contenzioso
Nel reclamo possibile «autonomia» tra società di persone e soci
Per la fase preprocessuale, possibilità teorica di autonomia tra i litisconsorti necessari
/ Venerdì 23 marzo 2012
Il procedimento di reclamo e mediazione riguardante le società di persone e i relativi soci, sussistendo i requisiti previsti dalla legge, presenta più di una similitudine con il procedimento previsto in materia di definizione da accertamento con adesione: ciò in ragione della possibile autonomia tra partecipata e partecipanti tratteggiata dalla recente circolare n. 9/2012 dell’Agenzia delle Entrate.
Va, innanzitutto, sottolineata la circostanza che le controversie in fieri relative ad atti impositivi ai fini delle imposte sui redditi emessi nei confronti di società di persone e dei soci, caratterizzati dal litisconsorzio necessario, rientrano nell’operatività dell’istituto se di importo non superiore ai 20.000 euro di imposte.
Ebbene, sul punto la circolare n. 9 afferma che, nella fase di mediazione, i rapporti vanno considerati autonomi e indipendenti, configurando conseguentemente l’ipotesi della completa autonomia della società rispetto ai soci e, all’opposto, dei soci rispetto alla società.
Pertanto, come accennato in premessa, l’Agenzia delle Entrate ha mutuato l’analoga posizione espressa dal pro tempore Ministero delle Finanze in materia di accertamento con adesione, laddove (con la C.M. n. 235/1997) fu chiaramente affermata analoga – seppure teorica – possibilità.
Così, nell’ambito del reclamo e della mediazione, si può configurare una serie di ipotesi, suscettibili di prospettare tanto un “legame” tra società e soci quanto la più completa autonomia tra le parti in causa.
Partiamo con l’ipotesi maggiormente frequente, ossia quando la condotta della società e dei soci si prospetta uniforme, con la precisazione che il socio, sussistendo i requisiti di legge, è comunque obbligato alla presentazione del reclamo o dell’istanza di mediazione presso l’ufficio competente relativamente al proprio reddito di partecipazione.
Pertanto, nel caso in cui la società raggiunga il proprio obiettivo, che va dall’annullamento totale o parziale dell’atto impositivo ricevuto sino alla conclusione di una mediazione, si assiste al fisiologico riverbero di una tra le descritte circostanze sui partecipanti: conseguentemente, anche il socio condurrà in porto il procedimento direttamente con lo stesso Ufficio, se competente sia per la partecipata che per i partecipanti, ovvero con l’Ufficio competente per la propria posizione soggettiva, che dovrà tenere necessariamente conto dell’operato che ha caratterizzato la definizione della posizione della società.
Certamente, nulla vieta che il socio non si “accodi” all’evento verificatosi nei confronti della società partecipata: cosicché, laddove quest’ultima avesse concluso un accordo con l’Ufficio – evidentemente diverso dall’annullamento totale dell’atto in via di autotutela – in ordine al quale il socio manifesta il proprio dissenso, egli potrà proseguire la lite sul reddito rideterminato, corredato delle sanzioni in misura intera, cercando di ottenere giustizia dal giudice tributario adito.
Ferma restando, dunque, questa “autonomia” di possibile manifestazione, è innegabile che in un caso come quello appena descritto l’esito del giudizio, limitato al reddito di partecipazione, potrà essere alquanto condizionato dalla mediazione effettuata “a monte”.
Il concetto di “autonomia” tra partecipata e partecipanti è ulteriormente rafforzato dalla circolare, quando si afferma che i soci possono concludere autonomamente la mediazione in relazione al proprio rapporto anche se la società non ha mediato in ordine al proprio: teorizzando la circostanza che la partecipata abbia imboccato la strada del contenzioso, procedendo alla rituale costituzione in giudizio successivamente alla decorrenza dei termini ovvero al ricevimento dell’atto contenente il rigetto del reclamo e dell’eventuale istanza di mediazione, nulla vieta che i soci partecipanti possano invece definire il proprio (maggior) reddito di partecipazione.
Anche questa eventualità è alquanto teorica, atteso che comporta necessariamente una “divergenza” tra partecipata e partecipanti già all’atto della presentazione del reclamo, in termini di contenuto sostanziale: diversamente, non è tecnicamente possibile l’asincronia tra le due posizioni.
