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Verso la riforma del Catasto: oltre alla rendita conterà il valore patrimoniale
Un documento del Ministero dell’Economia delinea i cinque criteri della riforma, che prevede anche il superamento del sistema a classi e categorie
Si va verso la riforma del Catasto, attraverso l’adeguamento delle rendite agli attuali valori di mercato (3,73 volte più alti) e – stando alle indiscrezioni – con un parallelo abbassamento delle aliquote per compensare l’incremento della base imponibile.
È quanto prevede un documento in cinque punti predisposto dal Ministero dell’Economia, che riprenderebbe così le fila di un progetto già tentato nel 2006 dal Governo Prodi, e in seguito abbandonato a causa della prematura fine dell’Esecutivo.
La riforma dovrebbe seguire cinque criteri. Stando al documento, in primo luogo, il Catasto dovrà tenere in considerazione il valore patrimoniale del bene, oltre alla rendita (“ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene”), così da garantire “una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione”.
In secondo luogo, dovrà essere rideterminata la classificazione dei beni immobiliari, non più coerente con la realtà. Il documento propone l’esempio delle abitazioni classificate come A4 (popolari) e tali rimaste nel tempo, “anche se oggi, essendo ubicate in zone centrali, il loro valore è di fatto più elevato di edifici di civile abitazione (A2) ubicati in zone semicentrali o, addirittura, periferiche”.
Verrà dunque rimeditata l’odierna suddivisione, che per le abitazioni conta 11 categorie. Il terzo criterio della riforma prevede, anzi, il superamento di categorie e classi per gli immobili ordinari, sostituiti da un sistema di natura statistica che coniugherà valore del bene (o reddito alla localizzazione) e caratteristiche edilizie. I metodi di stima diretta (quinto criterio) verranno invece riqualificati relativamente agli immobili speciali.
La necessità di un adeguamento è stata messa in luce, poche settimane fa, dall’ultimo rapporto dell’Agenzia del Territorio, secondo cui l’attuale valore di mercato (stimato) per le abitazioni supera la base imponibile ICI di 3,73 volte; ai fini IRPEF, invece, il rapporto oscilla fra il 3,59 (prime case) e il 3,85 (seconde case); infine, i canoni di locazione sono 6,46 volte più alti di quelli delle rendite catastali.
Un divario notevole, dovuto in parte al fatto che le rendite catastali sono pressoché ferme da vent’anni. Anche il sistema a categorie e classi, mai compiutamente aggiornato (se si eccettuano le singole comunicazioni in occasione di variazioni edilizie o il riclassamento di alcune micro-zone da parte dei Comuni), è diventato obsoleto e causa di iniquità.
Se l’obiettivo, dunque, sarà quello di aggiornare le rendite e riequilibrare gli estimi nelle grandi città, fra centro e periferie, l’operazione potrebbe portare vantaggi anche per le Casse statali, in particolare nell’ambito delle compravendite. A grandi linee i contenuti della riforma sono già stati tracciati e il nuovo provvedimento non dovrebbe farsi attendere a lungo.
/ REDAZIONE
È quanto prevede un documento in cinque punti predisposto dal Ministero dell’Economia, che riprenderebbe così le fila di un progetto già tentato nel 2006 dal Governo Prodi, e in seguito abbandonato a causa della prematura fine dell’Esecutivo.
La riforma dovrebbe seguire cinque criteri. Stando al documento, in primo luogo, il Catasto dovrà tenere in considerazione il valore patrimoniale del bene, oltre alla rendita (“ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene”), così da garantire “una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione”.
In secondo luogo, dovrà essere rideterminata la classificazione dei beni immobiliari, non più coerente con la realtà. Il documento propone l’esempio delle abitazioni classificate come A4 (popolari) e tali rimaste nel tempo, “anche se oggi, essendo ubicate in zone centrali, il loro valore è di fatto più elevato di edifici di civile abitazione (A2) ubicati in zone semicentrali o, addirittura, periferiche”.
Verrà dunque rimeditata l’odierna suddivisione, che per le abitazioni conta 11 categorie. Il terzo criterio della riforma prevede, anzi, il superamento di categorie e classi per gli immobili ordinari, sostituiti da un sistema di natura statistica che coniugherà valore del bene (o reddito alla localizzazione) e caratteristiche edilizie. I metodi di stima diretta (quinto criterio) verranno invece riqualificati relativamente agli immobili speciali.
Metri quadrati e non vani per misurare la consistenza ai fini fiscali
Ulteriore rilevante novità, contenuta nel quarto punto del documento, riguarda l’adozione del criterio di superficie in metri quadrati quale unità di misura per valutare la “consistenza” di abitazioni e uffici ai fini fiscali, al posto del “vano”.La necessità di un adeguamento è stata messa in luce, poche settimane fa, dall’ultimo rapporto dell’Agenzia del Territorio, secondo cui l’attuale valore di mercato (stimato) per le abitazioni supera la base imponibile ICI di 3,73 volte; ai fini IRPEF, invece, il rapporto oscilla fra il 3,59 (prime case) e il 3,85 (seconde case); infine, i canoni di locazione sono 6,46 volte più alti di quelli delle rendite catastali.
Un divario notevole, dovuto in parte al fatto che le rendite catastali sono pressoché ferme da vent’anni. Anche il sistema a categorie e classi, mai compiutamente aggiornato (se si eccettuano le singole comunicazioni in occasione di variazioni edilizie o il riclassamento di alcune micro-zone da parte dei Comuni), è diventato obsoleto e causa di iniquità.
Se l’obiettivo, dunque, sarà quello di aggiornare le rendite e riequilibrare gli estimi nelle grandi città, fra centro e periferie, l’operazione potrebbe portare vantaggi anche per le Casse statali, in particolare nell’ambito delle compravendite. A grandi linee i contenuti della riforma sono già stati tracciati e il nuovo provvedimento non dovrebbe farsi attendere a lungo.
/ REDAZIONE
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