ilcasodelgiorno
L’agevolazione prima casa guarda alla residenza della famiglia
Secondo la giurisprudenza, il beneficio può spettare anche se uno dei coniugi non trasferisce la residenza
/ Venerdì 22 giugno 2012
Pare ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento secondo cui l’agevolazione prima casa spetta per l’intero acquisto immobiliare, ove uno dei coniugi in comunione legale acquirenti non possegga (o non abbia trasferito entro 18 mesi dall’acquisto) la residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione.
In particolare, la Corte di Cassazione, nella sentenza 8 settembre 2003 n. 13085, ha affermato che, ai fini della valutazione della spettanza dell’agevolazione prima casa, rileva la “residenza della famiglia”, con la conseguenza che l’agevolazione spetta sull’intero immobile acquistato anche se uno solo dei coniugi abbia fissato la residenza nell’abitazione, purché essa sia stata destinata a residenza della famiglia, “diventando ininfluente sul piano tributario la mancanza del requisito della residenza della moglie, ben potendo la moglie avere una esigenza (legittima e riconosciuta dalla legge civile) che la spinge ad avere una residenza diversa”. In senso conforme si è espressa, più di recente, anche la sentenza 28 gennaio 2009 n. 2109, in cui la Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’agevolazione prima casa, è necessario che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare e si trovi, quindi, nel Comune in cui si trova la residenza della famiglia, mentre non rileva che uno dei due coniugi non abbia la residenza anagrafica in quel Comune, sia nel caso in cui l’immobile sia entrato in comunione in seguito ad acquisto congiunto, che in seguito ad acquisto da parte di un solo coniuge.
Da ultimo, con l’ordinanza 1° luglio 2009 n. 15426, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al godimento dell’agevolazione in relazione all’intero immobile, nel caso in cui uno solo dei due coniugi avesse trasferito la residenza nel Comune in cui si trovava l’immobile. In questa pronuncia, la Corte ricorda che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma solo alla coabitazione, sicché “un’interpretazione della legge tributaria […] conforme ai principi di diritto di famiglia” non può imporre al coniuge di porre (ai fini fiscali) la residenza nell’immobile in cui ha la residenza l’altro coniuge, se ciò non è imposto dal codice civile.
Tuttavia, è bene tenere presente che l’Amministrazione finanziaria, nella circ. 38/2005 (§ 2.1), si è pronunciata in senso opposto, sostenendo, in linea generale, che l’agevolazione prima casa si può applicare solo in relazione al 50% del valore dell’immobile, nel caso in cui solo uno dei coniugi si trovi nelle condizioni di godere dell’agevolazione.
Sebbene l’Agenzia delle Entrate si sia pronunciata (in tempi non recentissimi) in senso opposto, si deve riconoscere che esiste un orientamento giurisprudenziale ormai diffuso secondo il quale l’agevolazione prima casa può spettare integralmente (cioè per l’acquisto del 100% dell’immobile) nel caso in cui anche uno solo dei coniugi in comunione legale abbia trasferito la residenza nel Comune in cui si trova l’immobile in questione, purché possa dimostrarsi che in quel Comune è stata fissata la “residenza della famiglia”.
Peraltro, si rileva che anche un’eventuale successiva separazione dei coniugi non pare possa incidere sull’agevolazione, in quanto non è richiesto dalla norma agevolativa che la residenza (della famiglia) venga conservata nel Comune per un determinato periodo.
Pertanto, una volta accertato che, al momento dell’atto (o entro 18 mesi da esso), la residenza della famiglia era stata fissata in quel Comune, non è rilevante che poi la famiglia si sia “sciolta” e, di conseguenza, la residenza abbia perso la sua originaria connotazione (diventando residenza di uno solo dei coniugi).
D’altro canto, la separazione dei coniugi non sembra in grado di configurare un’ipotesi di decadenza dall’agevolazione prima casa per trasferimento infraquinquennale dell’immobile. Infatti, la separazione personale legale dei coniugi, pur determinando lo scioglimento della comunione legale tra di essi ex art. 191 c.c. (con efficacia dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ovvero dal momento dell’omologazione da parte del Tribunale degli accordi consensualmente raggiunti), non configura un’ipotesi di “trasferimento a titolo oneroso o gratuito” che (se effettuata nei 5 anni dall’acquisto) risulterebbe passibile di determinare la decadenza dall’agevolazione. Infatti, lo scioglimento della comunione non determina alcun trasferimento di beni, ma, piuttosto, una trasformazione della comunione legale in una forma speciale di comunione convenzionale che, poi, i coniugi possono sciogliere mediante divisione dei beni (cfr. Cass. 29 marzo 2006 n. 7231). Infine, la separazione di fatto di per sé non è neppure in grado di sciogliere la comunione legale, sicché, in tal caso, non muta neppure la titolarità dell’immobile abitativo (cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19447).
