Non basta la semplice classificazione catastale del bene occorre dimostrarne l’inerenza con l’attività dell’azienda
Il contribuente deve provare, nell’esercizio dell’impresa, il carattere strumentale del bene. Se, infatti, a un immobile appartenente alla categoria D/7 (fabbricati per specifiche esigenze, non suscettibili di diversa destinazione d’uso senza radicali trasformazioni) è possibile riconoscere una strumentalità in astratto, ciò non significa implicitamente che lo stesso abbia una strumentalità in concreto. L’inerenza va dimostrata, tanto più quando il bene non è connesso direttamente con l’attività dell’azienda.
Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12999 del 4 giugno 2007.
Le ragioni della decisione
La Corte, diversamente da quanto sostenuto ritenuto dalla ricorrente (secondo cui non era tenuta a dimostrare la strumentalità dell’immobile, posto che lo stesso è strumentale per sua stessa natura, in quanto classificato in categoria catastale D/7, ossia tra gli immobili costruiti o acquistati per specifiche esigenze dell’impresa e non suscettibili di diversa destinazione d’uso senza radicali trasformazioni. Per la parte, trattandosi di un bene oggettivamente strumentale, è del tutto irrilevante la prova della strumentalità di esso rispetto all’attività dell’impresa, dal momento che il suddetto bene era stato inserito nel registro dei beni ammortizzabili e che esso, pertanto, non risultando peraltro mai essere stato dato in locazione o in comodato, non poteva essere assoggettato a imposizione in base ai valori catastali, bensì in base all’effettivo reddito prodotto nell’impresa), ritiene che la strumentalità del bene non può essere presunta, ma deve essere volta a volta provata, senza che sia ipotizzabile una categoria di beni “oggettivamente strumentali”, ovvero strumentali in re ipsa.
Infatti, la disposizione dell’articolo 40 del Tuir (nel testo applicabile ratione temporis), secondo la quale gli immobili appartenenti a imprese commerciali, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, costituiscono beni strumentali dell’impresa, anche se non sono utilizzati direttamente e sono dati in locazione o in comodato, "non va intesa come una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l'attività dell'azienda, giacché, anche nell'ipotesi disciplinata dalla disposizione in questione, occorre la prova della funzione strumentale del bene in relazione all'attività dell'azienda, e, solo nei casi in cui risulti altresì provata (e non solo affermata) l'insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata in rapporto strumentale con l'attività aziendale), è prevista la possibilità di prescindere (ai fini della ritenuta strumentalità del bene) dall'utilizzo diretto dello stesso da parte dell'azienda...".
Per la Corte di cassazione, quindi, nell’ipotesi in esame, dovrebbe parlarsi non di una strumentalità “oggettiva”, bensì di una strumentalità “astratta”, nel senso che "deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però in concreto prescindere dall'utilizzo diretto del bene, purché in presenza del presupposto dell'insuscettibilità di diversa destinazione".
Nota
Civilisticamente, per bene strumentale si intende quel bene atto a essere utilizzato (soggetto a usura e deperimento) ma non consumabile né distruggibile per effetto dell’utilizzazione.
La sentenza che si annota opera un chiaro distinguo tra strumentalità astratta e strumentalità concreta.
Se è possibile riconoscere a un bene classificato D/7 una strumentalità in astratto, ciò non può stare a significare – implicitamente – che quel bene abbia una strumentalità in concreto.
Occorre, quindi, provare, nell’esercizio dell’impresa, l’inerenza del bene, tanto più quando i beni non sono connessi direttamente (o lo sono solo incidentalmente) con l’attività dell’impresa.
Il carattere strumentale concreto dovrà quindi essere provato dal contribuente, indipendentemente dalla rappresentazione contabile fatta dall’impresa.
Sul punto, la stessa Cassazione - sentenza n. 3419/1992 - aveva già avuto modo di affermare che l’individuazione dei beni in concreto inerenti all’esercizio dell’impresa può porre, tuttavia, difficoltà di accertamento per i beni suscettibili di utilizzazione indifferenziata, poiché non connessi direttamente con l’attività specifica oggetto dell’impresa. In questi casi, poiché la valutazione non può essere stabilita in astratto (se non per verificarne la mera compatibilità con l’oggetto dell’impresa), l’utilizzazione specifica ovvero la destinazione dei beni alle finalità dell’impresa deve essere verificata caso per caso, in base alle prove offerte da chi alleghi la deducibilità.
