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Sulla nuova IRI indicazioni troppo generiche
La bozza di Ddl. delega fiscale ne prevede l’introduzione, ma nulla è stato detto, ad esempio, sulla determinazione della base imponibile
/ Martedì 27 marzo 2012
Come riportato nel quotidiano di sabato scorso, il Governo ha rinviato l’approvazione del Ddl. delega per la riforma fiscale, “al fine di ponderare e analizzare con maggiore attenzione i dettagli tecnici della riforma”.
A tal proposito, uno degli elementi maggiormente caratterizzanti la bozza di Ddl. circolata nei giorni scorsi è rappresentato dall’art. 12, relativo alla tassazione dei redditi prodotti dalle imprese e dai lavoratori autonomi.
In esso si stabilisce che tutti i redditi prodotti nell’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo sono assoggettati a un’imposta unica che sostituirebbe tanto l’IRPEF quanto l’IRES. Inoltre, diventano deducibili le somme prelevate dall’imprenditore, dal professionista o dai soci o associati, somme che concorreranno a formare il reddito IRPEF della persona fisica.
L’estrema sinteticità del dato normativo autorizza diverse letture. Dalla semplice previsione di un’aliquota proporzionale unica per titolari di redditi di lavoro autonomo, redditi d’impresa e soggetti IRES, alla cancellazione del Capo V e VI del TUIR, e del Titolo II sempre del TUIR, che disciplinano i predetti redditi.
Se valesse questa seconda ricostruzione e si volesse, quindi, introdurre a tutti gli effetti una nuova imposta (IRI, imposta su reddito imprenditoriale o forse IRIP, imposta sul reddito imprenditoriale e professionale), il Parlamento dovrebbe delineare in modo più dettagliato i caratteri del nuovo tributo, soprattutto con riferimento alla determinazione della base imponibile.
La scelta di rendere deducibili “le somme prelevate” dai soci è tutt’altro che irrilevante sul piano sistematico.
L’art. 60 del TUIR prevede attualmente l’esatto opposto, considerando indeducibili le somme erogate all’imprenditore e ai suoi familiari per il lavoro prestato nell’impresa.
Analogo discorso vale con riguardo alle società per le quali i dividendi, a differenza degli interessi passivi, sono indeducibili.
Dovrebbero essere quindi analizzati e chiariti i rapporti tra la nuova imposta e gli istituti che hanno qualificato l’IRES, quali l’esclusione dei dividendi e la participation exemption.
Nella bozza di Ddl. delega, viene infatti previsto che “le predette somme” concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF, ma nulla si dice con riferimento ai dividendi percepiti dalla società, che dovrebbero essere assoggettati alla nuova IRI e che oggi, ai fini IRES, sono esclusi dal reddito della società nella misura del 95% del loro ammontare.
Non solo: se i dividendi diventano deducibili, dovrebbe essere rivisto anche il meccanismo della participation exemption, che introduce l’esenzione per le plusvalenze da cessione di partecipazione sulla base del presupposto che il soggetto inciso dal tributo deve essere la società e non il socio.
Altro tema di grande rilevanza è quello del principio di competenza. La legge delega del 1971 ne aveva previsto l’applicazione con riferimento ai soli redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali, tant’è che, per quanto riguarda i redditi di lavoro autonomo, proprio il DPR 597/73 aveva introdotto il principio di cassa, innovandosi rispetto al Testo Unico del 1958, che contemplava, invece, quello di competenza.
Questo per dire che il principio di cassa per i professionisti, come il principio di competenza per le imprese, non è certamente un dogma sul piano tecnico, ma vi dovrebbe essere una chiara volontà politica in un senso o in un altro.
Se il professionista o l’imprenditore individuale possono dedurre le somme prelevate dal reddito di lavoro autonomo o d’impresa per fini personali, diventa difficile tenere traccia di questi passaggi per i soggetti in contabilità semplificata, che dovrebbero passare probabilmente in ordinaria.
Inoltre, si amplificherebbe la questione dell’utilizzo personale di beni relativi all’impresa, oggetto di un recente intervento normativo che ha previsto anche la comunicazione all’Agenzia dei beni assegnati ai soci o ai familiari dell’imprenditore.
Aumenterebbe, infatti, la convenienza per l’imprenditore ad intestare all’azienda anche i beni utilizzati per fini personali; in questo modo, eviterebbe la tassazione sulle somme prelevate per fini personali prevista dalla nuova imposta.
