Penale fallimentare
Il danno rilevante «aggrava» la bancarotta degli amministratori
La Corte di Cassazione conferma l’orientamento prevalente
/ Mercoledì 21 marzo 2012
La circostanza aggravante di cui all’art. 219 comma 1 del RD 267/42, correlata al fatto di aver cagionato un danno di rilevante gravità, trova applicazione anche nel caso di bancarotta fraudolenta “impropria” ex art. 223 comma 1 del RD 267/42.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza 19 marzo 2012 n. 10791, che consolida l’orientamento prevalente e “allontana” la necessità di un intervento delle Sezioni Unite.
Ai sensi dell’art. 219 comma 1 del RD 267/42, “nel caso in cui i fatti previsti negli artt. 216, 217 e 218 hanno cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, le pene da essi stabilite sono aumentate fino alla metà”. A fronte di questo dato normativo, Cass. 5 marzo 2010 n. 8829 aveva affermato che la differenza strutturale e ontologica tra bancarotta fraudolenta “ordinaria” o “propria” (ovvero dell’imprenditore individuale ex art. 216 del RD 267/42) e “impropria” (ovvero di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori ex art. 223 comma 1 del RD 267/42) non consentiva un’applicazione analogica della circostanza aggravante in questione; in particolare, l’espresso richiamo agli artt. 216, 217 e 218 nell’art. 219 comma 1 del RD 267/42 e il mancato richiamo a quest’ultimo nell’art. 223 comma 1 del RD 267/42 ne precludeva un’estensione alla bancarotta impropria, che si sarebbe risolta in un’applicazione analogica in malam partem pacificamente vietata in materia penale.
Successivamente, però, la Suprema Corte ha cambiato opinione, sottolineando come all’applicabilità dell’aggravante alla bancarotta impropria si giunga non già attraverso un’interpretazione analogica, ma sulla base di una semplice operazione ermeneutica di tipo sistematico ovvero, al più, con un’interpretazione estensiva (cfr. Cass. 7 maggio 2010 n. 17690, Cass. 3 agosto 2010 n. 30932 e, più di recente, Cass. 13 dicembre 2011 n. 46243, sulla quale si veda “Il danno rilevante «aggrava» anche la bancarotta degli amministratori” del 15 dicembre 2011).
A deporre in tal senso, ribadisce ora la sentenza in commento, sono considerazioni attinenti sia al dato testuale sia alla ragionevole interpretazione delle norme.
Infatti, l’integralità del richiamo contenuto nell’art. 223 comma 1 del RD 267/42 alla fattispecie di cui all’art. 216 del medesimo Decreto non può che intendersi come implicitamente riferita anche all’elemento accidentale di quest’ultima, costituito dalla circostanza aggravante della rilevanza del danno e introdotto in detta fattispecie dal rinvio operato dall’art. 219 comma 1 del RD 267/42 (norma che deve, pertanto, ritenersi anch’essa indirettamente richiamata dall’art. 223 comma 1 del RD 267/42). Laddove si reputasse l’aggravante in questione non ravvisabile nei fatti di bancarotta commessi dai gestori di società, poi, si perverrebbe all’irragionevole risultato di sottoporre l’imprenditore individuale ad un trattamento sanzionatorio astrattamente più afflittivo – in quanto opportunamente identificato anche nell’“effetto speciale” (aumento superiore ad un terzo) della circostanza aggravante in esame – rispetto a quello previsto per i fatti sostanzialmente analoghi commessi nell’ambito della gestione societaria, sicuramente non meno gravi, per i quali sarebbe al più configurabile l’aggravante ad “effetto comune” (aumento fino ad un terzo) di cui all’art. 61 n. 7 c.p.
Dall’integrale lettura delle motivazioni della pronuncia delle Sezioni Unite, infatti, emerge il puntuale recepimento dei rilievi attinenti all’inclusione, nell’oggetto del rinvio posto in essere dall’art. 223 del RD 267/42, di tutte le componenti del trattamento sanzionatorio della fattispecie di bancarotta fraudolenta, tra le quali non può che comprendersi anche l’aggravante di cui si discute, nonché di quelli riguardanti la sostanziale equiparazione normativa delle fattispecie di bancarotta propria e impropria, che rende irragionevole la limitazione alle prime dell’operatività dell’aggravante in parola. Deve, quindi, ritenersi puramente aggiuntivo, nel complesso delle argomentazioni utilizzate, l’ulteriore accenno al favor rei che contraddistingue, in concreto, la particolare posizione della disciplina della pluralità dei fatti di bancarotta.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza 19 marzo 2012 n. 10791, che consolida l’orientamento prevalente e “allontana” la necessità di un intervento delle Sezioni Unite.
