Iva
Rivalsa IVA solo dopo il pagamento dell’imposta
Con il DL 1/2012, solo in tal caso il contribuente può rivalersi dell’IVA relativa ad accertamenti o rettifiche nei confronti di cessionari/committenti
La Cassazione, con sentenza 2 marzo 2012 n. 3291, affronta il tema sempre attuale relativo al diritto di rivalsa della maggiore imposta pagata dal contribuente in conseguenza di accertamento o di rettifica della dichiarazione IVA annuale.
La pronuncia in commento trae origine da un avviso di accertamento redatto dall’Agenzia delle Entrate per il recupero di maggiore IVA in capo ad un contribuente che aveva rilevato in appalto la realizzazione di un edificio residenziale asseritamente non di lusso e, di conseguenza, fatturato le opere, così come richiesto dalla committente con specifica liberatoria, mediante errata applicazione dell’aliquota agevolata del 4%. Al contrario, l’Ufficio riteneva inderogabile l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria, non rilevando, al riguardo, la considerazione che “la società fosse stata incolpevolmente indotta in errore dalla dichiarazione mendace della committente, a sua volta tenuta in proprio verso l’Erario, non potendo la ditta appaltatrice rivalersi per legge verso la committente stessa”.
Ciò che emerge dalla sentenza è il richiamo all’art. 93 del DL 1/2012, che ha riformulato l’art. 60, comma 7 del DPR 633/72. Per effetto della modifica apportata, il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
Inoltre, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
Il dies a quo per determinare la decadenza del diritto di detrazione spettante al cliente, soggetto passivo, è quindi individuato a partire dall’anno in cui il fornitore corrisponde la maggior imposta all’Amministrazione finanziaria, nel pieno rispetto del principio di simmetria tra esigibilità dell’imposta e detrazione, previsto dall’art. 167 della Direttiva 2006/112/CE.
Si tratta di una questione non nuova, dal momento che l’AIDC, con la norma di comportamento n. 179/2010, aveva già sollecitato l’ammissibilità del diritto di rivalsa a favore del cedente/prestatore, destinatario dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria e, contestualmente, del diritto di detrazione, a favore del cessionario committente, della maggiore imposta dovuta, nei limiti del periodo biennale di decadenza contenuti nell’art. 19, comma 1 del DPR 633/72, purché l’operazione non fosse già stata regolarizzata ai sensi dell’art. 6, comma 8, del DLgs. 471/97, versando all’Erario la maggiore imposta dovuta.
In tal senso, l’AIDC aveva rilevato come l’assenza di una disposizione comunitaria di riferimento deponesse a favore della tesi secondo cui l’IVA, dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, potesse essere addebitata, in via di rivalsa, al destinatario dell’operazione alla duplice condizione che:
- l’operazione stessa fosse stata rilevata contabilmente nel momento della sua effettuazione;
- l’imposta non fosse stata già corrisposta all’Erario a seguito dell’accertamento o della rettifica della dichiarazione annuale.
Proprio in forza dei nuovi principi espressi, i Giudici hanno cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio della causa, “per un nuovo esame della fattispecie concreta in forza dei suddetti principi di diritto e per la delibazione della questione sulle sanzioni dichiarata assorbita dalla CTR”.
/ Vincenzo CRISTIANO
La pronuncia in commento trae origine da un avviso di accertamento redatto dall’Agenzia delle Entrate per il recupero di maggiore IVA in capo ad un contribuente che aveva rilevato in appalto la realizzazione di un edificio residenziale asseritamente non di lusso e, di conseguenza, fatturato le opere, così come richiesto dalla committente con specifica liberatoria, mediante errata applicazione dell’aliquota agevolata del 4%. Al contrario, l’Ufficio riteneva inderogabile l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria, non rilevando, al riguardo, la considerazione che “la società fosse stata incolpevolmente indotta in errore dalla dichiarazione mendace della committente, a sua volta tenuta in proprio verso l’Erario, non potendo la ditta appaltatrice rivalersi per legge verso la committente stessa”.
Ciò che emerge dalla sentenza è il richiamo all’art. 93 del DL 1/2012, che ha riformulato l’art. 60, comma 7 del DPR 633/72. Per effetto della modifica apportata, il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
Inoltre, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
Il dies a quo per determinare la decadenza del diritto di detrazione spettante al cliente, soggetto passivo, è quindi individuato a partire dall’anno in cui il fornitore corrisponde la maggior imposta all’Amministrazione finanziaria, nel pieno rispetto del principio di simmetria tra esigibilità dell’imposta e detrazione, previsto dall’art. 167 della Direttiva 2006/112/CE.
Si tratta di una questione non nuova, dal momento che l’AIDC, con la norma di comportamento n. 179/2010, aveva già sollecitato l’ammissibilità del diritto di rivalsa a favore del cedente/prestatore, destinatario dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria e, contestualmente, del diritto di detrazione, a favore del cessionario committente, della maggiore imposta dovuta, nei limiti del periodo biennale di decadenza contenuti nell’art. 19, comma 1 del DPR 633/72, purché l’operazione non fosse già stata regolarizzata ai sensi dell’art. 6, comma 8, del DLgs. 471/97, versando all’Erario la maggiore imposta dovuta.
In tal senso, l’AIDC aveva rilevato come l’assenza di una disposizione comunitaria di riferimento deponesse a favore della tesi secondo cui l’IVA, dovuta sulle operazioni imponibili, oggetto di rettifica in aumento da parte dell’Amministrazione finanziaria, potesse essere addebitata, in via di rivalsa, al destinatario dell’operazione alla duplice condizione che:
- l’operazione stessa fosse stata rilevata contabilmente nel momento della sua effettuazione;
- l’imposta non fosse stata già corrisposta all’Erario a seguito dell’accertamento o della rettifica della dichiarazione annuale.
Diritto anche se l’IVA non è stata addebitata “ab origine”
Il richiamo della Suprema Corte all’art. 93 del DL 1/2012 non è trascurabile, dal momento che l’interpretazione sistematica della norma consente di ritenere che il diritto di rivalsa, in capo al fornitore, e di detrazione, per il cliente, sia riconosciuto non solo in ipotesi di maggiore imposta dovuta, come per la fattura originariamente emessa con aliquota inferiore a quella effettiva (ed è questo il caso trattato dalla sentenza in esame), ma anche nei casi in cui l’IVA, ab origine, non sia stata addebitata ma assoggettata ad imposte alternative.Proprio in forza dei nuovi principi espressi, i Giudici hanno cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio della causa, “per un nuovo esame della fattispecie concreta in forza dei suddetti principi di diritto e per la delibazione della questione sulle sanzioni dichiarata assorbita dalla CTR”.
/ Vincenzo CRISTIANO
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