Penale tributario
Per la dottrina, la soluzione sulle fatture materialmente false è troppo rigorosa
Il più gravoso trattamento per la falsità ideologica sarebbe giustificato dalla più intensa decettività
/ Venerdì 23 marzo 2012
La soluzione che tende a consolidarsi nella giurisprudenza di legittimità (si veda “Fatture materialmente false senza soglie di punibilità“ di oggi) è contestata dalla prevalente dottrina, secondo la quale, in caso di utilizzazione in dichiarazione di documenti materialmente falsi, esclusa l’integrazione dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, dovrebbero cercarsi risposte sanzionatorie nelle ulteriori disposizioni del DLgs. 74/2000.
Occorrerebbe, cioè, guardare all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici); fattispecie parimenti sanzionata ma propria dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e condizionata al superamento congiunto di specifiche soglie di punibilità, irrigidite dal recente DL 138/2011 (l’imposta evasa deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro; l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a 1.000.000 di euro). Nell’impossibilità di ricondurre la condotta in questione all’art. 3 del DLgs. 74/2000, poi, occorrerebbe rivolgersi alla fattispecie residuale, e meno grave, di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione infedele), connotata dalla mera indicazione in dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi, con analoghe soglie di punibilità, ma maggiorate negli importi.
Tutto ciò anche in relazione all’ipotesi limite (d’incerta collocazione tra la falsità ideologica e quella materiale) del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo “ex novo”.
È stato, in particolare, evidenziato come, diversamente da quanto accadeva nel vigore della L. 516/82 (il cui art. 4, lett. a) puniva chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, allegasse alla dichiarazione annuale o esibisse agli uffici finanziari o agli ufficiali ed agenti della polizia tributaria o, comunque, rilasciasse o utilizzasse documenti contraffatti o alterati), nell’art. 2 del DLgs. 74/2000 non si rinvengano i concetti di contraffazione ed alterazione (propri della falsità materiale). Letteralmente, inoltre, l’art. 1, lett. a) del DLgs. 74/2000 subordina la rilevanza penale delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti alla loro effettiva “emissione”, nel senso cioè che dovrebbe trattarsi di documenti provenienti dal loro reale autore, soggetto diverso dall’effettivo utilizzatore.
Il diverso trattamento tra utilizzazione di documentazione ideologicamente e materialmente falsa, inoltre, sarebbe giustificato dalla maggiore decettività della falsità ideologica. Il falso ideologico in fatture o documenti assimilati presenterebbe, almeno di regola, un’attitudine all’inganno nei confronti del Fisco superiore a quella del falso materiale. E così, ad esempio, nel caso di fattura che indichi ab origine corrispettivi superiori a quelli effettivamente pagati, un riscontro incrociato con le scritture contabili del cedente non consentirebbe di scoprire la falsità (tali scritture riporteranno, infatti, il medesimo importo mendace indicato in fattura); laddove, invece, un’omologa verifica farebbe emergere la falsità materiale commessa dal cessionario, che, dopo la ricezione di una fattura regolare, avesse alterato in aumento l’indicazione del prezzo.
I Giudici di Legittimità, infatti, invece di limitarsi all’inquadramento della creazione ex novo del falso documento nel novero della falsità ideologica - come avrebbero potuto fare in ragione della peculiarità del caso - hanno optato per la tesi della neutralità del tipo di falsità praticata (materiale o ideologica) rispetto alla distinzione tra artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. Il rischio, quindi, è che non solo una fattura (o altro documento avente rilievo probatorio analogo) falsa, creata ex novo dall’utilizzatore, ma anche una semplice alterazione da parte dello stesso di una fattura (o di qualsiasi altro documento avente rilievo probatorio analogo) regolarmente emessa conduca, a prescindere dagli importi, alla reclusione da un anno e sei mesi a sei anni; non esistendo, nella fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, né soglie di punibilità, né, in esito alle modifiche apportate dal DL 138/2011, ipotesi attenuate.
Occorrerebbe, cioè, guardare all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici); fattispecie parimenti sanzionata ma propria dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e condizionata al superamento congiunto di specifiche soglie di punibilità, irrigidite dal recente DL 138/2011 (l’imposta evasa deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro; l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a 1.000.000 di euro). Nell’impossibilità di ricondurre la condotta in questione all’art. 3 del DLgs. 74/2000, poi, occorrerebbe rivolgersi alla fattispecie residuale, e meno grave, di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione infedele), connotata dalla mera indicazione in dichiarazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi, con analoghe soglie di punibilità, ma maggiorate negli importi.
Tutto ciò anche in relazione all’ipotesi limite (d’incerta collocazione tra la falsità ideologica e quella materiale) del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo “ex novo”.
È stato, in particolare, evidenziato come, diversamente da quanto accadeva nel vigore della L. 516/82 (il cui art. 4, lett. a) puniva chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, allegasse alla dichiarazione annuale o esibisse agli uffici finanziari o agli ufficiali ed agenti della polizia tributaria o, comunque, rilasciasse o utilizzasse documenti contraffatti o alterati), nell’art. 2 del DLgs. 74/2000 non si rinvengano i concetti di contraffazione ed alterazione (propri della falsità materiale). Letteralmente, inoltre, l’art. 1, lett. a) del DLgs. 74/2000 subordina la rilevanza penale delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti alla loro effettiva “emissione”, nel senso cioè che dovrebbe trattarsi di documenti provenienti dal loro reale autore, soggetto diverso dall’effettivo utilizzatore.
Il diverso trattamento tra utilizzazione di documentazione ideologicamente e materialmente falsa, inoltre, sarebbe giustificato dalla maggiore decettività della falsità ideologica. Il falso ideologico in fatture o documenti assimilati presenterebbe, almeno di regola, un’attitudine all’inganno nei confronti del Fisco superiore a quella del falso materiale. E così, ad esempio, nel caso di fattura che indichi ab origine corrispettivi superiori a quelli effettivamente pagati, un riscontro incrociato con le scritture contabili del cedente non consentirebbe di scoprire la falsità (tali scritture riporteranno, infatti, il medesimo importo mendace indicato in fattura); laddove, invece, un’omologa verifica farebbe emergere la falsità materiale commessa dal cessionario, che, dopo la ricezione di una fattura regolare, avesse alterato in aumento l’indicazione del prezzo.
Soluzione oramai abbandonata dai Giudici di Legittimità
Questa interpretazione ha, inizialmente, trovato riscontro anche in alcune pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. 8 agosto 2001 n. 30896, Cass. 26 luglio 2004 n. 32493 e Cass. 26 marzo 2008 n. 12720). Successivamente, però, come evidenziato, si è registrato un revirement totale, senza nulla precisare anche solo in relazione all’ipotesi limite ricordata ovvero quella del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo ex novo.I Giudici di Legittimità, infatti, invece di limitarsi all’inquadramento della creazione ex novo del falso documento nel novero della falsità ideologica - come avrebbero potuto fare in ragione della peculiarità del caso - hanno optato per la tesi della neutralità del tipo di falsità praticata (materiale o ideologica) rispetto alla distinzione tra artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. Il rischio, quindi, è che non solo una fattura (o altro documento avente rilievo probatorio analogo) falsa, creata ex novo dall’utilizzatore, ma anche una semplice alterazione da parte dello stesso di una fattura (o di qualsiasi altro documento avente rilievo probatorio analogo) regolarmente emessa conduca, a prescindere dagli importi, alla reclusione da un anno e sei mesi a sei anni; non esistendo, nella fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, né soglie di punibilità, né, in esito alle modifiche apportate dal DL 138/2011, ipotesi attenuate.
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