Contenzioso
Intervento del terzo ammissibile anche in appello
Se l’accertamento esplica effetti nei confronti di terzi, l’intervento è sempre ammesso, come per gli obbligati solidali
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 255 depositata in data 12 gennaio 2012, ha affermato alcuni importanti principi validi nel caso del processo litisconsortile, relativamente all’ambito di applicazione dell’intervento del terzo.
Sul punto, l’art. 14 del DLgs. 546/92 prevede che possano intervenire o essere chiamati in causa i destinatari dell’atto impositivo o le parti del rapporto controverso, il che, mediante un’interpretazione letterale, escluderebbe tutti coloro i quali, salvo il caso del litisconsorzio necessario (ad esempio, società di persone e soci nelle imposte imputate per trasparenza), non sono stati notificatari di alcun provvedimento impositivo.
Così non è, per le ragioni che seguono.
L’adozione del criterio ermeneutico letterale vanificherebbe la ratio del legislatore e si porrebbe in contrasto con l’esercizio della difesa, diritto costituzionalmente garantito.
Pertanto, devono essere ammessi all’intervento tutti coloro i quali possono essere lesi dal provvedimento notificato, anche se non nei loro confronti, e ciò in quanto vi è “necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi o indiretti del giudicato”.
Nella specie, si trattava dell’intervento in giudizio del cessionario di azienda nel processo tra Agenzia delle Dogane e cedente, che, ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 472/97, è un responsabile solidale, pur godendo della preventiva escussione.
Si pensi, allora, ai soci di società di persone, responsabili, anch’essi con il beneficio della preventiva escussione, per i debiti fiscali della società.
Ma le ipotesi possono ampliarsi, in quanto la ratio decidendi fatta propria con la sentenza induce ad affermare che l’intervento è legittimo anche al di là del caso delle obbligazioni solidali, ma ogni volta che la legge tributaria preveda effetti giuridici a carico di soggetti diversi dal contribuente notificatario dell’atto impositivo.
Per fare un altro esempio, l’accertamento eseguito su di una società di capitali può esplicare effetti nei confronti del revisore contabile o dei soci/liquidatori. Infatti, l’art. 9 comma 5 del DLgs. 471/97 sancisce che, se viene rilevata l’infedeltà della dichiarazione, al revisore contabile può essere irrogata una sanzione pari al 30% del compenso contrattuale relativo all’attività di revisione, se, tra l’altro, egli ha omesso di esprimere il giudizio con rilievi sulla società revisionata. Per quel che riguarda soci e liquidatori di società di capitali, essi, in caso di successiva liquidazione e cancellazione dal Registro imprese, possono essere ritenuti responsabili ai sensi dell’art. 2495 del codice civile.
Vi è però un passo della sentenza che difficilmente può essere condiviso.
In sostanza, si sostiene che, nelle ipotesi prospettate, l’intervento è l’unico mezzo per tutelare i diritti del terzo, che, successivamente, potrà essere raggiunto da un atto esattivo quale la cartella di pagamento o addirittura il pignoramento nel caso degli accertamenti “esecutivi”.
Ora, rammentando che la prassi di notifica del solo atto esattivo all’obbligato solidale è di certo arcaica, riecheggiando la cosiddetta “supersolidarietà tributaria“, la giurisprudenza è abbastanza consolidata nel consentire all’obbligato solidale (il che è stato detto varie volte per i soci di società di persone), in sede di ricorso contro il ruolo, di eccepire ogni vizio relativo al merito della pretesa e ciò fa venir meno il rilievo secondo cui, sostanzialmente, il giudicato intervenuto tra Fisco e obbligato principale avrebbe un effetto indiretto nei suoi confronti.
L’ulteriore passo della sentenza, molto importante, riguarda la possibilità, prima quasi mai sostenuta, di intervenire in appello, sempre ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 546/92.
Si è varie volte affermato, in dottrina, che nel contenzioso tributario l’intervento deve essere circoscritto al primo grado di giudizio, siccome l’art. 344 del codice di procedura civile ammette l’intervento in appello solo per chi sarebbe legittimato all’opposizione di terzo, rimedio non esperibile nel processo fiscale.
Ecco che i giudici ammettono l’intervento richiamando non detta norma, ma l’art. 14 del DLgs. 546/92.
Rimane un quesito da risolvere: il terzo interveniente in primo grado può appellare la sentenza? Sembrerebbe dover dare una risposta negativa, o positiva a patto che la Regionale, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., integri il contraddittorio nei confronti dell’obbligato principale, ma è bene attendere l’opinione della Cassazione sul punto.
Per quel che riguarda l’aspetto tecnico, l’intervento (che, nonostante su ciò si possa discutere, non potrebbe riguardare motivi di impugnazione diversi da quelli sollevati dalla parte che ha notificato il ricorso) deve essere notificato alle altre parti (obbligato principale ed ente impositore) e depositato, nei successivi sessanta giorni, presso la segreteria del giudice (l’art. 14 del 546 rinvia all’art. 23, non all’art. 22, quindi non opera il termine di 30 giorni per il deposito).
