accertamento
La dichiarazione di terzo nel PVC non giustifica da sola l’accertamento
Tali dichiarazioni non sono coperte da fede pubblica e costituiscono elementi probatori liberamente valutabili e apprezzabili dal giudice
Le dichiarazioni rese dal personale dipendente del contribuente accertato alla Guardia di Finanza in fase di verifica e contenute nel processo verbale di constatazione non sono coperte da fede pubblica e, quindi, non giustificano, da sole, l’emissione dell’avviso di accertamento. È quanto affermato dalla Cassazione nell’ordinanza del 9 novembre 2011 n. 23397, richiamando la sentenza n. 9251 del 19 aprile 2010.
La controversia riguardava un accertamento emesso nei confronti di un imprenditore per l’omessa esecuzione delle ritenute d’acconto per il lavoratore dipendente. In sede di verifica, detto dipendente individuava la data in cui aveva iniziato a svolgere l’attività alle dipendenze del contribuente accertato. Tali dichiarazioni, che venivano rese in sede di verifica nel processo verbale di constatazione, in un momento successivo venivano smentite dal lavoratore stesso con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
Per la Commissione tributaria regionale, il ricorso presentato dall’imprenditore avverso l’avviso di accertamento risultava infondato poiché le dichiarazioni rese dal lavoratore nel PVC dovevano ritenersi di valore prevalente rispetto a quelle successivamente rese, in ragione della fede privilegiata dell’atto pubblico in cui sono contenute.
La Cassazione, peraltro, si discosta dalla posizione della Commissione tributaria regionale accogliendo, nella sostanza, le doglianze del contribuente, con conseguente cassazione della sentenza d’appello e rinvio ad altra sezione della medesima C.T. Reg.
A tal proposito, la Cassazione richiama la sentenza n. 9251 del 2010, la quale, seppure in una controversia in materia di diritto del lavoro, aveva sostenuto che le dichiarazioni rilasciate da terzi (quali i lavoratori) alle Autorità ispettive non hanno, di per sé, un valore probatorio precostituito. Anzi, il giudice non può porle a fondamento esclusivo del proprio convincimento, ma vanno liberamente apprezzate dallo stesso alla luce di tutto il materiale probatorio disponibile.
/ Paola RIVETTI
La controversia riguardava un accertamento emesso nei confronti di un imprenditore per l’omessa esecuzione delle ritenute d’acconto per il lavoratore dipendente. In sede di verifica, detto dipendente individuava la data in cui aveva iniziato a svolgere l’attività alle dipendenze del contribuente accertato. Tali dichiarazioni, che venivano rese in sede di verifica nel processo verbale di constatazione, in un momento successivo venivano smentite dal lavoratore stesso con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
Per la Commissione tributaria regionale, il ricorso presentato dall’imprenditore avverso l’avviso di accertamento risultava infondato poiché le dichiarazioni rese dal lavoratore nel PVC dovevano ritenersi di valore prevalente rispetto a quelle successivamente rese, in ragione della fede privilegiata dell’atto pubblico in cui sono contenute.
La Cassazione, peraltro, si discosta dalla posizione della Commissione tributaria regionale accogliendo, nella sostanza, le doglianze del contribuente, con conseguente cassazione della sentenza d’appello e rinvio ad altra sezione della medesima C.T. Reg.
Non hanno, di per sé, un valore probatorio precostituito
Viene in particolare sostenuto che, secondo consolidata giurisprudenza, l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese e agli altri fatti dal medesimo compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua presenza. Tale efficacia privilegiata dell’atto pubblico non si estende, invece, alla veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi (nel caso oggetto della pronuncia, il lavoratore). Queste ultime, infatti, costituiscono elementi probatori liberamente valutabili e apprezzabili dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie.A tal proposito, la Cassazione richiama la sentenza n. 9251 del 2010, la quale, seppure in una controversia in materia di diritto del lavoro, aveva sostenuto che le dichiarazioni rilasciate da terzi (quali i lavoratori) alle Autorità ispettive non hanno, di per sé, un valore probatorio precostituito. Anzi, il giudice non può porle a fondamento esclusivo del proprio convincimento, ma vanno liberamente apprezzate dallo stesso alla luce di tutto il materiale probatorio disponibile.
/ Paola RIVETTI
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