Accertamento
Il giudicato sull’IRAP «vincola» l’accertamento IRPEF
Se i maggiori ricavi accertati ai fini IRAP sono stati annullati con pronuncia definitiva, ciò vale anche ai fini IRPEF
La Corte di Cassazione, con la sentenza 24049 depositata ieri, si è pronunciata sui nessi che intercorrono tra diversi accertamenti impugnati su diverse imposte, ove la fattispecie impositiva abbia un denominatore comune.
Il caso in oggetto concerne l’effetto del giudicato relativo a IVA/IRAP ottenuto in una causa tra Fisco e società di persone, in relazione a un diverso processo concernente l’IRPEF, attribuita per trasparenza ai soci. Tanto premesso, il principio dei giudici si ritiene abbia valenza generale, in quanto vale in tutti i casi in cui il giudicato, per i motivi che si esporranno, può avere effetto in altri o nello stesso periodo d’imposta, in merito a un diverso tributo.
Occorre innanzitutto specificare che il ragionamento della Cassazione non può ovviamente trovare applicazione in caso di giudicato formatosi su questioni di rito, quali, ad esempio, l’inammissibilità del ricorso o la tardività dell’appello o, ancora, l’inammissibilità di quest’ultimo per mancato deposito della copia presso la segreteria della Provinciale. È necessario, in altri termini, che si sia formato il cosiddetto “giudicato sul merito”.
Il problema potrebbe essere il seguente: un contribuente riceve un accertamento IRAP/IVA fondato su maggiori ricavi non contabilizzati e ottiene una sentenza che ritiene il recupero a tassazione non fondato, sentenza che, per le più varie ragioni, passa in giudicato.
Tale pronuncia vale nel processo instaurato avverso un accertamento IRPEF (emesso magari su diversi periodi d’imposta) quando il “fatto base” siano sempre i maggiori ricavi non contabilizzati?
La risposta è sì, posto che occorre dare valore alla pronuncia definitiva, nonostante, dal punto di vista tecnico, non si possa affermare che questa esplichi effetti di giudicato sostanziale sulle altre liti.
Talvolta, le contestazioni circa le evasioni IVA, IRAP e IRPEF/IRES hanno un denominatore comune: da qui la fondatezza della tesi affermata dai giudici.
Pertanto, se il Fisco, per quantificare l’IRAP, accerta un maggiore valore netto della produzione, in ragione di incassi non contabilizzati, “e se tale assunto scompare dal mondo giuridico per effetto di giudicato che esclude incassi non contabilizzati, viene meno, in radice, il dato storico, economico e fattuale di partenza dei maggiori ricavi”, nella specie imputati ai soci ai fini IRPEF (ma, si ripete, il principio può valere anche in ipotesi diverse da quella delle società di persone).
Anche in difetto di un’espressa previsione legislativa (lodevole è il tentativo di sganciare il diritto da ancestrali formalismi), il sistema impone al Fisco “un vincolo di rispetto ad accertamenti definitivi sul valore degli stessi fatti economici effettuati ai fini dell’applicazione di altro tributo, quando le singole leggi d’imposta non stabiliscano differenti criteri di valutazione”.
Insomma, nonostante non si possa affermare la valenza di giudicato sostanziale della pronuncia, questa ben può essere utilizzata come “prova primaria” dal giudice.
/ Alfio CISSELLO
Il caso in oggetto concerne l’effetto del giudicato relativo a IVA/IRAP ottenuto in una causa tra Fisco e società di persone, in relazione a un diverso processo concernente l’IRPEF, attribuita per trasparenza ai soci. Tanto premesso, il principio dei giudici si ritiene abbia valenza generale, in quanto vale in tutti i casi in cui il giudicato, per i motivi che si esporranno, può avere effetto in altri o nello stesso periodo d’imposta, in merito a un diverso tributo.
Occorre innanzitutto specificare che il ragionamento della Cassazione non può ovviamente trovare applicazione in caso di giudicato formatosi su questioni di rito, quali, ad esempio, l’inammissibilità del ricorso o la tardività dell’appello o, ancora, l’inammissibilità di quest’ultimo per mancato deposito della copia presso la segreteria della Provinciale. È necessario, in altri termini, che si sia formato il cosiddetto “giudicato sul merito”.
Il problema potrebbe essere il seguente: un contribuente riceve un accertamento IRAP/IVA fondato su maggiori ricavi non contabilizzati e ottiene una sentenza che ritiene il recupero a tassazione non fondato, sentenza che, per le più varie ragioni, passa in giudicato.
Tale pronuncia vale nel processo instaurato avverso un accertamento IRPEF (emesso magari su diversi periodi d’imposta) quando il “fatto base” siano sempre i maggiori ricavi non contabilizzati?
La risposta è sì, posto che occorre dare valore alla pronuncia definitiva, nonostante, dal punto di vista tecnico, non si possa affermare che questa esplichi effetti di giudicato sostanziale sulle altre liti.
Talvolta, le contestazioni circa le evasioni IVA, IRAP e IRPEF/IRES hanno un denominatore comune: da qui la fondatezza della tesi affermata dai giudici.
L’IRAP è un’imposta sul reddito
La Cassazione specifica che l’IRAP, in sostanza, è un’imposta sul reddito, siccome il suo imponibile è rappresentato “dalla differenza tra i ricavi dell’attività imprenditoriale e i costi per l’acquisto di materie prime, beni strumentali e servizi professionali e d’impresa”.Pertanto, se il Fisco, per quantificare l’IRAP, accerta un maggiore valore netto della produzione, in ragione di incassi non contabilizzati, “e se tale assunto scompare dal mondo giuridico per effetto di giudicato che esclude incassi non contabilizzati, viene meno, in radice, il dato storico, economico e fattuale di partenza dei maggiori ricavi”, nella specie imputati ai soci ai fini IRPEF (ma, si ripete, il principio può valere anche in ipotesi diverse da quella delle società di persone).
Anche in difetto di un’espressa previsione legislativa (lodevole è il tentativo di sganciare il diritto da ancestrali formalismi), il sistema impone al Fisco “un vincolo di rispetto ad accertamenti definitivi sul valore degli stessi fatti economici effettuati ai fini dell’applicazione di altro tributo, quando le singole leggi d’imposta non stabiliscano differenti criteri di valutazione”.
Insomma, nonostante non si possa affermare la valenza di giudicato sostanziale della pronuncia, questa ben può essere utilizzata come “prova primaria” dal giudice.
/ Alfio CISSELLO
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