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giovedì 29 marzo 2012

accertamento

Rettifica dell’avviamento anche senza il calcolo legale

L’Amministrazione finanziaria è tenuta però ad indicare gli elementi indiziari che l’hanno indotta ad utilizzare metodologie diverse
/ Mercoledì 28 marzo 2012
In caso di cessione d’azienda, il valore di avviamento dichiarato in atto può essere rettificato dall’Ufficio anche con l’applicazione di metodologie differenti da quella prevista per legge ai fini dell’accertamento con adesione, sempre che il Fisco alleghi gli elementi indiziari che lo hanno indotto ad avvalersi di tale diverso metodo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4931 del 27 marzo 2012.
La pronuncia trae origine da una cessione d’azienda per cui, nel relativo atto notarile, le parti avevano dichiarato un valore di avviamento che però, in sede di controllo, l’Ufficio non riteneva congruo, procedendo così alla sua rettifica secondo specifici criteri adottati per il caso di specie. L’art. 51, comma 4, del DPR 131/1986 stabilisce infatti che, per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, il valore dichiarato è controllato dall’Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, escluse quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere; a tal fine, l’Ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche.
I contribuenti, sin dai gradi di merito, eccepivano che l’Ufficio non si era attenuto ai criteri di rettifica dell’avviamento previsti dall’art. 2, comma 4, del DPR 460/1996, in base al quale, per le aziende e per i diritti reali su di esse, il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3 (cosiddetto criterio della capitalizzazione del reddito economico).
Sia i giudici di prime cure che quelli d’appello stabilivano che l’Ufficio non si era avvalso dell’unico criterio normativamente previsto, precludendosi così la possibilità di assolvere legalmente al proprio onere probatorio e, per questo motivo, si erano pronunciati a favore dei contribuenti.
L’Ufficio può discostarsi dai criteri stabiliti dalla norma
La Cassazione, però, investita della questione, ha ribaltato le conclusioni raggiunte dai giudici di merito, confermando l’orientamento di legittimità ormai consolidato per cui il criterio dettato dal DPR 460/1996 costituisce la procedura transattiva che il legislatore ha previsto affinché l’Amministrazione finanziaria possa addivenire all’accertamento con adesione. Secondo gli Ermellini, tuttavia, se a tali criteri si può attribuire un valore indiziario, esso deve essere inteso nel senso che il valore effettivo dell’avviamento non può essere inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione e, di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria può anche discostarsi da tali criteri normativamente stabiliti, sostituendoli con altri ritenuti maggiormente significativi nel caso di specie, purché, però, fornisca gli elementi indiziari idonei a supportare tale diversa scelta metodologica (cfr. Cass. n. 20280/2008, n. 16705/2007, n. 3505/2006 e n. 613/2006).
È appena il caso di ricordare in proposito che, solo qualche mese fa, invece, la C.T. Reg. di Milano, con la sentenza n. 16/15/12, aveva stabilito che il metodo di cui al DPR 460/1996, in quel caso utilizzato dall’Ufficio, non era idoneo a cogliere l’effettivo valore dell’avviamento, poiché si basa soltanto su un’elaborazione matematica, mentre la corretta valutazione dell’avviamento richiede la considerazione di ben altri fattori non matematicamente determinabili, quali, ad esempio, le capacità imprenditoriali di organizzazione dei fattori produttivi.

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