iva
La fattura falsa non può essere «annullata» da una nota di credito
Per la Cassazione, non è possibile se non si dimostra la buona fede o l’eliminazione, in tempo utile, del rischio di perdite di gettito erariale
Il contribuente che ha emesso fatture per operazioni inesistenti non può accedere alla procedura di regolarizzazione dell’IVA indebitamente fatturata, tramite il ricorso alle note di variazione, se non dimostra la sua buona fede o l’eliminazione, in tempo utile, del rischio di perdite di gettito erariale. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 24231 di ieri, 18 novembre 2011.Una società aveva posto in essere un complesso meccanismo frodatorio finalizzato ad una evasione IVA, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’ambito della speciale procedura della liquidazione dell’IVA di gruppo di cui all’art. 73 del DPR 633/1972. L’Amministrazione finanziaria, sulla base delle risultanze del PVC redatto dalle Fiamme Gialle, che avevano scoperto il giro di fatture false e la fattispecie delittuosa perpetrata attraverso l’artificiosa liquidazione di gruppo, aveva notificato i relativi atti impositivi di recupero dell’IVA alla contribuente.
Quest’ultima impugnava i provvedimenti, eccependo che le operazioni effettivamente erano inesistenti, ma il Fisco non aveva comunque titolo a richiedere l’imposta indicata nelle false fatture emesse, atteso il principio di neutralità dell’IVA. I giudici di merito, accogliendo parzialmente l’appello, stabilivano che la contribuente aveva il diritto di rettificare l’IVA afferente alle operazioni inesistenti, in ossequio a presunti principi stabiliti in sede comunitaria. Avverso tale pronuncia, proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate.
La Suprema Corte ha richiamato, innanzitutto, la disposizione recata dall’art. 21, comma 7 del DPR 633/1972, in base al quale, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. Peraltro – hanno osservato i Giudici del Palazzaccio – le note di variazione in diminuzione di cui all’art. 26 del DPR 633/1972 presuppongono necessariamente che tali operazioni siano venute meno in tutto o in parte a causa degli specifici motivi indicati al secondo comma del predetto art. 26, ovvero per l’esistenza di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, ma non certamente in caso di fatture per operazioni inesistenti (cfr. Cass. 12353/2005 e 7289/2001).
Gli Ermellini hanno ricordato, poi, la loro giurisprudenza pregressa, con la quale avevano ripetutamente stabilito l’esistenza di un principio generale antielusivo, quale espressione del divieto di abuso del diritto, mutuato dalla normativa comunitaria relativa ai tributi armonizzati, in base al quale non sono opponibili all’Amministrazione finanziaria quelle operazioni poste in essere al solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale, senza alcuna apprezzabile ragione economica (cfr. Cass. 30055/2008, 10257/2008, 8772/2008 e 20398/2005). Nel caso di specie, il ricorso alla speciale procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo rientrava proprio in tale logica abusiva, atteso che si fondava sull’illecita emissione di fatture e di note di credito per operazioni inesistenti (ed elusive), in modo tale da evitare il versamento dell’IVA altrimenti dovuta.
La C.T. Reg., pertanto, secondo i Giudici di piazza Cavour, aveva erroneamente ammesso la contribuente a regolarizzare l’IVA fatturata (sulla base di operazioni inesistenti), atteso che, proprio l’invocata normativa comunitaria risulta a ciò preclusiva, qualora il contribuente non abbia completamente eliminato, in tempo utile, il rischio di perdite fiscali per l’Erario, ovvero non abbia dimostrato la sua buona fede (cfr. Corte Giust. CE, sent. del 19 settembre 2000, causa C-454/98). Nel caso de quo, la società non aveva posto in essere alcun intervento per eliminare la possibilità di perdita di gettito erariale, né si era prodigata a dimostrare la sua buona fede, pur essendone onerata (cfr. Cass. 30057/2008 e 20398/2005). Conclusivamente, quindi, la Cassazione ha accolto il ricorso del Fisco e cassato, con rinvio, la sentenza impugnata.
L’IVA indicata in fattura è sempre dovuta dall’emittente
Il principio per cui l’IVA indicata in fattura sia sempre dovuta dall’emittente, anche in caso di documenti falsi, è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, ormai ampiamente consolidata sul punto. Il debito IVA, in tal caso, non è correlato al presupposto oggettivo di effettuazione dell’operazione, ma discende dalla mera indicazione dell’imposta in fattura (cfr., ex plurimis Cass. 309/2006, 12353/2005, 15374/2002). Per quanto riguarda, poi, la possibilità di “annullare” una fattura per operazioni inesistenti tramite l’emissione di una nota di credito, la Cassazione, appena qualche giorno fa, aveva già statuito che ciò non è possibile se l’emittente non ha eliminato il rischio di perdite erariali ritirando la fattura falsa prima che il destinatario la utilizzi in detrazione (cfr. Cass. 21110/2011)./ Alessandro BORGOGLIO
Nessun commento:
Posta un commento