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venerdì 13 aprile 2012

Contenzioso

Inammissibilità non sanabile dell’atto di reclamo

Se sono presenti cause di inammissibilità, meglio notificare un ulteriore reclamo entro il termine di sessanta giorni
/ Giovedì 12 aprile 2012
Le cause di inammissibilità del ricorso sono, principalmente, indicate nell’art. 18 del DLgs. 546/92, e riguardano spesso la mancanza dei requisiti che tale atto deve contenere, come l’indicazione del provvedimento impugnato e i motivi di impugnazione.
Posto che l’art. 17-bis del DLgs. 546/92 rinvia all’art. 18 dello stesso decreto, appare chiaro che gli stessi requisiti di validità processuale del ricorso devono essere contenuti nel reclamo, anche perché, come varie volte detto, se la fase amministrativa tra contribuente e Ufficio finanziario ha esito negativo, il reclamo si converte in ricorso.
Nella circolare n. 9 del 2012, l’Agenzia delle Entrate si sofferma sulle cause di inammissibilità del ricorso/reclamo, sostenendo che, nel procedimento amministrativo di mediazione, le cause di inammissibilità non sono valutate con il medesimo rigore con cui lo sono nel processo, il che è coerente con la ratio della mediazione stessa, strumentale a una definizione concordata della causa.
Inoltre, nonostante vi sia un motivo palese di inammissibilità (si pensi all’omessa sottoscrizione), la domanda di reclamo può sempre essere trattata alla stregua di una semplice richiesta di autotutela.
Tanto premesso, non convincono le ulteriori affermazioni contenute nella circolare, che riguardano gli effetti delle cause di inammissibilità a processo instaurato, ovvero quando ci si costituisce in giudizio siccome la mediazione ha esito negativo. Al paragrafo 5.2 del documento di prassi, si afferma che, se c’è una causa di inammissibilità del ricorso come, ad esempio, l’omessa sottoscrizione, “il contribuente interessato a prevenire la pronuncia giurisdizionale di inammissibilità, può porvi rimedio contestualmente o – se ammesso – anche dopo la costituzione in giudizio”.
La locuzione “se ammesso” deve essere puntualizzata: quando il contribuente, in presenza di una causa di inammissibilità del ricorso, può porvi rimedio dopo la costituzione in giudizio? La risposta, a meno che, per lo specifico caso del reclamo, non muti giurisprudenza, è mai, da qui la necessità di non fare affidamento su ciò che è sostenuto nella circolare.
In altri termini, se il contribuente si accorge che il reclamo è affetto da una causa di inammissibilità come la mancata indicazione delle parti, deve notificare un ulteriore reclamo entro il termine dei sessanta giorni dalla notifica del provvedimento: la giurisprudenza, in sostanza anche se in diverse maniere, ha più volte evidenziato che, sino a quando non spira il termine per il ricorso, ogni vizio di inammissibilità può essere sanato e possono addirittura essere integrati i motivi (cfr. Cass. 31 marzo 2008 n. 8234 e C.T.C. 18 dicembre 1982 n. 4548).
All’atto del deposito si rischia la perdita della difesa
Forse l’Agenzia delle Entrate si riferiva ai casi di inammissibilità del ricorso a causa dell’omessa sottoscrizione, ma anche se si fosse in presenza di questa situazione è assolutamente consigliabile notificare un ricorso entro il termine con la sottoscrizione, anziché attendere la costituzione in giudizio per “sanare” la suddetta irregolarità.
Infatti, è orientamento consolidato quello in forza del quale il ricorso sottoscritto solo dalla parte e non dal difensore non causa immediatamente l’inammissibilià, siccome questa si verifica solo quando l’ordine del giudice di munirsi di difensore è inottemperato. Ciò è ancor più valido a seguito dell’art. 182 c.p.c., che obbliga il giudice a concedere un termine per sanare difetti di assistenza, rappresentanza e vizi di nullità della procura.
Tuttavia, per prima cosa, non sempre i giudici di merito fanno proprio l’orientamento della Cassazione (suggerito tra l’altro dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 189 del 2000), quindi il contribuente, per un semplice vizio di sottoscrizione, comunque rischia l’inammissibilità in primo grado.
Oltre a ciò, come si concilia il meccanismo suggerito dalla giurisprudenza con il reclamo? O meglio, siamo sicuri che il giudice, quando il contribuente deposita il ricorso, può ordinare di munirsi di difensore?
Un dubbio sembra legittimo, visto che, a rigor di logica, l’ordine di munirsi di difensore avviene a fase di mediazione terminata, quindi in un momento in cui la vertenza non potrà essere più definita, nemmeno tramite conciliazione giudiziale, esclusa per gli atti reclamabili.

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