Penale tributario
Omesso versamento IVA 2005 fuori dal penale
Punibilità condizionata al fatto che presentazione della dichiarazione e omesso versamento superiore alla soglia siano avvenuti dopo il 4 luglio 2006
/ Mercoledì 20 giugno 2012
L’omesso versamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione per il 2005 entro i termini per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, seppure per importi superiori alla prescritta soglia di punibilità, non costituisce reato nel caso in cui la presentazione della dichiarazione, evidenziante il suddetto debito IVA, sia avvenuta prima del 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del DL 223/2006, introduttivo della nuova fattispecie). È questo il principio affermato dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, nella sentenza del 18 aprile 2012.
Il delitto di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, introdotto dall’art. 35 comma 7 del DL 223/2006, al di là del dato letterale, con il suo riferimento a “chiunque”, è un reato proprio e di mano propria o a soggettività ristretta, potendo essere commesso esclusivamente da un soggetto IVA. Dal punto di vista materiale, inoltre, ci si trova di fronte ad un reato omissivo proprio a termine, istantaneo, che si consuma contestualmente alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo a quello della dichiarazione annuale (27 dicembre, ex art. 6 comma 2 della L. 405/90).
La condotta presa in considerazione, peraltro, si svolge in due momenti: quello della presentazione dell’autodichiarazione annuale IVA, a contenuto commissivo-attivo, e quello finale del versamento dell’acconto, puramente omissivo. La prima parte della condotta non integra un “presupposto del reato”, in difetto del quale la fattispecie in questione lascerebbe il posto al delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 del DLgs. 74/2000. Infatti, non ci si trova di fronte ad elementi o antecedenti logico-giuridici, positivi o negativi, anteriori all’esecuzione del fatto di reato e necessari per la sua sussistenza ma indipendenti dalla condotta del reo, bensì ad un atto dell’imprenditore, sebbene obbligatorio dal punto di vista tributario, che, per il legislatore penale (e a differenza di quello tributario) non costituisce un mero dato formale, ma si riempie di contenuto laddove il contribuente indichi come dovuta un’imposta il cui ammontare superi la soglia di 50.000 euro.
Rispetto a tale ricostruzione della condotta materiale, l’elemento soggettivo della fattispecie, ovvero il dolo generico, richiede che oggetto del momento rappresentativo e volitivo del reo sia l’intero fatto di reato descritto dalla norma, comprensivo sia del momento commissivo che di quello omissivo. Isolare il secondo momento, facendo leva sulla natura istantanea del reato, che si consuma all’atto della scadenza del termine per il versamento dell’acconto, incentrando sul segmento omissivo della condotta l’intera offensività della fattispecie, determinerebbe una violazione del principio di colpevolezza. Vale a dire che, sin dal momento dell’autodichiarazione annuale e fino alla omissione penalmente rilevante del pagamento degli acconti IVA, la condotta deve essere sorretta dalla consapevolezza piena del rischio della sanzione penale, quale conseguenza della condotta complessiva imposta all’obbligato.
Ne consegue che, nel caso in cui il legislatore introduca nell’ordinamento una fattispecie di reato, il principio di colpevolezza può dirsi rispettato soltanto se l’intera condotta descritta risulti sorretta dalla piena consapevolezza che, così agendo, si rischia di incappare in sanzioni penali. Se, invece, la normativa incriminatrice sopravviene tra la presentazione della dichiarazione annuale IVA con debito superiore alla soglia di punibilità ed il termine per il pagamento dell’imposta, il contribuente non viene posto nelle condizioni di scegliere consapevolmente di non accantonare con tempestività quanto dovuto, rischiando non già una semplice sanzione amministrativa, ma una pena afflittiva di natura criminale.
Ciò è proprio quanto accadeva nel caso giunto all’esame del Tribunale di Teramo, dove si riteneva che l’imputato avesse presentato la dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 2005, con debito superiore a 50.000 euro, prima che l’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 fosse entrato in vigore (4 luglio 2006), mentre la successiva scadenza del 27 dicembre 2006 ricadeva sotto la vigenza della nuova fattispecie. Lo stesso, quindi, veniva assolto perché il fatto commesso non costituiva reato.
Rispetto a tale decisione occorre, infine, sottolineare, da un lato, che la presentazione della dichiarazione IVA relativa al 2005 non per via telematica e prima del 4 luglio 2006 è stata accertata solo presuntivamente, optandosi per la soluzione più favorevole all’imputato, dal momento che il PM non aveva fornito la prova della presentazione successiva a tale data; dall’altro, l’irrilevanza, rispetto alla decisione adottata, dell’ordinanza 21 luglio 2011 n. 224 della Corte Costituzionale, che ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 in relazione all’art. 3 Cost., stante il più ristretto tempo concesso al debitore dell’IVA risultante dalla dichiarazione 2005 per procedere al versamento nella piena consapevolezza delle eventuali conseguenze penali.
