reddito d'impresa
Indeducibile la spesa di pubblicità per conto di terzi
La valutazione non deve limitarsi al collegamento con la produzione di maggiori ricavi, ma va indagata la natura del rapporto fra società
La spesa di pubblicità (nella fattispecie di sponsorizzazione), sostenuta da un’impresa a favore di un terzo soggetto, non costituisce elemento sufficiente per qualificare un contratto come stipulato per conto altrui, e come tale rappresenta un costo indeducibile per carenza del requisito di inerenza, in quanto è necessario indagare sulla natura del rapporto tra la società che ha sostenuto la spesa e il terzo soggetto, al fine di valutare i vantaggi e l’utilità ritraibili dalla pubblicità svolta in favore del terzo. Questo è l’importante principio statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24065 depositata ieri, che ha in tal modo cassato la sentenza impugnata emessa in precedenza dalla C.T. Reg. del Lazio.
La fattispecie sottoposta al vaglio di legittimità della Cassazione riguarda la valutazione circa la sussistenza del requisito di inerenza relativamente alla spesa di pubblicità e propaganda sostenuta da una società a favore di un’altra società (cliente della prima), alla quale è quindi riconducibile il messaggio pubblicitario. Nell’ambito dei gradi di merito, l’impresa accertata giustifica il sostenimento della sponsorizzazione a favore di un terzo, in quanto trattasi di “costo promozionale mirato al rafforzamento del rapporto commerciale con il cliente più importante”. L’Ufficio, dal canto suo, sostiene l’indeducibilità del costo sostenuto, in quanto carente del requisito di inerenza, non essendovi, nella fattispecie, alcun collegamento tra il costo sostenuto e i ricavi dell’impresa, elemento essenziale secondo l’Agenzia affinché possa sussistere l’inerenza del costo sostenuto.
A tal proposito, i giudici di merito della Commissione regionale, come si legge nella sentenza in commento, “hanno motivato il rigetto del motivo di appello ritenendo non sufficiente il rilievo della incongruità tra la spesa ed i ricavi relativi all’anno di imposta, richiamando al riguardo la giurisprudenza di legittimità secondo cui la spesa sostenuta a fini promozionali è deducibile tra i costi inerenti, anche se proiettata ad utilità future, non essendo necessario un immediato riscontro nei ricavi conseguiti nello stesso anno di imposta, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità”.
I giudici della Cassazione, ricordando che la deduzione delle spese di pubblicità e propaganda (disciplinata dall’art. 74, comma 2, del TUIR; oggi trasfusa nell’art. 108, comma 2, del medesimo TUIR) non prescinde dal requisito dell’inerenza, il cui onere della prova ricade sul contribuente stesso, aggiungono che non significa che vi debba essere un legame specifico tra costo sostenuto e ricavi dell’impresa. Tale visione, infatti, “appare del tutto semplicistica ove intesa ad esaurire la prova della congruità della spesa al solo rapporto proporzionale tra i valori economici espressi nelle poste di bilancio (…), risultando del tutto carente rispetto al più esteso tema di indagine sottoposto al suo esame e concernente la congruità della spesa in quanto riferibile a potenziali utilità o vantaggi futuri (…) conseguibili dalla società contribuente e non conseguiti o conseguibili, invece, esclusivamente da soggetti terzi (ovvero dal soggetto pubblicizzato)”.
In buona sostanza, sembra sostenere la Cassazione, la valutazione circa l’inerenza di un costo non deve limitarsi al collegamento con la produzione di maggiori ricavi che possono derivare dal sostenimento della spesa stessa, essendo necessario valutare se la società sponsor abbia agito per conto terzi, rimanendo quindi estranea all’utilità prodotta dai servizi pubblicitari commissionati, nel qual caso non sussisterebbe il requisito di inerenza, ovvero abbia agito per conto proprio, nel qual caso, indagando sulla natura del rapporto tra società sponsor e società sponsorizzata, è possibile che la prima possa comunque ottenere vantaggi e utilità dalla pubblicità svolta in favore del terzo (sul punto, la sentenza in commento richiama la Cass. 11 ottobre 1997 n. 9880, in relazione a spese di pubblicità sostenute dal subfornitore per pubblicizzare il prodotto finale fabbricato o commercializzato da un’altra impresa, nella cui ipotesi il subfornitore si attende comunque un “ritorno” in termini di incremento potenziale degli ordini di fornitura).
