Dalle delibere dell’assemblea il rimborso dell’imposta sugli utili
L’assegnazione dei dividendi agli azionisti, in una società di capitali, non avviene, come in altri casi, automaticamente e al fisco, quindi, serve la decisione “ufficiale”
Ai sensi dell’articolo 2433 del codice civile, nell’ambito delle società di capitali, l’approvazione del bilancio non determina ex se l’insorgere, in capo agli azionisti, di un diritto all’assegnazione degli utili essendo necessaria, a tal fine, un’apposita delibera assembleare.
Sulla base di tale assunto normativo, la Cassazione, nella sentenza n. 24262 del 18 novembre, ha precisato che, per suffragare la richiesta di rimborso dell’imposta erroneamente versata su dividendi non distribuiti, è necessario allegare copia del libro delle delibere assembleari, non essendo sufficiente produrre la sola dichiarazione reddituale, nella quale viene evidenziata la ritenuta operata.
I fatti di causa
Una società per azioni propone ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale che, nel confermare la pronuncia di primo grado, aveva rigettato l’appello della società contro il silenzio-rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso di somme versate a titolo di ritenute su dividendi, ai sensi dell’articolo 27 del Dpr 600/1973.
Secondo i giudici del gravame, la società non avrebbe debitamente adempiuto all’onere della prova – sulla stessa gravante – in ordine alla mancanza della causa debendi (indebito oggettivo), in quanto avrebbe allegato la dichiarazione dei redditi presentata quale sostituto di imposta anziché i libri delle assemblee sociali.
Il ricorso di legittimità si fonda su tre motivi.
Col primo, la ricorrente si lamenta del fatto che, avendo versato un’imposta indebita (in mancanza dell’effettiva distribuzione dei dividendi), sarebbe spettato all’Amministrazione finanziaria imputare il versamento ad altra imposta senza che la stessa fosse obbligata a dover dimostrare l’inesistenza del presupposto impositivo.
La seconda doglianza riguarda la violazione e falsa applicazione dell’articolo 27 del Dpr 600/1973, nonché dell’articolo 4 del Dpr 322/1988.
Tali norme, secondo la società, impongono, la prima l’obbligo del sostituto di imposta di operare la ritenuta sui dividendi distribuiti, la seconda di presentare la dichiarazione fiscale in cui viene evidenziato l’adempimento dell’obbligazione tributaria in esame.
Con l’ultimo motivo, la ricorrente contesta la decisione di appello laddove non è stata ritenuta valida, ai fini probatori, la dichiarazione prodotta (non contestata dal Fisco), dimenticando che la stessa rappresenta il solo mezzo idoneo a fini probatori.
La decisione della Cassazione
La Corte di piazza Cavour rigetta integralmente il ricorso.
Relativamente al primo motivo, i giudici di legittimità si allineano a un indirizzo interpretativo consolidato secondo cui, in tema di rimborsi, l’onere di provare la mancanza del presupposto impositivo spetta al richiedente (Cassazione, sentenze 3678 e 3680 del 2007; 19187/2006 e 8439/2004).
In ordine al secondo e al terzo motivo del ricorso, la Cassazione precisa, innanzitutto, che i fatti posti a fondamento della domanda di rimborso – ossia la ritenuta effettuata e la dichiarazione – non necessitano di prova in quanto non sono oggetto di contestazione tra le parti.
Nel merito, poi, i giudici ricordano che principio fondamentale, in tema di distribuzione dei dividendi nelle società di capitali – come stabilito dal richiamato articolo 2433 del codice civile – è “…quello che riserva all’assemblea, che approva il bilancio, di adottare la delibera della distribuzione degli utili ai soci”.
Ne consegue che, “…da un lato, l’approvazione del bilancio non determina in sé l’insorgere di un diritto individuale….di assegnazione agli azionisti della propria parte di utile e, dall’altro, resta sempre necessaria, a tal fine, l’ulteriore (e oggettivamente distinta) deliberazione assembleare” (Cassazione, sentenze 9295/2010, 2020/2008 e 10271/2004).
In altri termini, secondo l’arresto della Cassazione, non è sufficiente a provare il fatto costitutivo della richiesta di rimborso (ossia la decisione di non distribuire gli utili ai soci), la semplice dichiarazione fiscale della società “…in mancanza della produzione di documenti propriamente organizzativi quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari attinenti…”.
Osservazioni finali
In conclusione, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, nelle società di capitali – a differenza di quanto avviene per le società di persone, in cui trova spazio il principio della tassazione per trasparenza – il socio non ha diritto agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso formulata (Cassazione, sentenza 2959/1993).
Solo l’assenza di tale delibera rende indebita la ritenuta erroneamente versata su dividendi mai distribuiti, per carenza del presupposto impositivo, con conseguente diritto al successivo rimborso.
Inoltre, posto che gli utili sono parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota.
