ilcasodelgiorno
La società non si può simulare
A precisarlo è la Suprema Corte alla luce, tra l’altro, della tassatività delle cause di nullità
/ Venerdì 09 marzo 2012
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 30020 del 29 dicembre 2011, ha escluso la configurabilità della nullità dell’atto costitutivo di una società di capitali per simulazione.
Nel caso di specie, il ricorrente evidenziava come la costituzione di una società di capitali fosse da ritenere simulata in quanto diretta non già a perseguire il suo scopo tipico, ma a precostituire una sorta di rendita vitalizia. In sede di appello, inoltre, si inquadrava la simulazione della società nell’ipotesi di cui all’art. 2332, comma 1, n. 8, c.c. (nella versione anteriore alla riforma del diritto societario e applicabile al caso di specie) per mancanza della pluralità dei soci discendente da un’interposizione fittizia di persone.
I giudici di merito, da un lato, sottolineavano come la domanda di nullità della società per violazione dell’art. 2332, comma 1, n. 8, c.c., fosse preclusa dal fatto di essere stata presentata solo in sede di impugnazione. Dall’altro, affermavano che, in ogni caso, era la stessa configurabilità della nullità, per simulazione, dell’atto costitutivo della società di capitali ad essere esclusa. Determinante in tal senso risultava la considerazione che la rilevanza meramente obbligatoria della controdichiarazione – indispensabile prova della simulazione – sarebbe stata comunque inidonea ad eliminare gli effetti reali connessi alla nascita dell’ente. La simulazione, peraltro, non era annoverata tra le cause di nullità previste dall’art. 2332 c.c., anche nella più ampia elencazione anteriore alla riforma del diritto societario (applicabile “ratione temporis”).
La Suprema Corte ritiene che i giudici di merito, con decisione esaustivamente e puntualmente motivata, abbiano risolto correttamente la questione relativa all’ipotizzabilità della simulazione del contratto sociale, aderendo alla soluzione negativa. Questa, infatti, è ritenuta preferibile:
- in considerazione delle inderogabili formalità che assistono la creazione e la stessa organizzazione dell’ente,
- in relazione alla tassatività delle cause di nullità della società, previste dall’art. 2332 c.c. (nella versione applicabile nel caso di specie così come in quella successiva alla riforma del diritto societario), escludendosi, al di fuori dei casi ivi previsti, l’assoggettamento della società a cause di nullità assoluta o relativa, d’inesistenza o di annullabilità (cfr. Cass. n. 12302/1992 e Cass. n. 3666/1997).
La natura stessa del contratto sociale – non solo regolatore degli interessi dei soci, ma anche norma programmatica dell’agire sociale, la cui sfera è destinata ad interferire con interessi estranei ai contraenti – e il conseguente rilievo preminente che occorre attribuire alla tutela dei terzi – che pone in luce l’inscindibile rapporto atto/attività, vale a dire il valore organizzativo – rappresentano la ratio sottostante il testo normativo e ne impongono la lettura restrittiva, giustificando l’irrilevanza della fase negoziale, che pure è presente nel processo formativo della società.
Ne consegue che la reale volontà dei contraenti, dopo la nascita dell’ente, non può più influire su atti e iniziative tipiche di tale nuovo autonomo soggetto giuridico, che opera, coinvolgendo i terzi, a prescindere da quella volontà effettiva.
Una volta iscritta nel Registro delle imprese, la società di capitali vive di vita propria e opera compiendo la propria attività per realizzare il proprio scopo sociale, quale che sia stato l’intento preordinato dei propri fondatori. Natura e tipo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità e l’atto di costituzione dell’ente non può perciò essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti, restando consacrato secondo la volontà che risulta iscritta e in tal modo portata a conoscenza dei terzi (cfr. Cass. n. 13234/2011).
Non esistono, in conclusione, vizi della società oltre quelli elencati nell’art. 2332 c.c. e se la simulazione dell’ente stesso può assumere rilievo, occorre necessariamente collocarla in uno di questi casi, di stretta interpretazione, a nessuno dei quali è però riconducibile.
È opportuno, inoltre, ricordare che il vigente art. 2332 c.c. configura soltanto le seguenti cause di nullità della società:
- mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico;
- illiceità dell’oggetto sociale;
- mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione sociale o i conferimenti o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.
È rimasta ferma, invece, la peculiarità della categoria della nullità della società che, ove accertata, ne determina esclusivamente lo scioglimento, con il corollario della validità e efficacia degli atti compiuti dalla società prima che la nullità sia dichiarata.