Ed è innegabile, anche per questo caso, che l’eventuale definizione effettuata “a valle” dai soci con buona probabilità sarà suscettibile di influenzare il giudice tributario, il quale potrebbe tenere conto della parziale infondatezza della pretesa sulla partecipata in ragione della quota parte del maggior reddito di partecipazione oggetto di mediazione (che, peraltro, in ragione delle funzioni attribuite al nuovo strumento – stimolo alla tax compliance, deflazione del contenzioso, eccetera – dovrebbe ragionevolmente risultare dall’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio depositato in esito alla lite intrapresa dalla società).
Va, innanzitutto, sottolineata la circostanza che le controversie in fieri relative ad atti impositivi ai fini delle imposte sui redditi emessi nei confronti di società di persone e dei soci, caratterizzati dal litisconsorzio necessario, rientrano nell’operatività dell’istituto se di importo non superiore ai 20.000 euro di imposte.
Ebbene, sul punto la circolare n. 9 afferma che, nella fase di mediazione, i rapporti vanno considerati autonomi e indipendenti, configurando conseguentemente l’ipotesi della completa autonomia della società rispetto ai soci e, all’opposto, dei soci rispetto alla società.
Pertanto, come accennato in premessa, l’Agenzia delle Entrate ha mutuato l’analoga posizione espressa dal pro tempore Ministero delle Finanze in materia di accertamento con adesione, laddove (con la C.M. n. 235/1997) fu chiaramente affermata analoga – seppure teorica – possibilità.
Così, nell’ambito del reclamo e della mediazione, si può configurare una serie di ipotesi, suscettibili di prospettare tanto un “legame” tra società e soci quanto la più completa autonomia tra le parti in causa.
Partiamo con l’ipotesi maggiormente frequente, ossia quando la condotta della società e dei soci si prospetta uniforme, con la precisazione che il socio, sussistendo i requisiti di legge, è comunque obbligato alla presentazione del reclamo o dell’istanza di mediazione presso l’ufficio competente relativamente al proprio reddito di partecipazione.
Pertanto, nel caso in cui la società raggiunga il proprio obiettivo, che va dall’annullamento totale o parziale dell’atto impositivo ricevuto sino alla conclusione di una mediazione, si assiste al fisiologico riverbero di una tra le descritte circostanze sui partecipanti: conseguentemente, anche il socio condurrà in porto il procedimento direttamente con lo stesso Ufficio, se competente sia per la partecipata che per i partecipanti, ovvero con l’Ufficio competente per la propria posizione soggettiva, che dovrà tenere necessariamente conto dell’operato che ha caratterizzato la definizione della posizione della società.
Certamente, nulla vieta che il socio non si “accodi” all’evento verificatosi nei confronti della società partecipata: cosicché, laddove quest’ultima avesse concluso un accordo con l’Ufficio – evidentemente diverso dall’annullamento totale dell’atto in via di autotutela – in ordine al quale il socio manifesta il proprio dissenso, egli potrà proseguire la lite sul reddito rideterminato, corredato delle sanzioni in misura intera, cercando di ottenere giustizia dal giudice tributario adito.
Ferma restando, dunque, questa “autonomia” di possibile manifestazione, è innegabile che in un caso come quello appena descritto l’esito del giudizio, limitato al reddito di partecipazione, potrà essere alquanto condizionato dalla mediazione effettuata “a monte”.
Il concetto di “autonomia” tra partecipata e partecipanti è ulteriormente rafforzato dalla circolare, quando si afferma che i soci possono concludere autonomamente la mediazione in relazione al proprio rapporto anche se la società non ha mediato in ordine al proprio: teorizzando la circostanza che la partecipata abbia imboccato la strada del contenzioso, procedendo alla rituale costituzione in giudizio successivamente alla decorrenza dei termini ovvero al ricevimento dell’atto contenente il rigetto del reclamo e dell’eventuale istanza di mediazione, nulla vieta che i soci partecipanti possano invece definire il proprio (maggior) reddito di partecipazione.
Anche questa eventualità è alquanto teorica, atteso che comporta necessariamente una “divergenza” tra partecipata e partecipanti già all’atto della presentazione del reclamo, in termini di contenuto sostanziale: diversamente, non è tecnicamente possibile l’asincronia tra le due posizioni.
Ed è innegabile, anche per questo caso, che l’eventuale definizione effettuata “a valle” dai soci con buona probabilità sarà suscettibile di influenzare il giudice tributario, il quale potrebbe tenere conto della parziale infondatezza della pretesa sulla partecipata in ragione della quota parte del maggior reddito di partecipazione oggetto di mediazione (che, peraltro, in ragione delle funzioni attribuite al nuovo strumento – stimolo alla tax compliance, deflazione del contenzioso, eccetera – dovrebbe ragionevolmente risultare dall’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio depositato in esito alla lite intrapresa dalla società).
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