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Ricorsi Tributari

mercoledì 21 dicembre 2011

IL TRATTAMENTO FISCALE DEGLI IMMOBILI DELL'IMPRENDITORE INDIVIDUALE

In uno scenario nel quale la produzione legislativa tributaria si è notevolmente ridotta, rispetto al passato, cala drasticamente la necessità di un allineamento alle novità fiscali e sempre più spesso le attenzioni si spostano sull'attività normofilattica operata dalla giurisprudenza tributaria nel dirimere le controversie fiscali, in primis, ovviamente, avendo riguardo alle questioni di legittimità affrontate dalla Corte di Cassazione.

Proprio una recente sentenza della Suprema Corte ha riproposto il tema, per molti superato, dell'automatica ed inderogabile riferibilità alla sfera imprenditoriale della persona fisica, degli immobili strumentali utilizzati direttamente nello svolgimento dell'attività di impresa.

Secondo i giudici gli immobili «strumentali per destinazione», andrebbero obbligatoriamente ricompresi tra i beni d'impresa, a prescindere dal fatto che gli stessi siano stati inseriti o meno nell'inventario da parte dell'imprenditore individuale.

L'arresto giurisprudenziale non è isolato dato che la Suprema Corte anche in passato aveva avuto modo di affermare il medesimo principio nell'ambito della Sent. n. 22587/2006.

Le conseguenze che deriverebbero da una siffatta lettura generalizzata sarebbero intuibilmente devastanti; basti pensare che, a mero titolo esemplificativo, un immobile, a prescindere dalla qualificazione catastale dello stesso (abitativo o commerciale) ed appartenente alla sfera privata del contribuente, se ceduto decorso un quinquennio dall'acquisto, non genera alcuna plusvalenza tassabile mentre la situazione cambia in modo sostanziale se l'immobile è «relativo» all'impresa.

In tale ultima ipotesi, infatti, la cessione comporta sempre la tassazione della plusvalenza (o la deduzione della minusvalenza, caso, peraltro, piuttosto raro), a prescindere dal periodo di detenzione dello stesso. Inoltre, in caso di cessazione dell'attività della ditta individuale, l'immobile confluito nell'impresa dovrà essere autoconsumato con tutte le conseguenze del caso (ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA), mentre per l'immobile detenuto privatamente non si pone alcun tipo di problema di passaggio dalla sfera dell'impresa a quella, appunto, privata.

Vista la numerosità dei casi potenzialmente interessati e gli effetti che potrebbero scaturire dall'applicazione non meditata del suddetto principio, vale la pena quindi effettuare un'analisi sistematica del problema al fine di calare la decisione nel contesto del caso esaminato e trarre poi le opportune conclusioni avendo riferimento al quadro generale.

LO SCENARIO NORMATIVO ATTUALMENTE IN VIGORE

Per inquadrare correttamente il tema occorre preliminarmente esaminare quanto dispone l'attuale versione dell'art. 65 del T.U.I.R.

Dalla lettura della disposizione emerge in maniera limpida che l'appartenenza o meno dei beni alla sfera imprenditoriale è circoscritta e molto ben regolata dal Legislatore. In estrema sintesi:

- i beni merce, i beni strumentali, i crediti dell'impresa appartengono all'impresa per presunzione assoluta e quindi in alcun modo l'imprenditore può riferire tali elementi alla sua sfera privata;

- gli altri beni appartenenti all'imprenditore persona fisica, invece, possono confluire nell'attività su base volontaria, con la segnalazione degli stessi sul libro degli inventari (o nel libro dei beni ammortizzabili).

Più nello specifico, in merito al trattamento degli immobili, il comma 1 dell'art. 65 dice espressamente che gli immobili di cui al comma 2, dell'art. 43, si considerano relativi all'impresa solo se indicati nell'inventario.

Dato il riferimento non vi è dubbio che la suddetta regola si rende applicabile sia agli immobili strumentali per natura che agli immobili strumentali per destinazione.

In buona sostanza, quindi, il T.U.I.R. assegna all'imprenditore la possibilità di decidere se l'immobile strumentale («per natura» o «per destinazione» è del tutto ininfluente) debba essere considerato come appartenente alla sfera privata o, per converso, alla sfera imprenditoriale dello stesso soggetto, con tutte le conseguenze fiscali del caso.

