iva
Vendita di immobili tra parti collegate, base imponibile IVA al valore normale
La norma generale, secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto, prevede un’eccezione per alcuni casi
La Corte di giustizia, con la sentenza del 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, esamina una problematica IVA di particolare interesse concentrandosi, appunto, sulla vendita di beni immobili fra società collegate, con le inevitabili “ricadute” in tema di valore normale dell’operazione effettuata.
Procedendo con ordine, la vicenda riguarda due procedimenti.
Il primo, causa C-621/10, interessa una spa bulgara impegnata in un’attività di investimento di fondi acquistati mediante l’emissione di titoli immobiliari. Nel 2009, la società ha acquistato da un’altra società, in possesso di una percentuale azionaria della prima, alcuni immobili. L’imposta è stata detratta “al momento della conclusione del contratto definitivo e dell’emissione delle fatture finali”. Poiché la normativa nazionale stabilisce che, in caso di vendita fra parti collegate, la base imponibile sia pari al valore normale dei beni, sono state commissionate due perizie, una da parte della società e l’altra dall’Amministrazione finanziaria competente, la quale, concludendo che il valore normale dei beni fosse inferiore al prezzo di vendita effettivo di questi ultimi, ha considerato l’IVA calcolata su un prezzo superiore al valore normale dei beni quale imposta indebitamente fatturata non soggetta a detrazione.
Il secondo, causa C-129/11, concerne una srl bulgara la cui attività principale consiste nell’affitto di terreni agricoli e strutture in acciaio utilizzate per serre in polietilene. Tale società ha venduto nel 2009 “due terreni utilizzati per serre a uno dei suoi soci e un terreno al suo rappresentante”. Per tali vendite, la società ha emesso fatture al netto dell’IVA. Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria competente ha ritenuto che le vendite degli immobili includessero sia una cessione di terreni esente dall’IVA sia una cessione imponibile di elementi accessori, migliorie e colture permanenti. Come nel caso precedente, poiché le vendite erano tra parti collegate, la base imponibile ai fini dell’IVA era pari al valore normale stabilito da un perito. Quest’ultimo, tuttavia, ha stimato che il valore normale globale delle sole strutture in polietilene fosse di per sé superiore a quello realmente versato come corrispettivo, così legittimando l’azione di “recupero” dell’Amministrazione finanziaria.
Focalizzando la nostra attenzione sui quesiti maggiormente interessanti di cui si è occupata la Corte di Giustizia, emerge innanzitutto che l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che le condizioni di applicazione da esso indicate sono tassative e che, pertanto, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l’IVA, circostanza che spetta al giudice nazionale accertare.
In merito, poi, alla questione sollevata dal giudice del rinvio, ossia se l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA abbia un effetto diretto “e se il giudice nazionale possa, di conseguenza, applicarla direttamente alle controversie principali”, la risposta della Corte è decisa: “l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA conferisce alle società interessate il diritto di avvalersene direttamente al fine di opporsi all’applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con tale norma. Nell’impossibilità di procedere ad un’interpretazione della normativa interna in conformità con tale articolo 80, paragrafo 1, il giudice del rinvio dovrebbe disapplicare qualsiasi disposizione di tale normativa che contrasti con esso”.
/ Vincenzo CRISTIANO
Procedendo con ordine, la vicenda riguarda due procedimenti.
Il primo, causa C-621/10, interessa una spa bulgara impegnata in un’attività di investimento di fondi acquistati mediante l’emissione di titoli immobiliari. Nel 2009, la società ha acquistato da un’altra società, in possesso di una percentuale azionaria della prima, alcuni immobili. L’imposta è stata detratta “al momento della conclusione del contratto definitivo e dell’emissione delle fatture finali”. Poiché la normativa nazionale stabilisce che, in caso di vendita fra parti collegate, la base imponibile sia pari al valore normale dei beni, sono state commissionate due perizie, una da parte della società e l’altra dall’Amministrazione finanziaria competente, la quale, concludendo che il valore normale dei beni fosse inferiore al prezzo di vendita effettivo di questi ultimi, ha considerato l’IVA calcolata su un prezzo superiore al valore normale dei beni quale imposta indebitamente fatturata non soggetta a detrazione.
Il secondo, causa C-129/11, concerne una srl bulgara la cui attività principale consiste nell’affitto di terreni agricoli e strutture in acciaio utilizzate per serre in polietilene. Tale società ha venduto nel 2009 “due terreni utilizzati per serre a uno dei suoi soci e un terreno al suo rappresentante”. Per tali vendite, la società ha emesso fatture al netto dell’IVA. Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria competente ha ritenuto che le vendite degli immobili includessero sia una cessione di terreni esente dall’IVA sia una cessione imponibile di elementi accessori, migliorie e colture permanenti. Come nel caso precedente, poiché le vendite erano tra parti collegate, la base imponibile ai fini dell’IVA era pari al valore normale stabilito da un perito. Quest’ultimo, tuttavia, ha stimato che il valore normale globale delle sole strutture in polietilene fosse di per sé superiore a quello realmente versato come corrispettivo, così legittimando l’azione di “recupero” dell’Amministrazione finanziaria.
Focalizzando la nostra attenzione sui quesiti maggiormente interessanti di cui si è occupata la Corte di Giustizia, emerge innanzitutto che l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che le condizioni di applicazione da esso indicate sono tassative e che, pertanto, una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l’IVA, circostanza che spetta al giudice nazionale accertare.
Eccezione da interpretare restrittivamente
La soluzione prospettata dalla Corte passa attraverso l’esame della norma generale prevista dall’articolo 73 della Direttiva IVA, secondo cui la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio, effettuate a titolo oneroso, è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo. Nello specifico, si ribadisce che il corrispettivo costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi. Tuttavia, nel consentire in taluni casi di considerare che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione, l’articolo 80, paragrafo 1, introduce un’eccezione alla norma generale (prevista dall’articolo 73) che, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente.In merito, poi, alla questione sollevata dal giudice del rinvio, ossia se l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA abbia un effetto diretto “e se il giudice nazionale possa, di conseguenza, applicarla direttamente alle controversie principali”, la risposta della Corte è decisa: “l’articolo 80, paragrafo 1, della Direttiva IVA conferisce alle società interessate il diritto di avvalersene direttamente al fine di opporsi all’applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con tale norma. Nell’impossibilità di procedere ad un’interpretazione della normativa interna in conformità con tale articolo 80, paragrafo 1, il giudice del rinvio dovrebbe disapplicare qualsiasi disposizione di tale normativa che contrasti con esso”.
/ Vincenzo CRISTIANO
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