reddito d'impresa
Deducibili per competenza i compensi alla società nominata amministratore
Secondo l’AIDC, non si applica la deducibilità per cassa perché non si tratta di una prestazione di lavoro
La società amministrata da una società commerciale, a fronte della prestazione di servizi svolta da quest’ultima eroga un compenso deducibile per competenza, secondo il disposto dell’art. 109, comma 1 del TUIR.
È questa l’impostazione contenuta nella norma di comportamento AIDC n. 182/2011, la quale spiega che, nel caso di specie, non può trovare applicazione il disposto dell’art. 95, comma 5 del TUIR, che disciplina, tra le altre, la regola della deducibilità per cassa dei compensi spettanti agli amministratori, in quanto la sua applicabilità deve essere limitata all’ambito oggettivo trattato dall’articolo, ossia alle spese per prestazioni di lavoro.
Nel caso in esame, si tratterebbe invece di spese sostenute a seguito di un servizio erogato da un soggetto che svolge attività di impresa.
Inoltre, afferma l’Associazione, la disposizione dell’art. 95, comma 5 del TUIR detta una deroga esplicita al criterio generale previsto nel reddito d’impresa, secondo cui i componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nel periodo di competenza. La stessa è stata introdotta al fine di evitare che i diversi principi (competenza e cassa), che normalmente sottostanno alla determinazione del reddito del soggetto “erogatore” (la società) e del soggetto percipiente (l’amministratore persona fisica), generino una divergenza tra periodo di deduzione in capo all’erogante e di tassazione in capo al percipiente. Al contrario, nel caso di specie, la società residente che percepisce un compenso di tale natura, determina il proprio reddito imponibile in base al criterio di competenza e pertanto, se si applicasse l’art. 95, comma 5 del TUIR, in capo all’erogante, si giungerebbe ad un risultato opposto a quello per cui la nomina è stata introdotta.
In realtà, come si evince dalla dottrina, l’intervenuta modifica risponde non tanto all’esigenza di assicurare una corrispondenza tra il periodo d’imposta in cui la società deduce il costo e quello in cui l’amministratore (di solito socio di riferimento) assoggetta a tassazione il compenso, bensì ad esigenze di “cautela fiscale”. Qualora, infatti, si adottasse il criterio di competenza, la società potrebbe stanziare a bilancio il costo dell’amministratore persona fisica senza mai sostenerlo; di converso, per quest’ultimo non si configurerebbe mai alcun reddito, in quanto vigerebbe il principio di cassa.
In epoca successiva, l’amministratore socio in argomento potrebbe rinunciare al credito e, di conseguenza, in capo alla società si configurerebbe una sopravvenienza non imponibile in base al disposto dell’art. 88, comma 4 del TUIR, a fronte della quale i costi assumerebbero carattere “definitivo”.
Tuttavia, nel caso di società commerciale nominata amministratore di un’altra società commerciale controllata, lo schema elusivo sopraevidenziato non potrebbe verificarsi se entrambi i soggetti applicano il principio della competenza.
Sul punto, quindi, sarebbero opportuni dei chiarimenti di fonte ministeriale che precisino la natura della norma di cui all’art. 95, comma 5 del TUIR e risolvano il problema dell’asimmetria che si vericherebbe nel caso in cui non venisse seguita l’impostazione dell’AIDC e vi fosse la tassazione per competenza da parte del percipiente e la tassazione per cassa da parte del soggetto erogatore.
Più semplice è invece la questione delle ritenute, le quali si operano a seconda della tipologia di reddito prodotta dal percettore.
Il compenso corrisposto a una società residente in Italia o ad una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente non è soggetto alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 24, comma 1-ter e art. 25 del DPR 600/73, essendo tale ritenuta applicabile solo ai redditi di cui all’art. 50, comma 1, lett. c-bis) e all’art. 53 del TUIR e non ai redditi di impresa. Il compenso corrisposto ad una società non residente senza stabile organizzazione in Italia è da qualificarsi nella fattispecie di cui all’art. 23 co. 1 lett. e) del TUIR e, pertanto, ai sensi dell’art. 25, comma 2 2 del DPR 600/73, è soggetto a ritenuta a titolo d’imposta del 30%, salvo diversa misura stabilita dalla Convenzione contro le doppie imposizioni, ove applicabile.
