, il legittimato passivo può essere sia l’Agenzia delle Entrate sia Equitalia, a seconda dell’imputabilità del vizio che si eccepisce;
- se il ricorso è proposto avverso il fermo o l’ipoteca, il legittimato passivo è sempre l’Agente della riscossione, a meno che il contribuente non censuri l’omessa notifica dell’avviso di accertamento.
È sempre opportuno un coordinamento della difesa tra Agenzia e Agente, per uniformare le condotte processuali: tra l’altro, viene specificato che sia lo sgravio che l’acquiescenza alla sentenza adottati dall’Ufficio devono essere prontamente comunicati ad Equitalia, al fine di evitare inutili attività processuali.
Ribadendo quanto affermato con la circolare 51 del 2008, qualora l’Ufficio venisse chiamato in giudizio per questioni imputabili al solo Agente della riscossione, egli deve provvedere, mediante le controdeduzioni depositate tempestivamente, alla chiamata in causa di Equitalia, previa autorizzazione del giudice.
Nella circolare 12 si prende atto dell’opinione della giurisprudenza di legittimità secondo cui il legittimato passivo, anche per i vizi concernenti la cartella come quello di notifica, sarebbe sempre l’Ufficio (si veda “Rebus individuazione della controparte nei ricorsi contro le cartelle” del 5 agosto 2010), ma si ritiene di non mutare orientamento.
Del resto, il principio affermato dalla Cassazione è stato smentito da altre sentenze (si veda “Inammissibile il ricorso notificato all’Ufficio e non a Equitalia” del 31 marzo 2011), e, aggiungiamo noi, dovrebbe essere contestualizzato: l’assunto della Cassazione, secondo cui il legittimato passivo sarebbe sempre l’Ufficio, è strumentale a scongiurare l’ipotesi di una dichiarazione di inammissibilità derivante dall’errata chiamata in causa dell’Ufficio, più che a sostenere che, sempre e comunque, debba essere chiamato in causa l’ente creditore.
L’appello va notificato a tutte le parti del giudizio
Ad ogni modo, vale quanto detto più volte in precedenti articoli: il contribuente deve fare sempre attenzione alla corretta notifica del ricorso, siccome, anche se le Sezioni Unite (sentenza 16412/2007) hanno affermato che l’inammissibilità non può essere mai dichiarata, alcuna giurisprudenza di merito la vede diversamente, e la stessa Suprema Corte, come evidenziato nell’articolo richiamato, talvolta pare essersi pronunciata in senso opposto alle Sezioni Unite.
Nulla quaestio per l’ipotesi inversa, caso in cui il contribuente, eccependo vizi imputabili ad entrambi i soggetti o al solo Ufficio, anziché notificare il ricorso a tutti e due chiama in causa la sola Equitalia: è applicabile l’art. 39 del DLgs. 112/99, quindi Equitalia deve chiamare in causa l’ente creditore, che provvederà a costituirsi in giudizio entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto di chiamata in causa.
Un’interessante specificazione viene effettuata per il giudizio di appello, nel caso in cui, in primo grado, il processo si sia svolto con la presenza del contribuente, dell’Ufficio e di Equitalia. Opera in tal caso l’art. 53 del DLgs. 546/92, che impone la notifica del ricorso in appello a tutte le parti di primo grado: pertanto, se appellante è l’Agenzia delle Entrate, l’appello va notificato ad Equitalia e al contribuente.
In caso contrario, anche se la Cassazione si è dimostrata di diverso avviso, il contribuente, supportato da alcune pronuce dei giudici di merito, potrebbe infatti sollecitare l’inammissibilità dell’impugnazione.

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