LE REGOLE IN VIGORE ANTE 1° GENNAIO 1992

In passato il sistema normativo era organizzato diversamente.

Originariamente il T.U.I.R. prevedeva infatti una presunzione legale di appartenenza alla sfera imprenditoriale degli immobili strumentali e ciò a prescindere dalle scelte contabili adottate dall'imprenditore individuale.

In pratica, quindi, tutti gli immobili strumentali (per natura e per destinazione) erano per legge da considerarsi attinenti all'impresa e come tali non produttivi di reddito fondiario.

Il legislatore, preso atto dell'ingiustificato trattamento che questo sistema attribuiva agli immobili dell'imprenditore individuale rispetto a quelli relativi all'impresa societaria, in relazione ai quali si poteva scegliere se attribuire gli stessi all'impresa (intestandoli alla società) o ai soci (come soggetti privati), intervenne una prima volta con decorrenza dall'esercizio 1988 modificando gli artt. 44 e 70 del T.U.I.R. ponendo come condizione ai fini della qualificazione dell'appartenenza al regime d'impresa, l'iscrizione nei registri contabili dell'immobile strumentale per natura.

In buona sostanza si azzerò l'opzione legislativa fatta nella primitiva stesura del T.U.I.R., con efficacia ex tunc riguardo agli immobili strumentali per natura, lasciando tuttavia in vigenza la presunzione assoluta di relatività solo per gli immobili strumentali per destinazione.

Il secondo intervento fu operato dall'art. 58 della legge n. 413/1991 che sostituì l'intero comma 1 dell'art. 77 del T.U.I.R., estendendo la condizione dell'iscrizione nei registri contabili alla generalità degli immobili strumentali, senza distinzione alcuna.

Nel contempo, la medesima previsione legislativa introdusse per la prima volta l'istituto della estromissione agevolata dell'immobile strumentale, destinata a reiterarsi successivamente nel tempo grazie ad altri leggi.

È quindi acquisito che per tutti gli immobili acquistati a partire dal 1° gennaio 1992, data di entrata in vigore dell'art. 58 della legge n. 413/1991, la qualifica di bene strumentale relativo all'impresa, per tutti gli immobili, consegue unicamente al ricorrere dell'iscrizione dello stesso nei registri contabili.

L'ESAME DELLA SENTENZA

Tracciato sinteticamente il quadro normativo in cui si colloca la sentenza in esame, la conclusione cui pervengono i Giudici si offre ad alcune osservazioni critiche.

Innanzi tutto va detto che è certamente opinabile sul piano letterale la dogmatica conclusione cui perviene la Corte che sembrerebbe affermare un principio di carattere generale: «Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l'art. 40, comma 2, D.P.R. n. 917/1986 contiene due ipotesi distinte, la prima delle quali riguarda gli immobili utilizzati dal possessore esclusivamente e direttamente per l'esercizio di impresa (nel qual caso essi "si considerano" strumentali, ai fini delle imposte sui redditi, per presunzione di legge ed a prescindere dall'iscrizione di essi negli appositi registri aziendali), e la seconda, che si riferisce alle diverse fattispecie in cui il possessore di immobile "relativo" ad un'impresa commerciale non lo utilizza o non lo utilizza direttamente, avendo concesso in locazione o in comodato. Solo in tale ultima ipotesi, cui accenna all'art. 40, comma 2, parte seconda, la destinazione all'esercizio dell'impresa (relatività), e quindi l'assoggettabilità al tributo, è subordinata alla sussistenza di due condizioni: che l'immobile abbia caratteristiche tali da non poter essere destinato ad uso diverso da quello aziendale senza radicali trasformazioni (art. 40, comma 2) e che, qualora si tratti di imprenditore individuale, il bene risulti iscritto negli appositi registri (art. 77, comma 1, ultima parte). Ovviamente, il fatto che la stessa norma consideri "relativi all'impresa", a determinate condizioni (fra cui l'iscrizione nei registri), anche altre categorie di beni dell'imprenditore, è indifferente ai fini del presente giudizio, in cui rileva non la distinzione tra immobili strumentali "per natura" e "per destinazione", bensì, ai sensi del citato art. 40, quella fra immobili strumentali utilizzati direttamente dal possessore/imprenditore (come nel caso di specie) ed immobili strumentali non utilizzati nell'impresa o utilizzati da soggetto diverso dal possessore. Si deve pertanto, in conclusione, affermare che gli immobili relativi ad imprese commerciali individuali, aventi carattere strumentale ed utilizzati dal posses?so?re/imprenditore esclusivamente per l'esercizio dell'impresa, sono "relativi all'impresa", in base al combinato disposto degli artt. 40, comma 2, e 77, comma 1, del T.U.I.R., a prescindere dalla iscrizione nei registri di inventario o dei beni ammortizzabili. (v. Cass. n. 22587 del 2006).

