Penale tributario
Fatture materialmente false senza soglie di punibilità
Si consolida il rigoroso orientamento della Corte di Cassazione
/ Venerdì 23 marzo 2012
Sono sempre più numerose le decisioni della Suprema Corte che affermano il principio secondo cui il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs. 74/2000) deve ritenersi configurabile nelle ipotesi di utilizzazione di fatture o altri documenti falsi non soltanto ideologicamente, ma anche materialmente. L’ultimo pronunciamento in tal senso si registra nella sentenza 21 marzo 2012 n. 10987, ma, limitandosi a quelle depositate a partire dall’inizio dell’anno, è possibile ricordare Cass. 12 marzo 2012 n. 9405, Cass. 14 febbraio 2012 n. 5641, Cass. 19 gennaio 2012 n. 2168, Cass. 19 gennaio 2012 n. 2156 e Cass. 13 gennaio 2012 n. 912.
Nel più recente intervento i Giudici di Legittimità sottolineano come tale orientamento sia supportato dalle seguenti argomentazioni: la legge delega per la riforma del sistema penale tributario (art. 9, comma 2, lett. b) della L. 205/99) non ha autorizzato alcuna modifica rispetto alle precedenti disposizioni normative, che assoggettavano le condotte in questione ad un identico regime sanzionatorio (cfr. l’art. 4, lett. a) e d) della L. 516/82); elementi di significato contrario non possono trarsi dalla prospettata correlazione con la fattispecie di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000 (emissione di fatture false), essendo differenti il bene giuridico tutelato ovvero l’interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere ciò che è fiscalmente dovuto, nell’art. 2, e la funzione di accertamento del tributo, nell’art. 8 (nessuna connessione, quindi, vi sarebbe con la trasgressione dei propri obblighi da parte del soggetto autorizzato ad emettere documentazione avente rilievo probatorio a fini tributari); non sarebbe razionale configurare una maggiore pericolosità in sé del falso contenutistico rispetto al falso materiale.
Quindi, è reputata legittima la ricostruzione secondo la quale la fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 avrebbe una “struttura bifasica” nella quale la presentazione della dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita ad un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, ovvero la registrazione o detenzione ai fini di prova di documenti che costituiranno il supporto alla dichiarazione, può avere ad oggetto documenti sia contenutisticamente falsi (emessi da altri in favore dell’utilizzatore), sia materialmente falsi (contraffati o alterati). Il mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, ovvero le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti, è definito dall’art. 1, lett. a) del DLgs. 74/2000, che precisa come debbano considerarsi tali le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’IVA in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
Per l’individuazione, poi, degli altri documenti aventi valore probatorio analogo alle fatture occorre riferirsi all’art. 21 del DPR 633/72 (sono tali, ad esempio, ricevute fiscali, ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e schede carburanti). La falsità può cadere, in primo luogo, sul contenuto della fattura o del documento rilevante, attestandosi che è stata eseguita un’operazione in realtà non eseguita o che l’importo dell’operazione è superiore a quello reale. Essa, peraltro, potrebbe anche incidere sull’indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l’operazione. In tale contesto, i “soggetti diversi da quelli effettivi” sono quei soggetti che non hanno preso parte all’operazione e che, nonostante ciò, sono ivi indicati. Non vi è fondato motivo, sottolinea però la Suprema Corte, per affermare che l’ipotesi non ricorra anche quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di aver speso somme in realtà non sborsate, con lesione del bene giuridico protetto dall’art. 2 del DLgs. 74/2000.
Ciò che conta, quindi, è la necessità che la fattura o gli altri documenti siano stati emessi a fronte di operazioni non “realmente” effettuate; avverbio con il quale il legislatore avrebbe privilegiato un concetto di inesistenza materiale dell’operazione, come mancante in rerum natura.
La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), invece, è costruita come “frode contabile” alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato, che deve essere diverso dall’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e comunque idoneo ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d’imposta. Si pensi, ad esempio, alla tenuta di un sistema parallelo di contabilità “nera”, alla vendita “in nero” organizzata in locali contigui a quelli aziendali, alla voluta “confusione” di ricavi provenienti da fonti diverse in modo da impedire di individuare il titolare degli stessi ed allo spostamento artificioso di redditi tra soggetti rivolto a far figurare come percepiti da terzi redditi propri del contribuente.
Nel più recente intervento i Giudici di Legittimità sottolineano come tale orientamento sia supportato dalle seguenti argomentazioni: la legge delega per la riforma del sistema penale tributario (art. 9, comma 2, lett. b) della L. 205/99) non ha autorizzato alcuna modifica rispetto alle precedenti disposizioni normative, che assoggettavano le condotte in questione ad un identico regime sanzionatorio (cfr. l’art. 4, lett. a) e d) della L. 516/82); elementi di significato contrario non possono trarsi dalla prospettata correlazione con la fattispecie di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000 (emissione di fatture false), essendo differenti il bene giuridico tutelato ovvero l’interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere ciò che è fiscalmente dovuto, nell’art. 2, e la funzione di accertamento del tributo, nell’art. 8 (nessuna connessione, quindi, vi sarebbe con la trasgressione dei propri obblighi da parte del soggetto autorizzato ad emettere documentazione avente rilievo probatorio a fini tributari); non sarebbe razionale configurare una maggiore pericolosità in sé del falso contenutistico rispetto al falso materiale.
Quindi, è reputata legittima la ricostruzione secondo la quale la fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 avrebbe una “struttura bifasica” nella quale la presentazione della dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita ad un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, ovvero la registrazione o detenzione ai fini di prova di documenti che costituiranno il supporto alla dichiarazione, può avere ad oggetto documenti sia contenutisticamente falsi (emessi da altri in favore dell’utilizzatore), sia materialmente falsi (contraffati o alterati). Il mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, ovvero le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti, è definito dall’art. 1, lett. a) del DLgs. 74/2000, che precisa come debbano considerarsi tali le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’IVA in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
Per l’individuazione, poi, degli altri documenti aventi valore probatorio analogo alle fatture occorre riferirsi all’art. 21 del DPR 633/72 (sono tali, ad esempio, ricevute fiscali, ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e schede carburanti). La falsità può cadere, in primo luogo, sul contenuto della fattura o del documento rilevante, attestandosi che è stata eseguita un’operazione in realtà non eseguita o che l’importo dell’operazione è superiore a quello reale. Essa, peraltro, potrebbe anche incidere sull’indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l’operazione. In tale contesto, i “soggetti diversi da quelli effettivi” sono quei soggetti che non hanno preso parte all’operazione e che, nonostante ciò, sono ivi indicati. Non vi è fondato motivo, sottolinea però la Suprema Corte, per affermare che l’ipotesi non ricorra anche quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di aver speso somme in realtà non sborsate, con lesione del bene giuridico protetto dall’art. 2 del DLgs. 74/2000.
Ciò che conta, quindi, è la necessità che la fattura o gli altri documenti siano stati emessi a fronte di operazioni non “realmente” effettuate; avverbio con il quale il legislatore avrebbe privilegiato un concetto di inesistenza materiale dell’operazione, come mancante in rerum natura.
La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), invece, è costruita come “frode contabile” alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato, che deve essere diverso dall’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e comunque idoneo ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d’imposta. Si pensi, ad esempio, alla tenuta di un sistema parallelo di contabilità “nera”, alla vendita “in nero” organizzata in locali contigui a quelli aziendali, alla voluta “confusione” di ricavi provenienti da fonti diverse in modo da impedire di individuare il titolare degli stessi ed allo spostamento artificioso di redditi tra soggetti rivolto a far figurare come percepiti da terzi redditi propri del contribuente.
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