Pertanto, quando, come nella fattispecie, sia contestata l’inerenza all’impresa del bene acquistato, spetterà al contribuente provare, in applicazione della regola generale posta dall’articolo 2697 cc, il fatto giuridico da cui discende il suo preteso diritto e, quindi, gli elementi necessari per il suo esercizio, e cioè deve dimostrare l’esistenza di tutti gli elementi e requisiti che per legge occorrono perché si abbia il fatto giuridico idoneo a produrre il diritto preteso.
Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12999 del 4 giugno 2007.
Le ragioni della decisione
La Corte, diversamente da quanto sostenuto ritenuto dalla ricorrente (secondo cui non era tenuta a dimostrare la strumentalità dell’immobile, posto che lo stesso è strumentale per sua stessa natura, in quanto classificato in categoria catastale D/7, ossia tra gli immobili costruiti o acquistati per specifiche esigenze dell’impresa e non suscettibili di diversa destinazione d’uso senza radicali trasformazioni. Per la parte, trattandosi di un bene oggettivamente strumentale, è del tutto irrilevante la prova della strumentalità di esso rispetto all’attività dell’impresa, dal momento che il suddetto bene era stato inserito nel registro dei beni ammortizzabili e che esso, pertanto, non risultando peraltro mai essere stato dato in locazione o in comodato, non poteva essere assoggettato a imposizione in base ai valori catastali, bensì in base all’effettivo reddito prodotto nell’impresa), ritiene che la strumentalità del bene non può essere presunta, ma deve essere volta a volta provata, senza che sia ipotizzabile una categoria di beni “oggettivamente strumentali”, ovvero strumentali in re ipsa.
Infatti, la disposizione dell’articolo 40 del Tuir (nel testo applicabile ratione temporis), secondo la quale gli immobili appartenenti a imprese commerciali, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, costituiscono beni strumentali dell’impresa, anche se non sono utilizzati direttamente e sono dati in locazione o in comodato, "non va intesa come una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l'attività dell'azienda, giacché, anche nell'ipotesi disciplinata dalla disposizione in questione, occorre la prova della funzione strumentale del bene in relazione all'attività dell'azienda, e, solo nei casi in cui risulti altresì provata (e non solo affermata) l'insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata in rapporto strumentale con l'attività aziendale), è prevista la possibilità di prescindere (ai fini della ritenuta strumentalità del bene) dall'utilizzo diretto dello stesso da parte dell'azienda...".
Per la Corte di cassazione, quindi, nell’ipotesi in esame, dovrebbe parlarsi non di una strumentalità “oggettiva”, bensì di una strumentalità “astratta”, nel senso che "deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però in concreto prescindere dall'utilizzo diretto del bene, purché in presenza del presupposto dell'insuscettibilità di diversa destinazione".
Nota
Civilisticamente, per bene strumentale si intende quel bene atto a essere utilizzato (soggetto a usura e deperimento) ma non consumabile né distruggibile per effetto dell’utilizzazione.
La sentenza che si annota opera un chiaro distinguo tra strumentalità astratta e strumentalità concreta.
Se è possibile riconoscere a un bene classificato D/7 una strumentalità in astratto, ciò non può stare a significare – implicitamente – che quel bene abbia una strumentalità in concreto.
Occorre, quindi, provare, nell’esercizio dell’impresa, l’inerenza del bene, tanto più quando i beni non sono connessi direttamente (o lo sono solo incidentalmente) con l’attività dell’impresa.
Il carattere strumentale concreto dovrà quindi essere provato dal contribuente, indipendentemente dalla rappresentazione contabile fatta dall’impresa.
Sul punto, la stessa Cassazione - sentenza n. 3419/1992 - aveva già avuto modo di affermare che l’individuazione dei beni in concreto inerenti all’esercizio dell’impresa può porre, tuttavia, difficoltà di accertamento per i beni suscettibili di utilizzazione indifferenziata, poiché non connessi direttamente con l’attività specifica oggetto dell’impresa. In questi casi, poiché la valutazione non può essere stabilita in astratto (se non per verificarne la mera compatibilità con l’oggetto dell’impresa), l’utilizzazione specifica ovvero la destinazione dei beni alle finalità dell’impresa deve essere verificata caso per caso, in base alle prove offerte da chi alleghi la deducibilità.
Pertanto, quando, come nella fattispecie, sia contestata l’inerenza all’impresa del bene acquistato, spetterà al contribuente provare, in applicazione della regola generale posta dall’articolo 2697 cc, il fatto giuridico da cui discende il suo preteso diritto e, quindi, gli elementi necessari per il suo esercizio, e cioè deve dimostrare l’esistenza di tutti gli elementi e requisiti che per legge occorrono perché si abbia il fatto giuridico idoneo a produrre il diritto preteso.
Gianfranco Antico
pubblicato Mercoledì 1 Agosto 2007
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