/ Salvatore SANNA
È questa l’impostazione contenuta nella norma di comportamento AIDC n. 182/2011, la quale spiega che, nel caso di specie, non può trovare applicazione il disposto dell’art. 95, comma 5 del TUIR, che disciplina, tra le altre, la regola della deducibilità per cassa dei compensi spettanti agli amministratori, in quanto la sua applicabilità deve essere limitata all’ambito oggettivo trattato dall’articolo, ossia alle spese per prestazioni di lavoro.
Nel caso in esame, si tratterebbe invece di spese sostenute a seguito di un servizio erogato da un soggetto che svolge attività di impresa.
Inoltre, afferma l’Associazione, la disposizione dell’art. 95, comma 5 del TUIR detta una deroga esplicita al criterio generale previsto nel reddito d’impresa, secondo cui i componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nel periodo di competenza. La stessa è stata introdotta al fine di evitare che i diversi principi (competenza e cassa), che normalmente sottostanno alla determinazione del reddito del soggetto “erogatore” (la società) e del soggetto percipiente (l’amministratore persona fisica), generino una divergenza tra periodo di deduzione in capo all’erogante e di tassazione in capo al percipiente. Al contrario, nel caso di specie, la società residente che percepisce un compenso di tale natura, determina il proprio reddito imponibile in base al criterio di competenza e pertanto, se si applicasse l’art. 95, comma 5 del TUIR, in capo all’erogante, si giungerebbe ad un risultato opposto a quello per cui la nomina è stata introdotta.
La ratio della norma porterebbe ad un’asimmetria
In merito, si osserva il criterio di deducibilità per “cassa” dei compensi agli amministratori è stato introdotto dall’art. 14, comma, 3 lett. e) della L. 537/93, il quale ha modificato il previgente sistema, in cui la società deduceva i compensi per “competenza” e, quindi, in un momento eventualmente anteriore sia all’erogazione degli stessi sia alla loro tassazione in capo ai percettori.In realtà, come si evince dalla dottrina, l’intervenuta modifica risponde non tanto all’esigenza di assicurare una corrispondenza tra il periodo d’imposta in cui la società deduce il costo e quello in cui l’amministratore (di solito socio di riferimento) assoggetta a tassazione il compenso, bensì ad esigenze di “cautela fiscale”. Qualora, infatti, si adottasse il criterio di competenza, la società potrebbe stanziare a bilancio il costo dell’amministratore persona fisica senza mai sostenerlo; di converso, per quest’ultimo non si configurerebbe mai alcun reddito, in quanto vigerebbe il principio di cassa.
In epoca successiva, l’amministratore socio in argomento potrebbe rinunciare al credito e, di conseguenza, in capo alla società si configurerebbe una sopravvenienza non imponibile in base al disposto dell’art. 88, comma 4 del TUIR, a fronte della quale i costi assumerebbero carattere “definitivo”.
Tuttavia, nel caso di società commerciale nominata amministratore di un’altra società commerciale controllata, lo schema elusivo sopraevidenziato non potrebbe verificarsi se entrambi i soggetti applicano il principio della competenza.
Sul punto, quindi, sarebbero opportuni dei chiarimenti di fonte ministeriale che precisino la natura della norma di cui all’art. 95, comma 5 del TUIR e risolvano il problema dell’asimmetria che si vericherebbe nel caso in cui non venisse seguita l’impostazione dell’AIDC e vi fosse la tassazione per competenza da parte del percipiente e la tassazione per cassa da parte del soggetto erogatore.
Più semplice è invece la questione delle ritenute, le quali si operano a seconda della tipologia di reddito prodotta dal percettore.
Il compenso corrisposto a una società residente in Italia o ad una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente non è soggetto alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 24, comma 1-ter e art. 25 del DPR 600/73, essendo tale ritenuta applicabile solo ai redditi di cui all’art. 50, comma 1, lett. c-bis) e all’art. 53 del TUIR e non ai redditi di impresa. Il compenso corrisposto ad una società non residente senza stabile organizzazione in Italia è da qualificarsi nella fattispecie di cui all’art. 23 co. 1 lett. e) del TUIR e, pertanto, ai sensi dell’art. 25, comma 2 2 del DPR 600/73, è soggetto a ritenuta a titolo d’imposta del 30%, salvo diversa misura stabilita dalla Convenzione contro le doppie imposizioni, ove applicabile.
/ Salvatore SANNA
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