Penale tributario
Fatture ideologicamente e materialmente false senza soglia di punibilità
Per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 rileva solo l’efficacia probatoria del documento utilizzato
Anche l’utilizzo di fatture (o altri documenti equipollenti) materialmente false integra la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante fatture (o altri documenti) per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 (priva di soglie di punibilità), e non quella di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (punibile solo al superamento di specifiche soglie di punibilità), dal momento che a rilevare è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta e non la distinzione tra falsità ideologica e materiale. A stabilirlo è la Cassazione, nella sentenza 19 dicembre 2011 n. 46785, confermando l’orientamento più rigoroso, e prevalente, dei Giudici di Legittimità.
In occasione della sentenza 12 ottobre 2011 n. 36844 si era ricordato come la prevalente dottrina ed i primi interventi dei Giudici di Legittimità (cfr. Cass. 8 agosto 2001 n. 30896 e Cass. 25 gennaio 2005 n. 1994) avessero reputato applicabile l’art. 2 del DLgs. 74/2000 nelle ipotesi di falso ideologico, rilevando i casi di falsità materiale ai fini delle fattispecie di cui agli artt. 3 o 4 del DLgs. 74/2000 (si veda “Rischio eccessivo per l’«alterazione» di fatture“ del 31 ottobre 2011).
Notevoli profili di incertezza erano emersi, invece, in relazione all’ipotesi limite (di incerta collocazione tra la falsità ideologica e quella materiale) del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo “ex novo”.
Secondo la prevalente dottrina, anche in tale ipotesi avrebbe dovuto escludersi l’integrazione dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, dovendosi cercare risposte sanzionatorie nelle ulteriori disposizioni del DLgs. 74/2000. La giurisprudenza di legittimità, invece, dopo una prima pronuncia in tal senso (cfr. Cass. 26 luglio 2004 n. 32493), ha radicalmente modificato la propria posizione, affermando che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si realizza sia nell’ipotesi di falsità ideologica che in quella di falsità materiale (così Cass. 23 marzo 2007 n. 12284, Cass. 10 marzo 2011 n. 9673 e Cass. 12 ottobre 2011 n. 36844). Quindi, invece di limitarsi all’inquadramento della creazione “ex novo” del falso documento nel novero della falsità ideologica - come avrebbero potuto fare in ragione della peculiarità del caso - i Giudici di Legittimità hanno optato per la tesi della neutralità del tipo di falsità praticata (materiale o ideologica) rispetto alla distinzione tra artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. In tutte le ipotesi esaminate dalla Suprema Corte, peraltro, ci si trovava di fronte a condotte connotate dalla creazione “ex novo” del documento falso, circostanza che poteva lasciare aperto uno spiraglio ad una rimodulazione dell’orientamento con riguardo a falsi materiali “in senso stretto” (ovvero alle semplici “alterazioni” delle fatture o degli altri documenti).
Questa eventualità sembra definitivamente esclusa dalla sentenza 19 dicembre 2011 n. 46785. Essa, infatti, pur avendo ancora una volta ad oggetto la creazione “ex novo” di un documento falso, chiarisce che l’art. 1 comma 1 lett. a) del DLgs. 74/2000 rende evidente che gli elementi qualificanti della definizione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti siano, da un lato, l’inesistenza dell’operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale, e, dall’altro, la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente “rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie”.
Sicché è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l’elemento essenziale che qualifica la fattispecie criminosa di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 e la distingue da quella di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000. Nella struttura del reato così delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale ed ideologica derivante dagli artt. 476 ss. c.p., che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose. Differenziando tra falsità ideologica e materiale si introduce in materia tributaria una distinzione destinata ad operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, ma che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali presenta importanza il mezzo adoperato per commettere la frode fiscale ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido ed agevole accertamento.
La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), invece, ha quali elementi costitutivi “una falsa rappresentazione nelle scritture contabili” ed il fatto di avvalersi “di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento“. È evidente, quindi, da un lato, come essa prescinda dall’uso di false fatture o documenti equipollenti (d’altra parte, nell’inciso iniziale della fattispecie, si legge: “fuori dei casi previsti dall’art. 2...“); dall’altro, come sia configurabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (mentre il reato di cui all’art. 2 può essere commesso da qualsiasi soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA).
Pertanto, la fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 è residuale rispetto a quella di cui all’art. 2 ed è configurabile soltanto nei confronti di determinate categorie di contribuenti, oltre ad essere subordinata al superamento di specifiche soglie di punibilità correlate all’imposta evasa ed agli elementi attivi sottratti all’imposizione.
Ancora più residuale, infine, si presenta la fattispecie di dichiarazioni infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000). Questa disposizione, infatti, punisce “fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3” chiunque si limiti ad indicare in una delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi o IVA elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. Condotta meno offensiva per l’Amministrazione finanziaria e di più agevole accertamento rispetto alle precedenti dichiarazioni “fraudolente”; per questo, sottoposta al superamento di soglie di punibilità maggiori rispetto a quelle previste dall’art. 3 del DLgs. 74/2000. In nessun caso, pertanto, l’uso in dichiarazione di fatture (o di documenti equipollenti) materialmente false può farsi rientrare nella dichiarazione infedele, pena la manifesta illogicità del sistema penale tributario.