Come si evince dalla lettura del passaggio il percorso interpretativo non brilla per chiarezza visto che si omette del tutto di analizzare la successione legislativa da noi brevemente tratteggiata in precedenza e che aveva condotto il Fisco a contestare l'evasione al contribuente.

Sfugge inoltre al Collegio che la distinzione tra immobili strumentali per natura e per destinazione (e non quella fra immobili strumentali utilizzati direttamente dal possessore/utilizzatore ed immobili strumentali non utilizzati nell'impresa) è quella fondamentale per decidere sul giusto trattamento fiscale del caso di specie.

Nel merito del caso trattato, comunque, la determinazione cui perviene la Suprema Corte appare corretta come risulta evidente dal passaggio che segue: «In particolare, i giudici della CTR, premesso che gli immobili de quibus erano stati pacificamente adibiti all'azienda del contribuente fino alla cessazione dell'attività, rilevavano: che l'eventuale adibizione di tali immobili, peraltro solo dichiarata, anche ad uso personale non sarebbe tale da compromettere le caratteristiche dei medesimi immobili, strumentali per natura, attesa la peculiare struttura dei medesimi, e per destinazione pluriennale; che il mancato inserimento dei beni suddetti nel libro degli inventari, non incide sull'appartenenza di diritto degli stessi alla sfera privata, trattandosi di beni acquistati prima del 1° gennaio 1992, rispetto ai quali l'iscrizione nel libro degli inventari era un obbligo, non una facoltà, salvo l'esercizio dell'opzione prevista dalla legge per l'estromissione degli immobili dal patrimonio dell'impresa, opzione nella specie non esercitata».

Si ha quindi ragione di auspicare che le conclusioni della Cassazione sarebbero state del tutto differenti se il giudice di legittimità avesse dovuto esaminare la legislazione vigente per gli immobili acquistati a partire dal 1° gennaio 1992.

Ricordiamo, peraltro, che sulla questione è intervenuta anche l'Agenzia delle entrate che, con la Circ. n. 39/E del 2008 in tema di estromissione di immobili da parte dell'imprenditore individuale, con specifico riferimento agli immobili strumentali per destinazione, ha affermato che «i beni immobili che non soddisfano tale requisito (cioè non sono iscritti nel libro inventari) non possono essere oggetto dell'estromissione ... in quanto non si considerano beni relativi all'impresa, ma beni già appartenenti alla sfera privata dell'imprenditore».

La stessa prassi, quindi, conferma che il problema esiste ma è circoscritto: riguarda solo gli immobili strumentali per destinazione acquistati prima del 1° gennaio 1992 ed eventualmente non già estromessi fruendo di una delle finestre di uscita varate dal Legislatore nel corso di questi ultimi anni.

La questione ora si sposta sull'uso che un verificatore maldestro (o malizioso) potrebbe fare dell'arresto giurisprudenziale. Assunto che, come detto, non è vero che tutti gli immobili «strumentali per destinazione» appartengono per presunzione legale alla sfera imprenditoriale a prescindere ma che questa regola opera solo per gli immobili acquistati prima del 1° gennaio 1992 (e non eventualmente volontariamente estromessi) resta la grande diffusione dei casi in «bilico» e la constatazione dell'esistenza di una giurisprudenza certamente non particolarmente chiara, almeno sul piano della forma.

C'è quindi da augurarsi che la Suprema Corte, prima che la bramosia accertativa di qualche funzionario del Fisco eccessivamente solerte prenda il sopravvento, torni a pronunciarsi rapidamente sul tema, magari su fattispecie che riguardino proprio gli immobili strumentali acquistati successivamente al 1991 al fine di sgombrare il campo da ogni possibile equivoco.

Gian Paolo Ranocchi

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