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venerdì 13 aprile 2012

accertamento

Valido l’accertamento induttivo in presenza di lavoratori «in nero»

La Cassazione ha stabilito che la legittimità dell’avviso prescinde dalla circostanza che si tratti di rapporti di lavoro di tipo subordinato
/ Giovedì 12 aprile 2012
È legittimo l’avviso di accertamento fondato sulla presenza di personale non regolarmente assunto dal datore di lavoro, a prescindere dalla circostanza che si tratti di rapporti di tipo subordinato.
È quanto si desume dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5731 di ieri, 11 aprile 2012.
Presso una srl era stata accertata la presenza di lavoratori in nero” e, pertanto, sulla base di tale circostanza, l’Ufficio competente aveva notificato alla società un accertamento induttivo (rectius analitico-induttivo) ex art. 39, comma 1, lett. d), del DPR 600/1973, in base al quale l’Amministrazione finanziaria può desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche attraverso presunzioni qualificate, ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.
La contribuente aveva proposto ricorso alla C.T. Prov., che lo aveva accolto. Appellava, quindi, l’Ufficio, ma anche i giudici del riesame si pronunciavano a favore della società, atteso che, in sede civile, il Tribunale aveva decretato che, in effetti, si era trattato di rapporti di lavoro non di tipo subordinato.
L’Agenzia delle Entrate proponeva, allora, ricorso per Cassazione, eccependo la violazione dell’anzidetto art. 39 del DPR 600/1973, poiché i giudici di merito avevano sostanzialmente ignorato che la società si era avvalsa di personale non in regola, circostanza idonea a legittimare, secondo la difesa erariale, il ricorso all’accertamento induttivo per la determinazione dei maggiori ricavi, a prescindere dal fatto che non si era trattato di rapporti di lavoro di tipo subordinato, ma di altre fattispecie contrattuali.
Peraltro, la società, nei giudizi di merito, si era limita ad eccepire la circostanza che non si era trattato, appunto, di lavoro di tipo dipendente, ma non aveva contestato il fatto di essersi avvalsa di lavoratori “in nero”, così come non aveva censurato la ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio.
I Giudici di piazza Cavour, investiti della questione, hanno stabilito che l’accertamento presuntivo ex art. 39 del DPR 600/1973 è esperibile tutte le volte in cui il risultato della contabilità, pur formalmente corretta, sia complessivamente inattendibile, poiché, come nel caso di specie, confliggente con l’accertamento della presenza di lavoratori “in nero”.
Peraltro, la Cassazione ha osservato che, dalla sentenza impugnata, emergeva una “obiettiva deficienza del criterio logico” che aveva indotto i giudici di merito ad assumere una simile decisione dinnanzi alla censura espressamente sollevata dal Fisco circa la rilevanza dei lavoratori non in regola. Gli Ermellini, pertanto, hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa ad altra sezione della C.T. Reg.
Poco più di un anno fa, in realtà, i Giudici del Palazzaccio avevano già stabilito la legittimità di un avviso di accertamento fondato sulla presunzione per cui da un fatto noto, ovvero la presenza di un dipendente non regolarmente assunto per il quale la stessa contribuente aveva ammesso la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata, si era risaliti, in forza di presunzione qualificata (nella specie ex art. 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/1973), a un fatto ignorato, cioè la maggior redditività dell’impresa, in relazione al quale la contribuente non aveva assolto l’onere della prova contraria (cfr. Cass. 2593/2011).
Un unico elemento probante ha valore presuntivo purché preciso e grave
può valere ad inficiare un accertamento di siffatta specie la censura per cui la rilevazione di personalein nero” costituisce un solo ed unico elemento, che, pertanto, di per sé, non può integrare tutti i requisiti propri delle presunzioni qualificate (gravità, precisione e concordanza) richieste ai fini accertativi, in particolar modo per quanto attiene alla “concordanza” degli elementi presuntivi, trattandosi, appunto, di uno solo.
A tal proposito, infatti, la Cassazione ha stabilito che può essere comunque riconosciuto valore probante ad un unico ed isolato elemento presuntivo, purché preciso e grave (cfr. Cass. 12671/2005, 19077/2005 e 12060/2002; più recentemente, con la Cass. 22242/2011, è stato deciso che, dal solo elemento rappresentato dal costante consumo di energia elettrica, dopo la formale cessione dell’attività, il Fisco può legittimamente dedurne la continuazione sostanziale in evasione d’imposta, con prova contraria a carico del contribuente).

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