Contenzioso
Reclamo in conflitto con i valori costituzionali
Le sentenze della Corte Costituzionale citate nella circolare n. 9/2012 dell’Agenzia confermano la nostra tesi
/ Sabato 24 marzo 2012
Vale la pena di spendere qualche parola su una questione che, sebbene abbia, entro certi limiti, un impatto operativo minore rispetto ad altre problematiche, si profila comunque degna di attenzione: la compatibilità del reclamo con la Costituzione, che - vale la pena di ricordarlo - si pone al di sopra di ogni fonte del diritto.
All’art. 24, la Costituzione sancisce che il diritto di difesa è inviolabile e, all’art. 111, che ogni processo deve svolgersi in condizioni di parità, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale. Ogni processo include, ovviamente, anche il contenzioso tributario, nonostante sia sempre stato considerato un processo di “serie B“, anche per ragioni storiche (un tempo, davanti alle Commissioni delle imposte proseguiva, di fatto, l’attività di accertamento).
Una delle tante maniere in cui il diritto di difesa può essere violato consiste nel porre ostacoli alla difesa stessa (si intende difesa dinanzi ad un organo davvero terzo come la Commissione tributaria, e non difesa dinanzi alla parte in causa come le “strutture” che gestiranno la mediazione).
Contemplare, senza condizioni, che la mancata presentazione del reclamo comporti l’inammissibilità del ricorso, come espressamente fa l’art. 17-bis del DLgs. 546/92, si presta a censure di incostituzionalità, e lo si ricava proprio dalle sentenze della Corte Costituzionale richiamate dall’Agenzia delle Entrate nella premessa alla circolare n. 9/2012.
Ora, è vero che la Consulta ha affermato, espressamente, l’opportunità di una scelta del Legislatore di far precedere una procedura giurisdizionale da una fase amministrativa, e ciò, “oltre che allo scopo di realizzare la giustizia nell’ambito della pubblica Amministrazione, anche per evitare lunghe e dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità del servizio” (Corte Costituzionale, sentenze 26 luglio 1979 n. 93 e 18 gennaio 1991 n. 15).
La sentenza n. 26/1979, puntualmente, fa al caso nostro: in tale sede, il Giudice delle Leggi, senza ombra di dubbio, ha sancito l’incostituzionalità del “vecchio” art. 10, secondo e terzo comma, del RD 8 gennaio 1931, nella parte in cui dispone l’improponibilità e non l’improcedibilità dell’azione giudiziaria nel caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico in determinate controversie di lavoro.
Anzi, la Corte Costituzionale afferma che il raggiungimento degli scopi palesati dalla circolare dell’Agenzia può sì avvenire, a condizione che il previo esperimento del ricorso gerarchico sia una condizione di procedibilità, che “non implica decadenza dal diritto, la cui carenza potrà essere rilevata in base alle regole del rito speciale del lavoro”.
Inoltre, la Corte Costituzionale sostiene che “i procedimenti preliminari mirano a realizzare la giustizia nell’ambito dell’Amministrazione ma non possono risolversi in attentati al diritto di proporre l’azione in giudizio”.
Quindi, se la mancata presentazione del reclamo, o meglio, la “diretta” notifica del ricorso (caso in cui il contribuente, non volendo o per errore, presenti ricorso entro il termine decadenziale) comportasse la semplice dichiarazione di improcedibilità, il sistema avrebbe una tenuta sul piano costituzionale, ma, per come è strutturata la norma, così non è: se non si notifica reclamo, ovvero se non si esperisce il tentativo di mediazione dinanzi alla parte in causa, si perde il diritto di azione senza eccezioni e senza successive rimessioni in termini.
E, si badi bene, la circolare afferma più volte che l’inammissibilità del ricorso per mancato reclamo verrà subito eccepita nelle controdeduzioni, e che tale eccezione verrà coltivata nei successivi gradi del processo.
Un’ultima questione merita di essere evidenziata. La circolare n. 9/2012 afferma che le parti, nella procedura di mediazione, sono su un piano di parità: l’esperienza dei nostri lettori circa la gestione dei rapporti contenziosi con gli Uffici finanziari è in grado, da sola, di commentare tale affermazione.
