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mercoledì 14 marzo 2012

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Deducibili i costi da attività illecite colpose

Il DL 16/2012 ammette la deducibilità anche per i costi la cui fattura è emessa da un soggetto diverso da colui che ha effettuato la prestazione
/ Lunedì 12 marzo 2012
L’art. 8, commi 1-3, del DL n. 16/2012, mediante la sostituzione del comma 4-bis dell’art. 14 della L. n. 537/93, ha la finalità di inibire in maniera univoca la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando però che tale indeducibilità possa essere utilizzata come regola generale nella determinazione del reddito imponibile.
Infatti, la nuova disposizione prevede che le ipotesi d’indeducibilità siano limitate ai soli costi e spese relativi a acquisti di beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Se, poi, interviene una sentenza definitiva di assoluzione, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. La novella si traduce nel fatto che l’indeducibilità non trova applicazione per i delitti meramente colposi, posto che non vi è, da parte del reo, l’intenzionalità nella condotta illecita e, quindi, non vi è la volontà di finalizzazione dei costi eventualmente sostenuti per compiere i delitti.
Secondo quanto precisa la Relazione illustrativa al DL, ulteriore effetto è che l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e per le spese esposti in fatture o in altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione descritta in fattura a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando ovviamente le regole generali in materia di detrazione della relativa IVA e in tema di deduzione ai fini delle imposte sui redditi. Pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi.
Dalla Relazione illustrativa si evince poi che, con la disposizione di cui all’art. 8, comma 2 del DL, s’intende: da un lato, colpire con una specifica sanzione pecuniaria l’antigiuridicità dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, prevedendo una sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi; dall’altro, salvaguardare il principio costituzionale della capacità contributiva. Infatti, un’imposizione che non tenga conto dei costi sostenuti, reali e documentati, e che invece colpisca solo i componenti positivi, determina un’aperta violazione dell’art. 53 Cost., poiché attua una tassazione sui ricavi e non sul reddito conseguito, oltre a ad essere in palese contrasto, senza giustificazione alcuna, con il principio di necessaria correlazione tra costi e ricavi.
In particolare, la disposizione di cui al comma 2, di natura procedurale, in materia di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, prevede che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi che, per effetto delle ordinarie disposizioni tributarie, non sono in alcun caso ammessi in deduzione in quanto non effettivamente sostenuti. In altre parole, se vi sono dei costi o spese non sostenuti e falsamente documentati, fino a concorrenza del loro importo (che non è deducibile) non formano reddito neanche i correlativi ricavi, nel presupposto che anche questi siano inesistenti.
La norma, condivisibile in linea di principio, presenta, tuttavia, almeno ad una prima lettura, profili d’incertezza applicativa. Ci si chiede quali siano gli effetti nell’ipotesi in cui, ad esempio, la società Alfa, che esercita l’attività di consulenza aziendale, si avvalga, in sede di dichiarazione dei redditi, di fatture di acquisto del fornitore Beta per consulenze da questo mai realmente prestate, anche se dette fatture d’acquisto sono compatibili con l’attività aziendale svolta da Alfa e con i ricavi da questa dichiarati. I ricavi aziendali di Alfa, in realtà, sono solo frutto di attività svolta dal proprio personale dipendente o dal proprio amministratore. La nuova previsione potrebbe mettere in crisi l’impianto e colpire ingiustamente chi ha acquistato da Alfa e regolarmente pagato il servizio di consulenza, poiché sembrerebbe che la quota di ricavi di Alfa, che non concorre a formare il reddito della stessa, pari all’ammontare delle fatture d’acquisto per costi inesistenti provenienti da Beta, potrebbe di converso non essere deducibile per il cliente di Alfa resogli da Alfa .
La disposizione, che esplica i suoi effetti anche ai fini IRAP, peraltro, risolve il vasto contenzioso in essere sullo specifico punto, dato che il comma 3 prevede l’applicabilità delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, ove più favorevoli, in luogo di quanto disposto dal previgente comma 4-bis dell’art. 14 della L. 537/93, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore del DL, facendo comunque salva l’ipotesi in cui i provvedimenti emessi in base al predetto comma 4-bis previgente si siano resi definitivi.

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