Nel caso di specie, il ricorrente evidenziava come la costituzione di una società di capitali fosse da ritenere simulata in quanto diretta non già a perseguire il suo scopo tipico, ma a precostituire una sorta di rendita vitalizia. In sede di appello, inoltre, si inquadrava la simulazione della società nell’ipotesi di cui all’art. 2332, comma 1, n. 8, c.c. (nella versione anteriore alla riforma del diritto societario e applicabile al caso di specie) per mancanza della pluralità dei soci discendente da un’interposizione fittizia di persone.
I giudici di merito, da un lato, sottolineavano come la domanda di nullità della società per violazione dell’art. 2332, comma 1, n. 8, c.c., fosse preclusa dal fatto di essere stata presentata solo in sede di impugnazione. Dall’altro, affermavano che, in ogni caso, era la stessa configurabilità della nullità, per simulazione, dell’atto costitutivo della società di capitali ad essere esclusa. Determinante in tal senso risultava la considerazione che la rilevanza meramente obbligatoria della controdichiarazione – indispensabile prova della simulazione – sarebbe stata comunque inidonea ad eliminare gli effetti reali connessi alla nascita dell’ente. La simulazione, peraltro, non era annoverata tra le cause di nullità previste dall’art. 2332 c.c., anche nella più ampia elencazione anteriore alla riforma del diritto societario (applicabile “ratione temporis”).
La Suprema Corte ritiene che i giudici di merito, con decisione esaustivamente e puntualmente motivata, abbiano risolto correttamente la questione relativa all’ipotizzabilità della simulazione del contratto sociale, aderendo alla soluzione negativa. Questa, infatti, è ritenuta preferibile:
- in considerazione delle inderogabili formalità che assistono la creazione e la stessa organizzazione dell’ente,
- in relazione alla tassatività delle cause di nullità della società, previste dall’art. 2332 c.c. (nella versione applicabile nel caso di specie così come in quella successiva alla riforma del diritto societario), escludendosi, al di fuori dei casi ivi previsti, l’assoggettamento della società a cause di nullità assoluta o relativa, d’inesistenza o di annullabilità (cfr. Cass. n. 12302/1992 e Cass. n. 3666/1997).
La natura stessa del contratto sociale – non solo regolatore degli interessi dei soci, ma anche norma programmatica dell’agire sociale, la cui sfera è destinata ad interferire con interessi estranei ai contraenti – e il conseguente rilievo preminente che occorre attribuire alla tutela dei terzi – che pone in luce l’inscindibile rapporto atto/attività, vale a dire il valore organizzativo – rappresentano la ratio sottostante il testo normativo e ne impongono la lettura restrittiva, giustificando l’irrilevanza della fase negoziale, che pure è presente nel processo formativo della società.
Ne consegue che la reale volontà dei contraenti, dopo la nascita dell’ente, non può più influire su atti e iniziative tipiche di tale nuovo autonomo soggetto giuridico, che opera, coinvolgendo i terzi, a prescindere da quella volontà effettiva.
Una volta iscritta nel Registro delle imprese, la società di capitali vive di vita propria e opera compiendo la propria attività per realizzare il proprio scopo sociale, quale che sia stato l’intento preordinato dei propri fondatori. Natura e tipo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità e l’atto di costituzione dell’ente non può perciò essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti, restando consacrato secondo la volontà che risulta iscritta e in tal modo portata a conoscenza dei terzi (cfr. Cass. n. 13234/2011).
Non esistono, in conclusione, vizi della società oltre quelli elencati nell’art. 2332 c.c. e se la simulazione dell’ente stesso può assumere rilievo, occorre necessariamente collocarla in uno di questi casi, di stretta interpretazione, a nessuno dei quali è però riconducibile.
Secondo altro orientamento, la simulazione rende inesistente il contratto
In relazione a tale decisione occorre segnalare come Cass. n. 8939 del 1° dicembre 1987 abbia, di contro, riconosciuto l’ammissibilità della simulazione del contratto di società, determinante l’inesistenza dello stesso (cfr. anche Cass. n. 12260/1993 e Cass. n. 2465/1997).È opportuno, inoltre, ricordare che il vigente art. 2332 c.c. configura soltanto le seguenti cause di nullità della società:
- mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico;
- illiceità dell’oggetto sociale;
- mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione sociale o i conferimenti o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.
È rimasta ferma, invece, la peculiarità della categoria della nullità della società che, ove accertata, ne determina esclusivamente lo scioglimento, con il corollario della validità e efficacia degli atti compiuti dalla società prima che la nullità sia dichiarata.
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