Accertamento
Il contratto simulato evita l’accertamento sintetico
Per la Regionale di Roma, non indica una reale disponibiltà economica suscettibile di valutazione a fini fiscali
L’acquisto di quote sociali dell’azienda del marito da parte della moglie non è manifestazione di capacità contributiva di quest’ultima, tale da consentire l’accertamento sintetico nei suoi confronti, se l’acquisto di quote è in realtà un contratto simulato tra i coniugi, a fronte del quale non vi è stato alcun trasferimento finanziario da un soggetto all’altro. Lo ha stabilito la C.T. Reg. di Roma, con la sentenza del 11 ottobre 2011 n. 237.
Dai fatti di causa emerge che nel 2005, con atto pubblico di cessione di quote sociali, il marito aveva ceduto alla moglie le quote della sua azienda agricola, per un controvalore in atto di oltre un milione e mezzo di euro. L’Agenzia delle Entrate accertava sinteticamente il reddito della contribuente, sulla base dell’incremento patrimoniale costituito dall’acquisto di tali quote sociali dal marito. A tal fine, in applicazione dell’art. 38, comma 5, del DPR 600/1973 (nella formulazione ante DL 78/2010), l’Ufficio ripartiva la spesa per tale incremento patrimoniale nell’anno di sostenimento della stessa (il 2005) e nei quattro precedenti, emettendo un avviso di accertamento per ogni periodo d’imposta.
A seguito del respingimento dei ricorsi da parte dei primi giudici, proponeva appello la contribuente, eccependo che la cessione di quote sociali era un contratto simulato, perché, contestualmente ad esso, era anche stata sottoscritta dalla moglie una procura notarile rilasciata al marito per vendere, fissare ed incassare il prezzo e per compiere qualsiasi atto di disposizioni e godimento sulle quote sociali in oggetto. Insomma, la compravendita era simulata e nessun passaggio di denaro vi era stato tra i coniugi, risultando così che la moglie accertata non aveva sborsato alcuna somma per l’acquisto delle predette quote sociali, che, di fatto, erano rimaste nella disponibilità del marito, attesa l’ampia procura a questi rilasciata dalla moglie.
Ciò era anche confermato dalla documentazione allegata dalla ricorrente da cui si evinceva che il marito, anche in epoca successiva alla compravendita, aveva continuato a finanziare in prima persona l’azienda agricola, di cui aveva soltanto formalmente ceduto le quote alla moglie (la motivazione di tale simulazione, peraltro, non emerge dal contenuto della sentenza).
I giudici regionali, preso atto della procura irrevocabile al marito, nonché dei finanziamenti da questo effettuati all’azienda agricola anche successivamente alla fittizia vendita e infine degli estratti conto dei rapporti bancari esibiti dai coniugi, dai quali non si desumeva alcun movimento finanziario, hanno stabilito che il contratto di acquisto di quote sociali, su cui l’Amministrazione finanziaria aveva basato gli accertamenti sintetici, era simulato e, quindi, non espressione di una reale capacità contributiva della contribuente che, nella sostanza, non aveva così incrementato il suo patrimonio. Secondo la C.T. Reg., la simulazione del contratto, benché inopponibile ai terzi come negozio giuridico produttivo di conseguenze sostanziali fra i contraenti ex art. 1415 c.c., è invece utilizzabile quale mezzo di prova ai fini fiscali.
In conclusione, i giudici del riesame hanno stabilito che la contribuente aveva così fornito la prova contraria agli accertamenti sintetici emessi dal Fisco, giacché tale compravendita di quote sociali era stata posta in essere al sol fine - dichiarato dalla moglie - di regolare i rapporti familiari e, quindi, l’acquisto da parte sua era avvenuto come prestanome del marito che aveva continuato a gestire le quote sociali in oggetto. Non vi era stato, pertanto, un incremento patrimoniale e neppure una manifestazione di capacità contributiva. L’Amministrazione finanziaria, secondo i giudici regionali, si era soffermata al dato formale dell’atto di acquisto, senza dar peso alle giustificazioni già addotte dalla contribuente in sede amministrativa. Gli atti impositivi, pertanto, sono stati annullati.
Tale decisione trova un autorevole sostegno nella pronuncia n. 5991/2006, con cui la Cassazione ha stabilito, in un caso analogo di contratto di acquisto simulato, che il pagamento del prezzo non era avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denotava una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, costituiva una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (cfr. Cassazione n. 8665/2002).
È appena il caso di osservare, infine, che tale decisum tornerebbe utilizzabile anche nell’ipotesi di accertamento sintetico ai sensi del nuovo art. 38 del DPR 600/1973, riformato dall’art. 22 del DL 78/2010, giacché la nuova formulazione del testo di legge consente l’accertamento sulla base di qualsiasi spesa sostenuta, con inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente. Rispetto alla precedente versione dello strumento, però, la spesa per incrementi patrimoniali non si presume più finanziata con i redditi dell’anno in cui è stata sostenuta e nei quattro precedenti, ma l’intero ammontare si imputa integralmente all’anno di sostenimento, salvo diversa prova da parte del contribuente.
