Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
Variazioni all 'Agenzia delle Entrate
Cessioni di quote di Società Srl
Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari

lunedì 12 dicembre 2011

accertamento : Rilevanza penale a 360° nei rapporti con il Fisco

accertamento

Rilevanza penale a 360° nei rapporti con il Fisco

In base al Decreto «Salva Italia», fornire dati falsi all’Amministrazione finanziaria può comportare la reclusione fino a tre anni
/ Lunedì 12 dicembre 2011
Rilevanza penale a tutto campo nel rapporto tra Fisco e contribuente.
Questo almeno sembrerebbe essere il riflesso che discende dal disposto del comma 1 dell’art. 11 del DL 201/2011, considerata dal Governo una delle norme qualificanti del decreto, tanto da meritare espressa menzione e sottolineatura, in sede di presentazione del provvedimento e di dibattiti televisivi, da parte del Viceministro dell’Economia Grilli e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà.
In base alla richiamata disposizione, chiunque esibisca o trasmetta atti o documenti falsi in tutto o in parte, oppure fornisca dati o notizie non rispondenti al vero, a seguito di richieste avanzate dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza, nell’ambito, tra le altre ipotesi, di questionari, inviti al contraddittorio, accessi, ispezioni o verifiche, è punito ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000.
In altre parole, tutto quello che viene esibito, trasmesso o comunque notiziato al Fisco, a fronte di una sua richiesta, assurge a vera e propria autocertificazione, con quel che ne consegue in termini di punibilità con la reclusione fino a tre anni.
Il “salto di qualità” deciso dal Governo è impressionante, se si considera che sino ad oggi l’unica produzione documentale punita penalmente (con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) sembrerebbe quella consistente nell’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, “quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria” (art. 2 del DLgs. 74/2000).
Per le reticenze e le omissioni del contribuente, in sede di risposta a questionari o inviti a contraddittori, risultava applicabile solo la sanzione amministrativa da 206 a 1.032 euro, prevista dal comma 1 dell’art. 11 del DLgs. 471/1997.
Al di là di valutazioni sull’opportunità o meno di questo radicale cambio di impostazione, è indiscutibile il fatto che la nuova previsione determina la piena “penalizzazione del rapporto tributario”, non nel senso che lo penalizza, ma nel senso che lo rende penalmente rilevante a 360 gradi.
La genericità dell’assunto normativo è tale che, paradossalmente, anche la produzione di una dichiarazione dei redditi, a fronte di una richiesta del Fisco nell’esercizio dei poteri di cui agli artt. 32 e 33 del DPR 600/1973, potrebbe, a determinate condizioni, divenire presupposto di contestazione penale ex art. 11 comma 1 del DL 201/2011, ove si rivelasse infedele anche per importi minimi.
Al di fuori di questa ipotesi, per integrare i presupposti del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del DLgs. 74/2000 era ed è tuttora necessario che l’imposta evasa sia superiore a 50.000 euro e che la base imponibile non dichiarata sia superiore al 10% di quella indicata in dichiarazione e comunque a 2 milioni di euro.
Meglio privilegiare, ove possibile, il diniego di collaborazione
Al di là delle petizioni di principio sulla necessità di una sempre più ampia collaborazione tra Fisco e contribuente, è facilmente prevedibile che, da parte di quest’ultimo e dei professionisti che lo assistono (i quali potrebbero rischiare anch’essi di essere appresi ai profili di responsabilità penale previsti dalla norma in commento, ove trasmettano, esibiscano o forniscano dati e notizie per conto dei loro clienti), diverrà inevitabile porre la massima attenzione sulle richieste informative cui dare seguito, privilegiando, ove possibile e legittimo, un diniego di collaborazione che potrebbe riservare conseguenze ancora peggiori e nel quale, evidentemente, il Legislatore non crede.
Da questo punto di vista, appare centrale il disposto della lett. f) del comma 1 dell’art. 7 del recente DL 70/2011, convertito nella L. 106/2011, ai sensi del quale “i contribuenti non devono fornire informazioni che siano già in possesso del Fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possono essere direttamente acquisite da altre Amministrazioni”.
In altre parole, appare legittimo e senz’altro comprensibile, ove non addirittura consigliabile, il comportamento del contribuente che, in sede di richieste di dati, notizie e documenti esercitate dall’Amministrazione finanziaria ex artt. 32 e 33 del DPR 600/1973, opponga il suo diritto di non esibire, trasmettere o fornire alcunché, ogniqualvolta si tratti di informazioni concernenti, a mero titolo esemplificativo, documentazione fiscale già presentata, bilanci depositati presso il Registro delle imprese, beni immobili, beni mobili registrati e, alla luce delle recenti novità, qualsivoglia rapporto con intermediari finanziari.

Nessun commento:

Posta un commento