Contenzioso
La Cassazione «frena» sulla necessità di impugnare gli interpelli
Se la risposta sull’interpello disapplicativo o sulle società di comodo dichiara improcedibile l’istanza, il diniego non è impugnabile
/ Sabato 14 aprile 2012
Ieri, con la sentenza n. 5843 del 2012, la Corte di Cassazione ha delineato i confini dell’autonoma impugnabilità delle risposte rese a seguito di interpello, confermando, sebbene con la dovuta contestualizzazione, quanto già detto con la sentenza n. 8663/2011.
Sono ormai noti gli effetti del principio contenuto nella sentenza del 2011: il contribuente, nel caso dell’interpello disapplicativo (art. 37-bis del DPR 600/73) o dell’interpello sulla disapplicazione della disciplina in tema di società di comodo (art. 30 della L. 724/94), deve impugnare autonomamente la risposta resa dall’Agenzia delle Entrate, siccome si tratta, in sostanza, di un diniego di agevolazione, atto impugnabile ai sensi dell’art. 19 del DLgs. 546/92.
La conseguenza di ciò è molto importante: se il contribuente omette di impugnare la risposta resa a seguito di interpello, all’atto della ricezione dell’avviso di accertamento il ricorso contro tale atto potrà concernere solo suoi vizi propri, ma non vizi relativi al diniego, quindi non potrà essere censurata la mancanza di condizioni, ad esempio, dell’operatività della normativa sulle società di comodo.
Sintetizzando, tra risposta all’interpello e accertamento vi sarebbe un rapporto di presupposizione simile a quello presente tra avviso di accertamento e cartella di pagamento.
Nella sentenza 5843 del 13 aprile 2012, invece, c’è una puntualizzazione: la risposta dell’Amministrazione finanziaria non è impugnabile se dichiara l’improcedibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 1 del DM 259/98: l’istanza, relativa alla disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, non era stata esaminata siccome mancava la descrizione della fattispecie.
Infatti, non si tratta di un provvedimento definitivo di diniego alla richiesta di disapplicazione, ma di “provvedimento, sostanzialmente, interlocutorio, di declaratoria di improcedibilità dell’istanza, con il quale non si respinge nel merito l’istanza medesima, ma se ne rileva una tale carenza, sul piano della descrizione della situazione e delle correlative allegazioni documentali, da renderla come non proposta siccome insuscettibile di qualsiasi plausibile valutazione”.
Del resto, se la domanda è improcedibile, il contribuente, anche se fosse ammesso al ricorso, non potrebbe contestare nulla circa la questione sul carattere non operativo della società, siccome l’Agenzia delle Entrate non si è su tal punto pronunciata.
Tanto premesso, se, ricorrendone i presupposti, il contribuente ripresenta l’istanza e l’Ufficio oppone il diniego, questo sarà impugnabile, salvo che si tratti nuovamente di improcedibilità. Parimenti, sarà impugnabile il successivo avviso di accertamento, notificato dopo il diniego di disapplicazione per improcedibilità della domanda, siccome il discorso fatto prima circa la presupposizione non vale.
La sentenza è importante non solo per questo principio (non impugnabilità della domanda se c’è improcedibilità), ma per il fatto che, dal tenore delle parole utilizzate, sembra proprio confermativa della necessità di autonoma impugnazione della risposta, pena, come detto dalla sentenza 8663/2011, la limitazione nell’oggetto della tutela nel ricorso contro il successivo avviso di accertamento.
Sono ormai noti gli effetti del principio contenuto nella sentenza del 2011: il contribuente, nel caso dell’interpello disapplicativo (art. 37-bis del DPR 600/73) o dell’interpello sulla disapplicazione della disciplina in tema di società di comodo (art. 30 della L. 724/94), deve impugnare autonomamente la risposta resa dall’Agenzia delle Entrate, siccome si tratta, in sostanza, di un diniego di agevolazione, atto impugnabile ai sensi dell’art. 19 del DLgs. 546/92.
La conseguenza di ciò è molto importante: se il contribuente omette di impugnare la risposta resa a seguito di interpello, all’atto della ricezione dell’avviso di accertamento il ricorso contro tale atto potrà concernere solo suoi vizi propri, ma non vizi relativi al diniego, quindi non potrà essere censurata la mancanza di condizioni, ad esempio, dell’operatività della normativa sulle società di comodo.
Sintetizzando, tra risposta all’interpello e accertamento vi sarebbe un rapporto di presupposizione simile a quello presente tra avviso di accertamento e cartella di pagamento.
Nella sentenza 5843 del 13 aprile 2012, invece, c’è una puntualizzazione: la risposta dell’Amministrazione finanziaria non è impugnabile se dichiara l’improcedibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 1 del DM 259/98: l’istanza, relativa alla disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, non era stata esaminata siccome mancava la descrizione della fattispecie.
Infatti, non si tratta di un provvedimento definitivo di diniego alla richiesta di disapplicazione, ma di “provvedimento, sostanzialmente, interlocutorio, di declaratoria di improcedibilità dell’istanza, con il quale non si respinge nel merito l’istanza medesima, ma se ne rileva una tale carenza, sul piano della descrizione della situazione e delle correlative allegazioni documentali, da renderla come non proposta siccome insuscettibile di qualsiasi plausibile valutazione”.
Confermata la sentenza 8663/2011
Allora, non si può parlare di diniego di agevolazione, quindi non vi è spazio per sostenere l’impugnabilità.Del resto, se la domanda è improcedibile, il contribuente, anche se fosse ammesso al ricorso, non potrebbe contestare nulla circa la questione sul carattere non operativo della società, siccome l’Agenzia delle Entrate non si è su tal punto pronunciata.
Tanto premesso, se, ricorrendone i presupposti, il contribuente ripresenta l’istanza e l’Ufficio oppone il diniego, questo sarà impugnabile, salvo che si tratti nuovamente di improcedibilità. Parimenti, sarà impugnabile il successivo avviso di accertamento, notificato dopo il diniego di disapplicazione per improcedibilità della domanda, siccome il discorso fatto prima circa la presupposizione non vale.
La sentenza è importante non solo per questo principio (non impugnabilità della domanda se c’è improcedibilità), ma per il fatto che, dal tenore delle parole utilizzate, sembra proprio confermativa della necessità di autonoma impugnazione della risposta, pena, come detto dalla sentenza 8663/2011, la limitazione nell’oggetto della tutela nel ricorso contro il successivo avviso di accertamento.
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