tributi locali
Enti ecclesiastici: niente esenzione ICI se l’attività è commerciale
La Cassazione ribadisce che gli immobili degli enti religiosi sono esenti dall’imposta solo se dimostrano di non esercitare tale tipo di attività
Affinché gli enti ecclesiastici possano beneficiare dell’esenzione dall’ICI prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i) del DLgs. n. 504/1992 non è sufficiente che i loro responsabili certifichino di svolgere le attività che giustificano il diritto al beneficio, ma devono dimostrare che negli immobili non vengono concretamente svolte attività commerciali.
Lo ribadisce la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23314 – Sezione Tributaria – depositata il 9 novembre scorso.
L’attestazione “a priori” del tipo di attività cui l’immobile è destinato, secondo gli Ermellini, non è sufficiente e nemmeno può essere “scaricato” l’onere di dimostrare l’effettiva attività esercitata all’Amministrazione comunale.
Nella fattispecie considerata, i giudici hanno sostenuto la tesi del Comune di Canobbio sul Lago Maggiore avverso un Monastero.
Tornando alla disposizione contenuta nella sopracitata lettera i) del Decreto ICI, la Cassazione ha ribadito che, per beneficiare dell’esenzione, occorre la compresenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo: il primo riguardante il profilo del soggetto che utilizza il fabbricato, il secondo relativo all’attività effettivamente svolta nell’immobile (sul punto numerosi chiarimenti sono stati forniti dalla circolare 26 gennaio 2009 n. 2/DF).
Quanto al primo aspetto, dall’art. 7, comma 1, lett. i) si evince che, ai fini dell’esenzione dall’ICI, l’immobile deve essere utilizzato da un soggetto di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) del TUIR. La disposizione richiamata riguarda gli enti non commerciali residenti in Italia, o meglio, “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali” (precisazioni ed esemplificazioni sono state fornite dalla citata circ. 2/2009/DF).
Quanto al requisito oggettivo, gli immobili utilizzati dall’ente commerciale, ai fini dell’esenzione, devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, indicate dall’art. 16, lett. a) della L. 20 maggio 1985 n. 222. Si tratta delle attività di religione e di culto, per tali intendendosi “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.
Dato che l’art. 7, comma 1, lett. i) del DLgs. n. 504/1992 costituisce una disposizione di carattere eccezionale, che non può costituire oggetto di interpretazione analogica, l’elenco delle attività istituzionali “no profit” cui l’ente non commerciale deve di fatto destinare l’immobile è da intendersi come tassativo (cfr. Cass. 13 marzo 2009 n. 6101).
In aggiunta, la Corte di Cassazione ha più volte sostenuto che “la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. 23314/2011, n. 5485/2008, n. 23703/2007 e n. 20776/2005).
/ Arianna ZENI
Lo ribadisce la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23314 – Sezione Tributaria – depositata il 9 novembre scorso.
L’attestazione “a priori” del tipo di attività cui l’immobile è destinato, secondo gli Ermellini, non è sufficiente e nemmeno può essere “scaricato” l’onere di dimostrare l’effettiva attività esercitata all’Amministrazione comunale.
Nella fattispecie considerata, i giudici hanno sostenuto la tesi del Comune di Canobbio sul Lago Maggiore avverso un Monastero.
Tornando alla disposizione contenuta nella sopracitata lettera i) del Decreto ICI, la Cassazione ha ribadito che, per beneficiare dell’esenzione, occorre la compresenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo: il primo riguardante il profilo del soggetto che utilizza il fabbricato, il secondo relativo all’attività effettivamente svolta nell’immobile (sul punto numerosi chiarimenti sono stati forniti dalla circolare 26 gennaio 2009 n. 2/DF).
Quanto al primo aspetto, dall’art. 7, comma 1, lett. i) si evince che, ai fini dell’esenzione dall’ICI, l’immobile deve essere utilizzato da un soggetto di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) del TUIR. La disposizione richiamata riguarda gli enti non commerciali residenti in Italia, o meglio, “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali” (precisazioni ed esemplificazioni sono state fornite dalla citata circ. 2/2009/DF).
Quanto al requisito oggettivo, gli immobili utilizzati dall’ente commerciale, ai fini dell’esenzione, devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, indicate dall’art. 16, lett. a) della L. 20 maggio 1985 n. 222. Si tratta delle attività di religione e di culto, per tali intendendosi “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.
Dato che l’art. 7, comma 1, lett. i) del DLgs. n. 504/1992 costituisce una disposizione di carattere eccezionale, che non può costituire oggetto di interpretazione analogica, l’elenco delle attività istituzionali “no profit” cui l’ente non commerciale deve di fatto destinare l’immobile è da intendersi come tassativo (cfr. Cass. 13 marzo 2009 n. 6101).
Rilevanza dell’attività svolta
In conclusione, ai fini dell’esenzione ICI, non rileva l’attività indicata nello statuto dell’ente non commerciale, bensì quella effettivamente svolta nell’immobile (in tal senso la circ. 2/2009/DF. Cfr. inoltre Cass. 29 febbraio 2008 n. 5485 e Cass. 13 marzo 2009 n. 6101).In aggiunta, la Corte di Cassazione ha più volte sostenuto che “la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. 23314/2011, n. 5485/2008, n. 23703/2007 e n. 20776/2005).
/ Arianna ZENI
Nessun commento:
Posta un commento