Resta fermo, ovviamente, il principio secondo cui l’onere di provare l’inerenza della spesa sostenuta grava sul contribuente, il quale dovrà dimostrare l’utilità economica, non necessariamente diretta all’incremento di ricavi, che si attende dal sostenimento del costo di pubblicità e propaganda, anche se a favore di terzi.
/ Sandro CERATO
La fattispecie sottoposta al vaglio di legittimità della Cassazione riguarda la valutazione circa la sussistenza del requisito di inerenza relativamente alla spesa di pubblicità e propaganda sostenuta da una società a favore di un’altra società (cliente della prima), alla quale è quindi riconducibile il messaggio pubblicitario. Nell’ambito dei gradi di merito, l’impresa accertata giustifica il sostenimento della sponsorizzazione a favore di un terzo, in quanto trattasi di “costo promozionale mirato al rafforzamento del rapporto commerciale con il cliente più importante”. L’Ufficio, dal canto suo, sostiene l’indeducibilità del costo sostenuto, in quanto carente del requisito di inerenza, non essendovi, nella fattispecie, alcun collegamento tra il costo sostenuto e i ricavi dell’impresa, elemento essenziale secondo l’Agenzia affinché possa sussistere l’inerenza del costo sostenuto.
A tal proposito, i giudici di merito della Commissione regionale, come si legge nella sentenza in commento, “hanno motivato il rigetto del motivo di appello ritenendo non sufficiente il rilievo della incongruità tra la spesa ed i ricavi relativi all’anno di imposta, richiamando al riguardo la giurisprudenza di legittimità secondo cui la spesa sostenuta a fini promozionali è deducibile tra i costi inerenti, anche se proiettata ad utilità future, non essendo necessario un immediato riscontro nei ricavi conseguiti nello stesso anno di imposta, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità”.
I giudici della Cassazione, ricordando che la deduzione delle spese di pubblicità e propaganda (disciplinata dall’art. 74, comma 2, del TUIR; oggi trasfusa nell’art. 108, comma 2, del medesimo TUIR) non prescinde dal requisito dell’inerenza, il cui onere della prova ricade sul contribuente stesso, aggiungono che non significa che vi debba essere un legame specifico tra costo sostenuto e ricavi dell’impresa. Tale visione, infatti, “appare del tutto semplicistica ove intesa ad esaurire la prova della congruità della spesa al solo rapporto proporzionale tra i valori economici espressi nelle poste di bilancio (…), risultando del tutto carente rispetto al più esteso tema di indagine sottoposto al suo esame e concernente la congruità della spesa in quanto riferibile a potenziali utilità o vantaggi futuri (…) conseguibili dalla società contribuente e non conseguiti o conseguibili, invece, esclusivamente da soggetti terzi (ovvero dal soggetto pubblicizzato)”.
In buona sostanza, sembra sostenere la Cassazione, la valutazione circa l’inerenza di un costo non deve limitarsi al collegamento con la produzione di maggiori ricavi che possono derivare dal sostenimento della spesa stessa, essendo necessario valutare se la società sponsor abbia agito per conto terzi, rimanendo quindi estranea all’utilità prodotta dai servizi pubblicitari commissionati, nel qual caso non sussisterebbe il requisito di inerenza, ovvero abbia agito per conto proprio, nel qual caso, indagando sulla natura del rapporto tra società sponsor e società sponsorizzata, è possibile che la prima possa comunque ottenere vantaggi e utilità dalla pubblicità svolta in favore del terzo (sul punto, la sentenza in commento richiama la Cass. 11 ottobre 1997 n. 9880, in relazione a spese di pubblicità sostenute dal subfornitore per pubblicizzare il prodotto finale fabbricato o commercializzato da un’altra impresa, nella cui ipotesi il subfornitore si attende comunque un “ritorno” in termini di incremento potenziale degli ordini di fornitura).
Resta fermo, ovviamente, il principio secondo cui l’onere di provare l’inerenza della spesa sostenuta grava sul contribuente, il quale dovrà dimostrare l’utilità economica, non necessariamente diretta all’incremento di ricavi, che si attende dal sostenimento del costo di pubblicità e propaganda, anche se a favore di terzi.
/ Sandro CERATO
Nessun commento:
Posta un commento