/ Alessandro BORGOGLIO
Dai fatti di causa emerge che nel 2005, con atto pubblico di cessione di quote sociali, il marito aveva ceduto alla moglie le quote della sua azienda agricola, per un controvalore in atto di oltre un milione e mezzo di euro. L’Agenzia delle Entrate accertava sinteticamente il reddito della contribuente, sulla base dell’incremento patrimoniale costituito dall’acquisto di tali quote sociali dal marito. A tal fine, in applicazione dell’art. 38, comma 5, del DPR 600/1973 (nella formulazione ante DL 78/2010), l’Ufficio ripartiva la spesa per tale incremento patrimoniale nell’anno di sostenimento della stessa (il 2005) e nei quattro precedenti, emettendo un avviso di accertamento per ogni periodo d’imposta.
A seguito del respingimento dei ricorsi da parte dei primi giudici, proponeva appello la contribuente, eccependo che la cessione di quote sociali era un contratto simulato, perché, contestualmente ad esso, era anche stata sottoscritta dalla moglie una procura notarile rilasciata al marito per vendere, fissare ed incassare il prezzo e per compiere qualsiasi atto di disposizioni e godimento sulle quote sociali in oggetto. Insomma, la compravendita era simulata e nessun passaggio di denaro vi era stato tra i coniugi, risultando così che la moglie accertata non aveva sborsato alcuna somma per l’acquisto delle predette quote sociali, che, di fatto, erano rimaste nella disponibilità del marito, attesa l’ampia procura a questi rilasciata dalla moglie.
Ciò era anche confermato dalla documentazione allegata dalla ricorrente da cui si evinceva che il marito, anche in epoca successiva alla compravendita, aveva continuato a finanziare in prima persona l’azienda agricola, di cui aveva soltanto formalmente ceduto le quote alla moglie (la motivazione di tale simulazione, peraltro, non emerge dal contenuto della sentenza).
I giudici regionali, preso atto della procura irrevocabile al marito, nonché dei finanziamenti da questo effettuati all’azienda agricola anche successivamente alla fittizia vendita e infine degli estratti conto dei rapporti bancari esibiti dai coniugi, dai quali non si desumeva alcun movimento finanziario, hanno stabilito che il contratto di acquisto di quote sociali, su cui l’Amministrazione finanziaria aveva basato gli accertamenti sintetici, era simulato e, quindi, non espressione di una reale capacità contributiva della contribuente che, nella sostanza, non aveva così incrementato il suo patrimonio. Secondo la C.T. Reg., la simulazione del contratto, benché inopponibile ai terzi come negozio giuridico produttivo di conseguenze sostanziali fra i contraenti ex art. 1415 c.c., è invece utilizzabile quale mezzo di prova ai fini fiscali.
In conclusione, i giudici del riesame hanno stabilito che la contribuente aveva così fornito la prova contraria agli accertamenti sintetici emessi dal Fisco, giacché tale compravendita di quote sociali era stata posta in essere al sol fine - dichiarato dalla moglie - di regolare i rapporti familiari e, quindi, l’acquisto da parte sua era avvenuto come prestanome del marito che aveva continuato a gestire le quote sociali in oggetto. Non vi era stato, pertanto, un incremento patrimoniale e neppure una manifestazione di capacità contributiva. L’Amministrazione finanziaria, secondo i giudici regionali, si era soffermata al dato formale dell’atto di acquisto, senza dar peso alle giustificazioni già addotte dalla contribuente in sede amministrativa. Gli atti impositivi, pertanto, sono stati annullati.
Tale decisione trova un autorevole sostegno nella pronuncia n. 5991/2006, con cui la Cassazione ha stabilito, in un caso analogo di contratto di acquisto simulato, che il pagamento del prezzo non era avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denotava una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, costituiva una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (cfr. Cassazione n. 8665/2002).
È appena il caso di osservare, infine, che tale decisum tornerebbe utilizzabile anche nell’ipotesi di accertamento sintetico ai sensi del nuovo art. 38 del DPR 600/1973, riformato dall’art. 22 del DL 78/2010, giacché la nuova formulazione del testo di legge consente l’accertamento sulla base di qualsiasi spesa sostenuta, con inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente. Rispetto alla precedente versione dello strumento, però, la spesa per incrementi patrimoniali non si presume più finanziata con i redditi dell’anno in cui è stata sostenuta e nei quattro precedenti, ma l’intero ammontare si imputa integralmente all’anno di sostenimento, salvo diversa prova da parte del contribuente.
/ Alessandro BORGOGLIO
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