/ Maurizio MEOLI
In occasione della sentenza 12 ottobre 2011 n. 36844 si era ricordato come la prevalente dottrina ed i primi interventi dei Giudici di Legittimità (cfr. Cass. 8 agosto 2001 n. 30896 e Cass. 25 gennaio 2005 n. 1994) avessero reputato applicabile l’art. 2 del DLgs. 74/2000 nelle ipotesi di falso ideologico, rilevando i casi di falsità materiale ai fini delle fattispecie di cui agli artt. 3 o 4 del DLgs. 74/2000 (si veda “Rischio eccessivo per l’«alterazione» di fatture“ del 31 ottobre 2011).
Notevoli profili di incertezza erano emersi, invece, in relazione all’ipotesi limite (di incerta collocazione tra la falsità ideologica e quella materiale) del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo “ex novo”.
Secondo la prevalente dottrina, anche in tale ipotesi avrebbe dovuto escludersi l’integrazione dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, dovendosi cercare risposte sanzionatorie nelle ulteriori disposizioni del DLgs. 74/2000. La giurisprudenza di legittimità, invece, dopo una prima pronuncia in tal senso (cfr. Cass. 26 luglio 2004 n. 32493), ha radicalmente modificato la propria posizione, affermando che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si realizza sia nell’ipotesi di falsità ideologica che in quella di falsità materiale (così Cass. 23 marzo 2007 n. 12284, Cass. 10 marzo 2011 n. 9673 e Cass. 12 ottobre 2011 n. 36844). Quindi, invece di limitarsi all’inquadramento della creazione “ex novo” del falso documento nel novero della falsità ideologica - come avrebbero potuto fare in ragione della peculiarità del caso - i Giudici di Legittimità hanno optato per la tesi della neutralità del tipo di falsità praticata (materiale o ideologica) rispetto alla distinzione tra artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. In tutte le ipotesi esaminate dalla Suprema Corte, peraltro, ci si trovava di fronte a condotte connotate dalla creazione “ex novo” del documento falso, circostanza che poteva lasciare aperto uno spiraglio ad una rimodulazione dell’orientamento con riguardo a falsi materiali “in senso stretto” (ovvero alle semplici “alterazioni” delle fatture o degli altri documenti).
Questa eventualità sembra definitivamente esclusa dalla sentenza 19 dicembre 2011 n. 46785. Essa, infatti, pur avendo ancora una volta ad oggetto la creazione “ex novo” di un documento falso, chiarisce che l’art. 1 comma 1 lett. a) del DLgs. 74/2000 rende evidente che gli elementi qualificanti della definizione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti siano, da un lato, l’inesistenza dell’operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale, e, dall’altro, la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente “rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie”.
Sicché è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l’elemento essenziale che qualifica la fattispecie criminosa di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 e la distingue da quella di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000. Nella struttura del reato così delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale ed ideologica derivante dagli artt. 476 ss. c.p., che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose. Differenziando tra falsità ideologica e materiale si introduce in materia tributaria una distinzione destinata ad operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, ma che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali presenta importanza il mezzo adoperato per commettere la frode fiscale ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido ed agevole accertamento.
Carattere “residuale” delle fattispecie degli artt. 3 e 4 del DLgs. 74/2000
Alla base della fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, quindi, si pone il valore probatorio attribuito, in materia tributaria, alle fatture o agli altri documenti ad esse equiparati. Ai fini della configurabilità della fattispecie occorre che il documento utilizzato per la dichiarazione di elementi passivi fittizi corrisponda, sia pure apparentemente, ai requisiti precisati dall’art. 21 comma 2 del DPR 600/73 a proposito del contenuto della fattura ovvero, in caso di altro documento contabile, occorre che sia equipollente, in relazione al suo contenuto, alla fattura secondo le norme tributarie, a nulla rilevando che dette fatture o documenti siano frutto di falsità ideologica o materiale. Ed allora è la rispondenza allo schema legale - che caratterizza la fattura (o altra documentazione ad essa equiparata dalla legge tributaria) utilizzata a supporto della dichiarazione - a qualificare la fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000. Fattispecie che il legislatore penale tributario ha considerato di massima pericolosità - proprio per il particolare valore probatorio, sul piano tributario, dello strumento documentale utilizzato - con esclusione di qualsiasi soglia di punibilità.La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del DLgs. 74/2000), invece, ha quali elementi costitutivi “una falsa rappresentazione nelle scritture contabili” ed il fatto di avvalersi “di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento“. È evidente, quindi, da un lato, come essa prescinda dall’uso di false fatture o documenti equipollenti (d’altra parte, nell’inciso iniziale della fattispecie, si legge: “fuori dei casi previsti dall’art. 2...“); dall’altro, come sia configurabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (mentre il reato di cui all’art. 2 può essere commesso da qualsiasi soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi o IVA).
Pertanto, la fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 è residuale rispetto a quella di cui all’art. 2 ed è configurabile soltanto nei confronti di determinate categorie di contribuenti, oltre ad essere subordinata al superamento di specifiche soglie di punibilità correlate all’imposta evasa ed agli elementi attivi sottratti all’imposizione.
Ancora più residuale, infine, si presenta la fattispecie di dichiarazioni infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000). Questa disposizione, infatti, punisce “fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3” chiunque si limiti ad indicare in una delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi o IVA elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. Condotta meno offensiva per l’Amministrazione finanziaria e di più agevole accertamento rispetto alle precedenti dichiarazioni “fraudolente”; per questo, sottoposta al superamento di soglie di punibilità maggiori rispetto a quelle previste dall’art. 3 del DLgs. 74/2000. In nessun caso, pertanto, l’uso in dichiarazione di fatture (o di documenti equipollenti) materialmente false può farsi rientrare nella dichiarazione infedele, pena la manifesta illogicità del sistema penale tributario.
/ Maurizio MEOLI
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