In particolare, la Corte di Cassazione, nella sentenza 8 settembre 2003 n. 13085, ha affermato che, ai fini della valutazione della spettanza dell’agevolazione prima casa, rileva la “residenza della famiglia”, con la conseguenza che l’agevolazione spetta sull’intero immobile acquistato anche se uno solo dei coniugi abbia fissato la residenza nell’abitazione, purché essa sia stata destinata a residenza della famiglia, “diventando ininfluente sul piano tributario la mancanza del requisito della residenza della moglie, ben potendo la moglie avere una esigenza (legittima e riconosciuta dalla legge civile) che la spinge ad avere una residenza diversa”. In senso conforme si è espressa, più di recente, anche la sentenza 28 gennaio 2009 n. 2109, in cui la Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’agevolazione prima casa, è necessario che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare e si trovi, quindi, nel Comune in cui si trova la residenza della famiglia, mentre non rileva che uno dei due coniugi non abbia la residenza anagrafica in quel Comune, sia nel caso in cui l’immobile sia entrato in comunione in seguito ad acquisto congiunto, che in seguito ad acquisto da parte di un solo coniuge.
Da ultimo, con l’ordinanza 1° luglio 2009 n. 15426, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al godimento dell’agevolazione in relazione all’intero immobile, nel caso in cui uno solo dei due coniugi avesse trasferito la residenza nel Comune in cui si trovava l’immobile. In questa pronuncia, la Corte ricorda che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma solo alla coabitazione, sicché “un’interpretazione della legge tributaria […] conforme ai principi di diritto di famiglia” non può imporre al coniuge di porre (ai fini fiscali) la residenza nell’immobile in cui ha la residenza l’altro coniuge, se ciò non è imposto dal codice civile.
Tuttavia, è bene tenere presente che l’Amministrazione finanziaria, nella circ. 38/2005 (§ 2.1), si è pronunciata in senso opposto, sostenendo, in linea generale, che l’agevolazione prima casa si può applicare solo in relazione al 50% del valore dell’immobile, nel caso in cui solo uno dei coniugi si trovi nelle condizioni di godere dell’agevolazione.
Sebbene l’Agenzia delle Entrate si sia pronunciata (in tempi non recentissimi) in senso opposto, si deve riconoscere che esiste un orientamento giurisprudenziale ormai diffuso secondo il quale l’agevolazione prima casa può spettare integralmente (cioè per l’acquisto del 100% dell’immobile) nel caso in cui anche uno solo dei coniugi in comunione legale abbia trasferito la residenza nel Comune in cui si trova l’immobile in questione, purché possa dimostrarsi che in quel Comune è stata fissata la “residenza della famiglia”.
Peraltro, si rileva che anche un’eventuale successiva separazione dei coniugi non pare possa incidere sull’agevolazione, in quanto non è richiesto dalla norma agevolativa che la residenza (della famiglia) venga conservata nel Comune per un determinato periodo.
Pertanto, una volta accertato che, al momento dell’atto (o entro 18 mesi da esso), la residenza della famiglia era stata fissata in quel Comune, non è rilevante che poi la famiglia si sia “sciolta” e, di conseguenza, la residenza abbia perso la sua originaria connotazione (diventando residenza di uno solo dei coniugi).
D’altro canto, la separazione dei coniugi non sembra in grado di configurare un’ipotesi di decadenza dall’agevolazione prima casa per trasferimento infraquinquennale dell’immobile. Infatti, la separazione personale legale dei coniugi, pur determinando lo scioglimento della comunione legale tra di essi ex art. 191 c.c. (con efficacia dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ovvero dal momento dell’omologazione da parte del Tribunale degli accordi consensualmente raggiunti), non configura un’ipotesi di “trasferimento a titolo oneroso o gratuito” che (se effettuata nei 5 anni dall’acquisto) risulterebbe passibile di determinare la decadenza dall’agevolazione. Infatti, lo scioglimento della comunione non determina alcun trasferimento di beni, ma, piuttosto, una trasformazione della comunione legale in una forma speciale di comunione convenzionale che, poi, i coniugi possono sciogliere mediante divisione dei beni (cfr. Cass. 29 marzo 2006 n. 7231). Infine, la separazione di fatto di per sé non è neppure in grado di sciogliere la comunione legale, sicché, in tal caso, non muta neppure la titolarità dell’immobile abitativo (cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19447).
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