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giovedì 22 marzo 2012

ilcasodelgiorno

Sull’indennità agenti la Cassazione conferma la competenza

Secondo la prassi, la deduzione è ammessa solo quando l’indennità viene corrisposta
/ Giovedì 22 marzo 2012
Con la sentenza 11 aprile 2011 n. 8134, la Corte di Cassazione si è espressa nuovamente sul tema della deducibilità degli accantonamenti per l’indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti, confermando il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, peraltro non conforme alla posizione da ultimo assunta dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 6 luglio 2007 n. 42.
La questione è stata oggetto, nel tempo, di numerose pronunce giurisprudenziali, così come di più chiarimenti di prassi, non sempre coincidenti. Il trattamento fiscale della fattispecie risulta, dunque, ancora problematico.
Riepilogando, l’art. 105 comma 4 del TUIR prevede che le disposizioni contenute nei precedenti commi 1 e 2 si applichino anche per gli accantonamenti relativi alle indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia. La deducibilità di tali accantonamenti è, quindi, consentita nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto.
Peraltro, la normativa di settore contenuta nei contratti collettivi suddivide, generalmente, l’indennità in esame in tre distinti emolumenti:
- l’indennità di risoluzione del rapporto, che spetta all’agente in ogni caso;
- l’indennità suppletiva di clientela, che è dovuta solo se il contratto viene risolto per fatto non imputabile all’agente;
- la cosiddetta indennità “meritocratica”, che è corrisposta, in aggiunta alle due precedenti, se l’agente ha procurato nuova clientela o ha incrementato gli affari esistenti.
I primi pronunciamenti sulla tematica in esame risalgono alla sentenza della Corte di Cassazione 27 giugno 2003 n. 10221, sostanzialmente recepita dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 9 aprile 2004 n. 59, in base alla quale gli accantonamenti per le indennità di cessazione dei rapporti di agenzia (nelle diverse componenti sopra descritte) devono considerarsi deducibili, secondo il criterio di competenza, nella misura in cui sono stanziati in bilancio, in quanto assolvono in tutto e per tutto alla funzione propria degli accantonamenti di quiescenza e di previdenza.
Successivamente, la Corte di Cassazione (sentenze 16 maggio 2003 n. 7690, 18 novembre 2005 n. 24443, 24 novembre 2006 n. 24973 e 30 gennaio 2007 n. 1910) ha modificato il proprio orientamento, stabilendo che non sono deducibili dal reddito d’impresa della casa mandante gli accantonamenti effettuati in vista della possibile corresponsione agli agenti e rappresentanti di commercio dell’indennità suppletiva di clientela, in quanto la stessa costituisce un onere soltanto eventuale. L’indennità in questione è quindi deducibile solo nell’esercizio in cui viene concretamente corrisposta.
Preso atto del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle Entrate, con la circ. n. 42/2007, ha affermato che non è ulteriormente sostenibile la tesi interpretativa assunta con la precedente ris. n. 59/2004, con la conseguenza che le quote stanziate a fronte dell’indennità suppletiva di clientela, così come quelle per l’indennità meritocratica, non sono deducibili nell’esercizio in cui vengono stanziate in bilancio, in quanto per esse difetta il requisito della certezza. Nello stesso senso si è pronunciato il MEF (interrogazione parlamentare 17 luglio 2007 n. 5-01286).
Infine, modificando ancora una volta il proprio orientamento, con la sentenza 11 giugno 2009 n. 13506, confermata di recente dalla sentenza n. 8134/2011, la Corte di Cassazione ha affermato che gli accantonamenti per le indennità di cessazione dei rapporti di agenzia (ivi inclusa l’indennità suppletiva di clientela) sono deducibili per competenza nell’esercizio di imputazione a Conto economico.
Infatti, a seguito alla riformulazione dell’art. 1751 c.c. ad opera dell’art. 4 del DLgs. 303/91, è venuta meno la distinzione tra indennità di risoluzione del rapporto, obbligatoria perché di origine codicistica, e indennità suppletiva di clientela, derivante dalla contrattazione collettiva e spettante solo a determinate condizioni.
Ad avviso della Suprema Corte, per effetto della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto degli agenti, l’esclusione della deducibilità delle quote di accantonamento stanziate a fronte dell’indennità suppletiva, fondata sul carattere aleatorio dell’indennità stessa, non appare convincente. La stessa Cassazione dà conto del contrario orientamento contenuto nelle precedenti pronunce, riconducibile alla circostanza che, nella generalità dei casi, si trattava di controversie riguardanti periodi d’imposta anteriori a quello dell’entrata in vigore dell’art. 1751 c.c. come riformulato dal DLgs. 303/91. In tali ipotesi, l’indennità di risoluzione del rapporto poteva ritenersi effettivamente distinta dall’indennità suppletiva di clientela.
Per quanto non espressamente ribadito dalle sentenze 13506/2009 e 8134/2011, analogo principio potrebbe applicarsi all’indennità meritocratica.
Tutto ciò posto, si auspica quindi che, a fronte del nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’Agenzia delle Entrate muti nuovamente la propria posizione, contenuta nella circ. n. 42/2007, così da chiarire definitivamente il corretto trattamento da applicare.

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