Ne discende, pertanto, come corollario, un ulteriore principio secondo cui “…è da escludere che al singolo socio competa, in tal caso, l’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2395 cod. civ., la quale presuppone invece l’esistenza di un danno subito dal medesimo socio direttamente, non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393 cod. civ., può chiedere il risarcimento all'amministratore" (Sez. 1^, Sentenza n. 10271 del 28/05/2004)” (Cassazione, sentenza 9295/2010).
Sulla base di tale assunto normativo, la Cassazione, nella sentenza n. 24262 del 18 novembre, ha precisato che, per suffragare la richiesta di rimborso dell’imposta erroneamente versata su dividendi non distribuiti, è necessario allegare copia del libro delle delibere assembleari, non essendo sufficiente produrre la sola dichiarazione reddituale, nella quale viene evidenziata la ritenuta operata.
I fatti di causa
Una società per azioni propone ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale che, nel confermare la pronuncia di primo grado, aveva rigettato l’appello della società contro il silenzio-rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso di somme versate a titolo di ritenute su dividendi, ai sensi dell’articolo 27 del Dpr 600/1973.
Secondo i giudici del gravame, la società non avrebbe debitamente adempiuto all’onere della prova – sulla stessa gravante – in ordine alla mancanza della causa debendi (indebito oggettivo), in quanto avrebbe allegato la dichiarazione dei redditi presentata quale sostituto di imposta anziché i libri delle assemblee sociali.
Il ricorso di legittimità si fonda su tre motivi.
Col primo, la ricorrente si lamenta del fatto che, avendo versato un’imposta indebita (in mancanza dell’effettiva distribuzione dei dividendi), sarebbe spettato all’Amministrazione finanziaria imputare il versamento ad altra imposta senza che la stessa fosse obbligata a dover dimostrare l’inesistenza del presupposto impositivo.
La seconda doglianza riguarda la violazione e falsa applicazione dell’articolo 27 del Dpr 600/1973, nonché dell’articolo 4 del Dpr 322/1988.
Tali norme, secondo la società, impongono, la prima l’obbligo del sostituto di imposta di operare la ritenuta sui dividendi distribuiti, la seconda di presentare la dichiarazione fiscale in cui viene evidenziato l’adempimento dell’obbligazione tributaria in esame.
Con l’ultimo motivo, la ricorrente contesta la decisione di appello laddove non è stata ritenuta valida, ai fini probatori, la dichiarazione prodotta (non contestata dal Fisco), dimenticando che la stessa rappresenta il solo mezzo idoneo a fini probatori.
La decisione della Cassazione
La Corte di piazza Cavour rigetta integralmente il ricorso.
Relativamente al primo motivo, i giudici di legittimità si allineano a un indirizzo interpretativo consolidato secondo cui, in tema di rimborsi, l’onere di provare la mancanza del presupposto impositivo spetta al richiedente (Cassazione, sentenze 3678 e 3680 del 2007; 19187/2006 e 8439/2004).
In ordine al secondo e al terzo motivo del ricorso, la Cassazione precisa, innanzitutto, che i fatti posti a fondamento della domanda di rimborso – ossia la ritenuta effettuata e la dichiarazione – non necessitano di prova in quanto non sono oggetto di contestazione tra le parti.
Nel merito, poi, i giudici ricordano che principio fondamentale, in tema di distribuzione dei dividendi nelle società di capitali – come stabilito dal richiamato articolo 2433 del codice civile – è “…quello che riserva all’assemblea, che approva il bilancio, di adottare la delibera della distribuzione degli utili ai soci”.
Ne consegue che, “…da un lato, l’approvazione del bilancio non determina in sé l’insorgere di un diritto individuale….di assegnazione agli azionisti della propria parte di utile e, dall’altro, resta sempre necessaria, a tal fine, l’ulteriore (e oggettivamente distinta) deliberazione assembleare” (Cassazione, sentenze 9295/2010, 2020/2008 e 10271/2004).
In altri termini, secondo l’arresto della Cassazione, non è sufficiente a provare il fatto costitutivo della richiesta di rimborso (ossia la decisione di non distribuire gli utili ai soci), la semplice dichiarazione fiscale della società “…in mancanza della produzione di documenti propriamente organizzativi quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari attinenti…”.
Osservazioni finali
In conclusione, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, nelle società di capitali – a differenza di quanto avviene per le società di persone, in cui trova spazio il principio della tassazione per trasparenza – il socio non ha diritto agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso formulata (Cassazione, sentenza 2959/1993).
Solo l’assenza di tale delibera rende indebita la ritenuta erroneamente versata su dividendi mai distribuiti, per carenza del presupposto impositivo, con conseguente diritto al successivo rimborso.
Inoltre, posto che gli utili sono parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota.
Ne discende, pertanto, come corollario, un ulteriore principio secondo cui “…è da escludere che al singolo socio competa, in tal caso, l’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2395 cod. civ., la quale presuppone invece l’esistenza di un danno subito dal medesimo socio direttamente, non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393 cod. civ., può chiedere il risarcimento all'amministratore" (Sez. 1^, Sentenza n. 10271 del 28/05/2004)” (Cassazione, sentenza 9295/2010).
Marco Denaro
pubblicato Lunedì 28 Novembre 2011
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