Il delitto di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, introdotto dall’art. 35 comma 7 del DL 223/2006, al di là del dato letterale, con il suo riferimento a “chiunque”, è un reato proprio e di mano propria o a soggettività ristretta, potendo essere commesso esclusivamente da un soggetto IVA. Dal punto di vista materiale, inoltre, ci si trova di fronte ad un reato omissivo proprio a termine, istantaneo, che si consuma contestualmente alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo a quello della dichiarazione annuale (27 dicembre, ex art. 6 comma 2 della L. 405/90).
La condotta presa in considerazione, peraltro, si svolge in due momenti: quello della presentazione dell’autodichiarazione annuale IVA, a contenuto commissivo-attivo, e quello finale del versamento dell’acconto, puramente omissivo. La prima parte della condotta non integra un “presupposto del reato”, in difetto del quale la fattispecie in questione lascerebbe il posto al delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 del DLgs. 74/2000. Infatti, non ci si trova di fronte ad elementi o antecedenti logico-giuridici, positivi o negativi, anteriori all’esecuzione del fatto di reato e necessari per la sua sussistenza ma indipendenti dalla condotta del reo, bensì ad un atto dell’imprenditore, sebbene obbligatorio dal punto di vista tributario, che, per il legislatore penale (e a differenza di quello tributario) non costituisce un mero dato formale, ma si riempie di contenuto laddove il contribuente indichi come dovuta un’imposta il cui ammontare superi la soglia di 50.000 euro.
Rispetto a tale ricostruzione della condotta materiale, l’elemento soggettivo della fattispecie, ovvero il dolo generico, richiede che oggetto del momento rappresentativo e volitivo del reo sia l’intero fatto di reato descritto dalla norma, comprensivo sia del momento commissivo che di quello omissivo. Isolare il secondo momento, facendo leva sulla natura istantanea del reato, che si consuma all’atto della scadenza del termine per il versamento dell’acconto, incentrando sul segmento omissivo della condotta l’intera offensività della fattispecie, determinerebbe una violazione del principio di colpevolezza. Vale a dire che, sin dal momento dell’autodichiarazione annuale e fino alla omissione penalmente rilevante del pagamento degli acconti IVA, la condotta deve essere sorretta dalla consapevolezza piena del rischio della sanzione penale, quale conseguenza della condotta complessiva imposta all’obbligato.
Ne consegue che, nel caso in cui il legislatore introduca nell’ordinamento una fattispecie di reato, il principio di colpevolezza può dirsi rispettato soltanto se l’intera condotta descritta risulti sorretta dalla piena consapevolezza che, così agendo, si rischia di incappare in sanzioni penali. Se, invece, la normativa incriminatrice sopravviene tra la presentazione della dichiarazione annuale IVA con debito superiore alla soglia di punibilità ed il termine per il pagamento dell’imposta, il contribuente non viene posto nelle condizioni di scegliere consapevolmente di non accantonare con tempestività quanto dovuto, rischiando non già una semplice sanzione amministrativa, ma una pena afflittiva di natura criminale.
Ciò è proprio quanto accadeva nel caso giunto all’esame del Tribunale di Teramo, dove si riteneva che l’imputato avesse presentato la dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 2005, con debito superiore a 50.000 euro, prima che l’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 fosse entrato in vigore (4 luglio 2006), mentre la successiva scadenza del 27 dicembre 2006 ricadeva sotto la vigenza della nuova fattispecie. Lo stesso, quindi, veniva assolto perché il fatto commesso non costituiva reato.
Rispetto a tale decisione occorre, infine, sottolineare, da un lato, che la presentazione della dichiarazione IVA relativa al 2005 non per via telematica e prima del 4 luglio 2006 è stata accertata solo presuntivamente, optandosi per la soluzione più favorevole all’imputato, dal momento che il PM non aveva fornito la prova della presentazione successiva a tale data; dall’altro, l’irrilevanza, rispetto alla decisione adottata, dell’ordinanza 21 luglio 2011 n. 224 della Corte Costituzionale, che ha rigettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 in relazione all’art. 3 Cost., stante il più ristretto tempo concesso al debitore dell’IVA risultante dalla dichiarazione 2005 per procedere al versamento nella piena consapevolezza delle eventuali conseguenze penali.
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