Ai sensi dell’art. 219 comma 1 del RD 267/42, “nel caso in cui i fatti previsti negli artt. 216, 217 e 218 hanno cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, le pene da essi stabilite sono aumentate fino alla metà”. A fronte di questo dato normativo, Cass. 5 marzo 2010 n. 8829 aveva affermato che la differenza strutturale e ontologica tra bancarotta fraudolenta “ordinaria” o “propria” (ovvero dell’imprenditore individuale ex art. 216 del RD 267/42) e “impropria” (ovvero di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori ex art. 223 comma 1 del RD 267/42) non consentiva un’applicazione analogica della circostanza aggravante in questione; in particolare, l’espresso richiamo agli artt. 216, 217 e 218 nell’art. 219 comma 1 del RD 267/42 e il mancato richiamo a quest’ultimo nell’art. 223 comma 1 del RD 267/42 ne precludeva un’estensione alla bancarotta impropria, che si sarebbe risolta in un’applicazione analogica in malam partem pacificamente vietata in materia penale.
Successivamente, però, la Suprema Corte ha cambiato opinione, sottolineando come all’applicabilità dell’aggravante alla bancarotta impropria si giunga non già attraverso un’interpretazione analogica, ma sulla base di una semplice operazione ermeneutica di tipo sistematico ovvero, al più, con un’interpretazione estensiva (cfr. Cass. 7 maggio 2010 n. 17690, Cass. 3 agosto 2010 n. 30932 e, più di recente, Cass. 13 dicembre 2011 n. 46243, sulla quale si veda “Il danno rilevante «aggrava» anche la bancarotta degli amministratori” del 15 dicembre 2011).
A deporre in tal senso, ribadisce ora la sentenza in commento, sono considerazioni attinenti sia al dato testuale sia alla ragionevole interpretazione delle norme.
Infatti, l’integralità del richiamo contenuto nell’art. 223 comma 1 del RD 267/42 alla fattispecie di cui all’art. 216 del medesimo Decreto non può che intendersi come implicitamente riferita anche all’elemento accidentale di quest’ultima, costituito dalla circostanza aggravante della rilevanza del danno e introdotto in detta fattispecie dal rinvio operato dall’art. 219 comma 1 del RD 267/42 (norma che deve, pertanto, ritenersi anch’essa indirettamente richiamata dall’art. 223 comma 1 del RD 267/42). Laddove si reputasse l’aggravante in questione non ravvisabile nei fatti di bancarotta commessi dai gestori di società, poi, si perverrebbe all’irragionevole risultato di sottoporre l’imprenditore individuale ad un trattamento sanzionatorio astrattamente più afflittivo – in quanto opportunamente identificato anche nell’“effetto speciale” (aumento superiore ad un terzo) della circostanza aggravante in esame – rispetto a quello previsto per i fatti sostanzialmente analoghi commessi nell’ambito della gestione societaria, sicuramente non meno gravi, per i quali sarebbe al più configurabile l’aggravante ad “effetto comune” (aumento fino ad un terzo) di cui all’art. 61 n. 7 c.p.
Nessuna contraria indicazione sull’aggravante della pluralità di condotte tipiche
A tali conclusioni non si oppongono le argomentazioni utilizzate dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza 26 maggio 2011 n. 21039, per affermare l’applicabilità alla bancarotta impropria dell’aggravante di cui all’art. 219 comma 2 n. 1 del RD 267/42, costituita dalla commissione di una pluralità di condotte tipiche del reato nell’ambito della stessa procedura fallimentare, in quanto sostanzialmente favorevole all’imputato rispetto alle deteriori conseguenze di un’eventuale utilizzazione del regime della “continuazione”. Tali argomentazioni non possono essere lette – ragionando in senso contrario – intendendo non applicabile ai fatti di bancarotta impropria l’aggravante del danno rilevante, in quanto meramente pregiudizievole per l’imputato.Dall’integrale lettura delle motivazioni della pronuncia delle Sezioni Unite, infatti, emerge il puntuale recepimento dei rilievi attinenti all’inclusione, nell’oggetto del rinvio posto in essere dall’art. 223 del RD 267/42, di tutte le componenti del trattamento sanzionatorio della fattispecie di bancarotta fraudolenta, tra le quali non può che comprendersi anche l’aggravante di cui si discute, nonché di quelli riguardanti la sostanziale equiparazione normativa delle fattispecie di bancarotta propria e impropria, che rende irragionevole la limitazione alle prime dell’operatività dell’aggravante in parola. Deve, quindi, ritenersi puramente aggiuntivo, nel complesso delle argomentazioni utilizzate, l’ulteriore accenno al favor rei che contraddistingue, in concreto, la particolare posizione della disciplina della pluralità dei fatti di bancarotta.
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