diritto comunitario
Le agevolazioni per la quotazione in Borsa sono aiuti di Stato
La Corte di giustizia dell’Unione europea boccia in modo definitivo le agevolazioni previste dal DL 269/2003
/ Venerdì 25 novembre 2011
Con la sentenza resa in data 24 novembre 2011 relativamente alla causa C-458/09, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto in via definitiva la natura di aiuti di Stato delle agevolazioni previste dal DL 269/2003 per la quotazione in Borsa delle società.
Gli incentivi in questione si sostanziavano:
- sotto un primo profilo, nella detassazione delle spese sostenute per la quotazione in un mercato regolamentato (in aggiunta alla normale deducibilità degli stessi costi dal reddito d’impresa);
- nella riduzione al 20% dell’aliquota IRPEG per il periodo d’imposta di ammissione alla quotazione e per i due successivi, se la quotazione stessa fosse avvenuta tra il 2 ottobre 2003 e il 31 dicembre 2004.
La Corte di giustizia ha confermato in toto le decisioni assunte il 4 settembre 2009 dalla sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, respingendo il ricorso dell’Italia con condanna alle spese. Gli incentivi per la quotazione in Borsa, secondo la Corte, si configurano quali aiuti selettivi, suscettibili di derogare al normale funzionamento del sistema della concorrenza a livello comunitario.
Il carattere selettivo delle agevolazioni è stato, in particolare, riconosciuto:
- in primo luogo, per il fatto che i beneficiari erano le sole società che provvedevano alla quotazione in un ristretto arco temporale (quindici mesi);
- in secondo luogo, a seguito della considerazione per cui le imprese italiane avrebbero avuto un beneficio maggiore, essendo l’aliquota IRPEG ridotta applicata sul reddito ovunque prodotto (mentre per le imprese estere l’agevolazione – pur riconosciuta – era chiaramente limitata al reddito prodotto in Italia, secondo le regole generali di territorialità previste per le imposte sui redditi).
La Corte di giustizia ha poi incidentalmente rilevato che la deducibilità “aggiuntiva” dei costi collegati alla quotazione rientra tra i cosiddetti “aiuti al funzionamento”, in quanto i suddetti costi non sono finalizzati a incrementare la dotazione patrimoniale delle società beneficiarie, ma hanno natura di costi collegati al reperimento del capitale; di conseguenza, anche per questa agevolazione è stato accertato il carattere selettivo, con conseguente riconoscimento della natura di aiuto di Stato vietato dall’ordinamento comunitario.
Gli incentivi in questione si sostanziavano:
- sotto un primo profilo, nella detassazione delle spese sostenute per la quotazione in un mercato regolamentato (in aggiunta alla normale deducibilità degli stessi costi dal reddito d’impresa);
- nella riduzione al 20% dell’aliquota IRPEG per il periodo d’imposta di ammissione alla quotazione e per i due successivi, se la quotazione stessa fosse avvenuta tra il 2 ottobre 2003 e il 31 dicembre 2004.
La Corte di giustizia ha confermato in toto le decisioni assunte il 4 settembre 2009 dalla sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, respingendo il ricorso dell’Italia con condanna alle spese. Gli incentivi per la quotazione in Borsa, secondo la Corte, si configurano quali aiuti selettivi, suscettibili di derogare al normale funzionamento del sistema della concorrenza a livello comunitario.
Il carattere selettivo delle agevolazioni è stato, in particolare, riconosciuto:
- in primo luogo, per il fatto che i beneficiari erano le sole società che provvedevano alla quotazione in un ristretto arco temporale (quindici mesi);
- in secondo luogo, a seguito della considerazione per cui le imprese italiane avrebbero avuto un beneficio maggiore, essendo l’aliquota IRPEG ridotta applicata sul reddito ovunque prodotto (mentre per le imprese estere l’agevolazione – pur riconosciuta – era chiaramente limitata al reddito prodotto in Italia, secondo le regole generali di territorialità previste per le imposte sui redditi).
Aiuti illegittimi in quanto selettivi
Sul punto, la sentenza C-458/09 del 24 novembre 2011 richiama l’interpretazione più volte fornita dell’art. 87 (ora art. 107) del Trattato dell’Unione, secondo cui la natura di aiuto di Stato di una misura deve essere valutata non tanto in funzione dei soggetti potenzialmente beneficiari, quanto piuttosto in relazione agli effetti che essa è suscettibile di determinare. Nel punto 39 della sentenza, in particolare, la Corte di giustizia afferma che una misura, ancorché possa teoricamente andare a vantaggio di tutte le imprese, può rivestire carattere selettivo (e, pertanto, costituire aiuto di Stato vietato dall’ordinamento comunitario) se soltanto alcune ne possono concretamente fruire, ovvero se alcune ne traggono benefici ben maggiori rispetto ad altre; nel caso di specie (punto 44 della sentenza) proprio le limitazioni temporali previste per la riduzione d’imposta (quotazione in soli quindici mesi) avrebbero ostacolato un’applicazione generalizzata – e quindi lecita – del beneficio fiscale.La Corte di giustizia ha poi incidentalmente rilevato che la deducibilità “aggiuntiva” dei costi collegati alla quotazione rientra tra i cosiddetti “aiuti al funzionamento”, in quanto i suddetti costi non sono finalizzati a incrementare la dotazione patrimoniale delle società beneficiarie, ma hanno natura di costi collegati al reperimento del capitale; di conseguenza, anche per questa agevolazione è stato accertato il carattere selettivo, con conseguente riconoscimento della natura di aiuto di Stato vietato dall’ordinamento comunitario.
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