All’art. 24, la Costituzione sancisce che il diritto di difesa è inviolabile e, all’art. 111, che ogni processo deve svolgersi in condizioni di parità, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale. Ogni processo include, ovviamente, anche il contenzioso tributario, nonostante sia sempre stato considerato un processo di “serie B“, anche per ragioni storiche (un tempo, davanti alle Commissioni delle imposte proseguiva, di fatto, l’attività di accertamento).
Una delle tante maniere in cui il diritto di difesa può essere violato consiste nel porre ostacoli alla difesa stessa (si intende difesa dinanzi ad un organo davvero terzo come la Commissione tributaria, e non difesa dinanzi alla parte in causa come le “strutture” che gestiranno la mediazione).
Contemplare, senza condizioni, che la mancata presentazione del reclamo comporti l’inammissibilità del ricorso, come espressamente fa l’art. 17-bis del DLgs. 546/92, si presta a censure di incostituzionalità, e lo si ricava proprio dalle sentenze della Corte Costituzionale richiamate dall’Agenzia delle Entrate nella premessa alla circolare n. 9/2012.
Ora, è vero che la Consulta ha affermato, espressamente, l’opportunità di una scelta del Legislatore di far precedere una procedura giurisdizionale da una fase amministrativa, e ciò, “oltre che allo scopo di realizzare la giustizia nell’ambito della pubblica Amministrazione, anche per evitare lunghe e dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità del servizio” (Corte Costituzionale, sentenze 26 luglio 1979 n. 93 e 18 gennaio 1991 n. 15).
La sentenza n. 26/1979, puntualmente, fa al caso nostro: in tale sede, il Giudice delle Leggi, senza ombra di dubbio, ha sancito l’incostituzionalità del “vecchio” art. 10, secondo e terzo comma, del RD 8 gennaio 1931, nella parte in cui dispone l’improponibilità e non l’improcedibilità dell’azione giudiziaria nel caso di mancata o tardiva presentazione del reclamo gerarchico in determinate controversie di lavoro.
Incostituzionale la sanzione dell’inammissibilità
È bene evidenziarlo subito: l’improcedibilità può essere conforme alla Costituzione, ma l’improponibilità (o, per utilizzare il linguaggio dell’art. 17-bis del DLgs. 546/92, l’inammissibilità) no, perché è sinonimo di perdita del diritto di azione.Anzi, la Corte Costituzionale afferma che il raggiungimento degli scopi palesati dalla circolare dell’Agenzia può sì avvenire, a condizione che il previo esperimento del ricorso gerarchico sia una condizione di procedibilità, che “non implica decadenza dal diritto, la cui carenza potrà essere rilevata in base alle regole del rito speciale del lavoro”.
Inoltre, la Corte Costituzionale sostiene che “i procedimenti preliminari mirano a realizzare la giustizia nell’ambito dell’Amministrazione ma non possono risolversi in attentati al diritto di proporre l’azione in giudizio”.
Quindi, se la mancata presentazione del reclamo, o meglio, la “diretta” notifica del ricorso (caso in cui il contribuente, non volendo o per errore, presenti ricorso entro il termine decadenziale) comportasse la semplice dichiarazione di improcedibilità, il sistema avrebbe una tenuta sul piano costituzionale, ma, per come è strutturata la norma, così non è: se non si notifica reclamo, ovvero se non si esperisce il tentativo di mediazione dinanzi alla parte in causa, si perde il diritto di azione senza eccezioni e senza successive rimessioni in termini.
E, si badi bene, la circolare afferma più volte che l’inammissibilità del ricorso per mancato reclamo verrà subito eccepita nelle controdeduzioni, e che tale eccezione verrà coltivata nei successivi gradi del processo.
Un’ultima questione merita di essere evidenziata. La circolare n. 9/2012 afferma che le parti, nella procedura di mediazione, sono su un piano di parità: l’esperienza dei nostri lettori circa la gestione dei rapporti contenziosi con gli Uffici finanziari è in grado, da sola, di commentare tale affermazione.
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