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Ricorsi Tributari

venerdì 9 marzo 2012

Giurisprudenza
Autotutela negata con perché,
nessun risarcimento del danno
La responsabilità aquiliana si può ravvisare solo se l’atto è antigiuridico, cioè difforme dalla relativa disciplina normativa, o se lo stesso è frutto di una condotta colposa
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Non dà luogo a responsabilità aquiliana (ex articolo 2043 cc), in quanto esercizio legittimo del potere discrezionale della Pubblica amministrazione, il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela non accompagnato da palmare irragionevolezza o da violazione di norme giuridiche.
L’illiceità del comportamento richiesto dall’articolo 2043 non è rinvenibile nel mero annullamento dell’atto impositivo da parte del giudice tributario.
Lo ha precisato il Tribunale di Monza con la sentenza 701 del 1° dicembre 2011.

Il caso
Nella controversia in esame, un contribuente citava l’Amministrazione finanziaria per farne accertare la responsabilità ex articolo 2043 cc, quale conseguenza dell’illegittimità del provvedimento di diniego all’annullamento in autotutela di un avviso di accertamento emesso nei suoi confronti.
In particolare, sosteneva che l’accoglimento di tale istanza avrebbe evitato l’instaurazione di un successivo giudizio di impugnazione del medesimo avviso presso la competente Commissione tributaria provinciale, con ogni conseguenza relativamente alle spese di lite.

Invero, proprio le spese di giudizio relative alla difesa tecnica per il primo grado di giudizio, pretese dal difensore, costituivano il danno ingiusto, oggetto del giudizio di risarcimento.
La parte privata, a fondamento della propria domanda, richiamava la sentenza della Corte di cassazione 698/2010, la quale ha statuito che “… la discrezionalità accordata alla Pubblica Amministrazione in merito all’esercizio del potere di annullamento degli atti in autotutela non esime la stessa da responsabilità aquiliana laddove l’intempestiva o l’omessa adozione del contrarius actus abbia cagionato un danno al contribuente costringendolo ad adire la giurisdizione ed a sostenere oneri e spese per la difesa tecnica …”.

L’Amministrazione si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, evidenziava che, con riferimento alle istanze risarcitorie dei privati, conseguenti a provvedimenti illegittimi della PA, occorra verificare il tipo di violazione commessa, l’eventuale sussistenza di un nesso di causalità fra il danno lamentato e il contegno della Pubblica amministrazione, nonché le condizioni concrete della vicenda che hanno portato al provvedimento amministrativo.

La decisione
Il tribunale di Monza accoglieva le tesi dell’Amministrazione finanziaria e rigettava la domanda statuendo che, nel caso concreto:
  • a) non erano presenti l’illiceità del comportamento, il dolo o la colpa dell’Amministrazione
  • b) difettava l’ingiustizia del danno, inteso come danno non iure o inferto in assenza di una causa giustificativa.
  • Il commento Il tema della responsabilità aquiliana della Pubblica amministrazione è di indubbio interesse e, attualmente, è oggetto di un acceso dibattito dottrinale. In un certo senso, l’evoluzione della disciplina – marcatamente favorevole al contribuente – rappresenta una indiretta conferma della significativa evoluzione dell’agere dell’Amministrazione finanziaria e dello sforzo compiuto dall’Agenzia nell’ottica di creare un rapporto di proficua compartecipazione all’adempimento degli obblighi tributari e all’accertamento degli stessi. Sul versante giurisprudenziale, e ancor prima dello Statuto del contribuente, il punto di svolta è costituito dalla sentenza 500/1999, che modificò l’orientamento interpretativo dell’articolo 2043 del codice civile. Con quel provvedimento, i giudici di legittimità affermarono per la prima volta che la tutela risarcitoria debba essere assicurata a seguito del danno ingiusto che può derivare dalla lesione di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo. Più tardi, con la sentenza 15/2007, le sezioni unite affermarono che “… stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, dettati dall’art. 97 della Costituzione, la Pubblica Amministrazione è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 del codice civile, atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale …”. Da ultimo, con la sentenza 5120/2011, i giudici di legittimità hanno affermato il principio in forza del quale “… l’amministrazione finanziaria che non abbia posto in essere l’autotutela invocata secondo le regole della diligenza e della prudenza, deve risarcire il contribuente dei danni economici provocati, fra cui le spese sostenute per le prestazioni del proprio commercialista …”. Il principio importante affermato dalla sentenza in esame non è tanto quello di aver negato la sussistenza della responsabilità aquiliana nel caso specifico, ma quello di aver evidenziato alcuni confini della legittima espressione del potere di discrezionalità della Pubblica amministrazione. In questo senso, il provvedimento del tribunale di Monza si segnala per aver declinato in termini concreti i limiti fino a cui può spingersi il potere discrezionale dell’Amministrazione finanziaria individuandoli:
  1. nella non palmare irragionevolezza del diniego
  2. nella non violazione di norme di legge procedimentali
  3. nella motivazione del diniego, anche succinta.
Si tratta di criteri ermeneutici importanti in quanto, all’interno dei comportamenti antigiuridici commessi dall’Amministrazione finanziaria, permettono di individuare quali, tra essi, evidenzino profili di illegittimità ex articolo 2043.
Come noto, infatti, perché si possa configurare la responsabilità aquiliana dell’Amministrazione Finanziaria, è necessario che nel suo agire ricorrano i consueti elementi costitutivi dell’illecito civile: ossia la condotta, l’evento, il danno ingiusto e il nesso eziologico.

Riferendo l’illecito all’Amministrazione finanziaria, quindi, la sentenza del tribunale di Monza ha chiarito che la condotta deve concretizzarsi nell’emanazione di un atto che, per dar luogo alla responsabilità dell’Amministrazione, deve necessariamente essere non soltanto un atto antigiuridico cioè difforme dalla relativa disciplina normativa, ma anche un atto del quale deve essere accertata la colpevolezza nelle modalità dell’azione, ossia che tale provvedimento sia l’esito di una condotta perlomeno colposa.

Per il giudice di merito, pertanto, a fronte di un diniego espresso all’autotutela anche succintamente motivato e in assenza di violazione di norme procedimentali, la non palmare irragionevolezza dell’atto amministrativo è elemento idoneo e sufficiente a negare l’illiceità del comportamento dell’Amministrazione finanziaria.
In questo senso il richiamo del giudice monzese – ancorché non del tutto espresso in termini compiuti – è quello del divieto di interferenza degli organi giudicanti nelle valutazioni che hanno portato l’Amministrazione finanziaria a negare in autotutela l’annullamento di un atto fiscale secondo i principi richiamati dalle sentenze dei giudici di legittimità 1710/2007 e 3698/2009.
Maurizio Pietro Piovani
pubblicato Giovedì 8 Marzo 2012

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