Comportamento certamente illegittimo, ma alquanto complicato da intercettare sul fronte dei controlli fiscali.
A tal proposito, uno degli elementi maggiormente caratterizzanti la bozza di Ddl. circolata nei giorni scorsi è rappresentato dall’art. 12, relativo alla tassazione dei redditi prodotti dalle imprese e dai lavoratori autonomi.
In esso si stabilisce che tutti i redditi prodotti nell’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo sono assoggettati a un’imposta unica che sostituirebbe tanto l’IRPEF quanto l’IRES. Inoltre, diventano deducibili le somme prelevate dall’imprenditore, dal professionista o dai soci o associati, somme che concorreranno a formare il reddito IRPEF della persona fisica.
L’estrema sinteticità del dato normativo autorizza diverse letture. Dalla semplice previsione di un’aliquota proporzionale unica per titolari di redditi di lavoro autonomo, redditi d’impresa e soggetti IRES, alla cancellazione del Capo V e VI del TUIR, e del Titolo II sempre del TUIR, che disciplinano i predetti redditi.
Se valesse questa seconda ricostruzione e si volesse, quindi, introdurre a tutti gli effetti una nuova imposta (IRI, imposta su reddito imprenditoriale o forse IRIP, imposta sul reddito imprenditoriale e professionale), il Parlamento dovrebbe delineare in modo più dettagliato i caratteri del nuovo tributo, soprattutto con riferimento alla determinazione della base imponibile.
La scelta di rendere deducibili “le somme prelevate” dai soci è tutt’altro che irrilevante sul piano sistematico.
L’art. 60 del TUIR prevede attualmente l’esatto opposto, considerando indeducibili le somme erogate all’imprenditore e ai suoi familiari per il lavoro prestato nell’impresa.
Analogo discorso vale con riguardo alle società per le quali i dividendi, a differenza degli interessi passivi, sono indeducibili.
Dovrebbero essere quindi analizzati e chiariti i rapporti tra la nuova imposta e gli istituti che hanno qualificato l’IRES, quali l’esclusione dei dividendi e la participation exemption.
Nella bozza di Ddl. delega, viene infatti previsto che “le predette somme” concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF, ma nulla si dice con riferimento ai dividendi percepiti dalla società, che dovrebbero essere assoggettati alla nuova IRI e che oggi, ai fini IRES, sono esclusi dal reddito della società nella misura del 95% del loro ammontare.
Non solo: se i dividendi diventano deducibili, dovrebbe essere rivisto anche il meccanismo della participation exemption, che introduce l’esenzione per le plusvalenze da cessione di partecipazione sulla base del presupposto che il soggetto inciso dal tributo deve essere la società e non il socio.
Altro tema di grande rilevanza è quello del principio di competenza. La legge delega del 1971 ne aveva previsto l’applicazione con riferimento ai soli redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali, tant’è che, per quanto riguarda i redditi di lavoro autonomo, proprio il DPR 597/73 aveva introdotto il principio di cassa, innovandosi rispetto al Testo Unico del 1958, che contemplava, invece, quello di competenza.
Questo per dire che il principio di cassa per i professionisti, come il principio di competenza per le imprese, non è certamente un dogma sul piano tecnico, ma vi dovrebbe essere una chiara volontà politica in un senso o in un altro.
L’ipotesi dell’IRI non tiene conto di alcune considerazioni operative
Il nuovo tributo sembra poi trascurare alcune considerazioni operative che rischiano di rendere l’applicazione pratica del nuovo tributo alquanto problematica.Se il professionista o l’imprenditore individuale possono dedurre le somme prelevate dal reddito di lavoro autonomo o d’impresa per fini personali, diventa difficile tenere traccia di questi passaggi per i soggetti in contabilità semplificata, che dovrebbero passare probabilmente in ordinaria.
Inoltre, si amplificherebbe la questione dell’utilizzo personale di beni relativi all’impresa, oggetto di un recente intervento normativo che ha previsto anche la comunicazione all’Agenzia dei beni assegnati ai soci o ai familiari dell’imprenditore.
Aumenterebbe, infatti, la convenienza per l’imprenditore ad intestare all’azienda anche i beni utilizzati per fini personali; in questo modo, eviterebbe la tassazione sulle somme prelevate per fini personali prevista dalla nuova imposta.
Comportamento certamente illegittimo, ma alquanto complicato da intercettare sul fronte dei controlli fiscali.
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