/ Alfio CISSELLO
Sul punto, l’art. 14 del DLgs. 546/92 prevede che possano intervenire o essere chiamati in causa i destinatari dell’atto impositivo o le parti del rapporto controverso, il che, mediante un’interpretazione letterale, escluderebbe tutti coloro i quali, salvo il caso del litisconsorzio necessario (ad esempio, società di persone e soci nelle imposte imputate per trasparenza), non sono stati notificatari di alcun provvedimento impositivo.
Così non è, per le ragioni che seguono.
L’adozione del criterio ermeneutico letterale vanificherebbe la ratio del legislatore e si porrebbe in contrasto con l’esercizio della difesa, diritto costituzionalmente garantito.
Pertanto, devono essere ammessi all’intervento tutti coloro i quali possono essere lesi dal provvedimento notificato, anche se non nei loro confronti, e ciò in quanto vi è “necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi o indiretti del giudicato”.
Nella specie, si trattava dell’intervento in giudizio del cessionario di azienda nel processo tra Agenzia delle Dogane e cedente, che, ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 472/97, è un responsabile solidale, pur godendo della preventiva escussione.
Si pensi, allora, ai soci di società di persone, responsabili, anch’essi con il beneficio della preventiva escussione, per i debiti fiscali della società.
Ma le ipotesi possono ampliarsi, in quanto la ratio decidendi fatta propria con la sentenza induce ad affermare che l’intervento è legittimo anche al di là del caso delle obbligazioni solidali, ma ogni volta che la legge tributaria preveda effetti giuridici a carico di soggetti diversi dal contribuente notificatario dell’atto impositivo.
Per fare un altro esempio, l’accertamento eseguito su di una società di capitali può esplicare effetti nei confronti del revisore contabile o dei soci/liquidatori. Infatti, l’art. 9 comma 5 del DLgs. 471/97 sancisce che, se viene rilevata l’infedeltà della dichiarazione, al revisore contabile può essere irrogata una sanzione pari al 30% del compenso contrattuale relativo all’attività di revisione, se, tra l’altro, egli ha omesso di esprimere il giudizio con rilievi sulla società revisionata. Per quel che riguarda soci e liquidatori di società di capitali, essi, in caso di successiva liquidazione e cancellazione dal Registro imprese, possono essere ritenuti responsabili ai sensi dell’art. 2495 del codice civile.
Vi è però un passo della sentenza che difficilmente può essere condiviso.
In sostanza, si sostiene che, nelle ipotesi prospettate, l’intervento è l’unico mezzo per tutelare i diritti del terzo, che, successivamente, potrà essere raggiunto da un atto esattivo quale la cartella di pagamento o addirittura il pignoramento nel caso degli accertamenti “esecutivi”.
Ora, rammentando che la prassi di notifica del solo atto esattivo all’obbligato solidale è di certo arcaica, riecheggiando la cosiddetta “supersolidarietà tributaria“, la giurisprudenza è abbastanza consolidata nel consentire all’obbligato solidale (il che è stato detto varie volte per i soci di società di persone), in sede di ricorso contro il ruolo, di eccepire ogni vizio relativo al merito della pretesa e ciò fa venir meno il rilievo secondo cui, sostanzialmente, il giudicato intervenuto tra Fisco e obbligato principale avrebbe un effetto indiretto nei suoi confronti.
L’ulteriore passo della sentenza, molto importante, riguarda la possibilità, prima quasi mai sostenuta, di intervenire in appello, sempre ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 546/92.
Si è varie volte affermato, in dottrina, che nel contenzioso tributario l’intervento deve essere circoscritto al primo grado di giudizio, siccome l’art. 344 del codice di procedura civile ammette l’intervento in appello solo per chi sarebbe legittimato all’opposizione di terzo, rimedio non esperibile nel processo fiscale.
Ecco che i giudici ammettono l’intervento richiamando non detta norma, ma l’art. 14 del DLgs. 546/92.
Rimane un quesito da risolvere: il terzo interveniente in primo grado può appellare la sentenza? Sembrerebbe dover dare una risposta negativa, o positiva a patto che la Regionale, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., integri il contraddittorio nei confronti dell’obbligato principale, ma è bene attendere l’opinione della Cassazione sul punto.
Per quel che riguarda l’aspetto tecnico, l’intervento (che, nonostante su ciò si possa discutere, non potrebbe riguardare motivi di impugnazione diversi da quelli sollevati dalla parte che ha notificato il ricorso) deve essere notificato alle altre parti (obbligato principale ed ente impositore) e depositato, nei successivi sessanta giorni, presso la segreteria del giudice (l’art. 14 del 546 rinvia all’art. 23, non all’art. 22, quindi non opera il termine di 30 giorni per il deposito).
/ Alfio CISSELLO
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