diritto societario
Recesso del socio ad efficacia immediata
Il reddito del socio uscente può assumere la natura di dividendo o di plusvalenza
Con lo Studio n. 188, approvato il 1° marzo 2012 ma divulgato solo pochi giorni fa, il Consiglio Nazionale del Notariato ha ufficializzato la propria preferenza per la tesi dell’efficacia immediata, e non differita, del recesso del socio di società di capitali. Sulla scorta della più recente giurisprudenza, il Notariato ha individuato il momento di scioglimento del vincolo sociale in quello in cui la società riceve la dichiarazione di recesso: da questo momento, l’ex socio vanta solo un diritto di credito verso la società (quello a vedersi liquidata la propria quota) e non può più esercitare i diritti sociali, in particolare quello di voto. Tale tesi è stata ritenuta preferibile a quella dell’efficacia “differita”, che individua il momento di scioglimento del rapporto alla conclusione del (normalmente lungo e complesso) procedimento di liquidazione della partecipazione: l’unico interesse del socio uscente da tutelare sarebbe, infatti, quello alla realizzazione della propria quota, rispetto al quale sarebbe estraneo il mantenimento di tutti i diritti previsti dal codice civile.
Ciò premesso, lo Studio può rappresentare un’utile base di partenza per esaminare la “competenza” fiscale della tassazione del socio uscente, ovvero per stabilire in quale periodo questi è tenuto ad assoggettare ad imposta le somme ricevute (o il valore normale dei beni assegnati).
Le difficoltà nascono in quanto, potenzialmente, il reddito da recesso può assumere una natura molto diversa:
- plusvalenza determinata secondo le regole dei redditi diversi di natura finanziaria (artt. 67 e 68 del TUIR), se il socio uscente è una persona fisica non imprenditore e le azioni o quote sono cedute agli altri soci o a terzi (“recesso atipico”);
- dividendo determinato secondo l’art. 47, comma 7, del TUIR, se il socio uscente è una persona fisica non imprenditore e il rimborso della partecipazione avviene attingendo alle riserve di patrimonio netto della società (“recesso tipico”);
- somma da suddividere tra dividendo e plusvalenza, esente se la partecipazione è in possesso dei requisiti previsti dall’art. 87 del TUIR, se il socio uscente è un imprenditore (nella maggior parte dei casi, si tratta di una società).
Il caso probabilmente più lineare è il secondo, in quanto per i dividendi è tradizionalmente previsto il criterio di cassa e, quand’anche si propenda – come fa il Consiglio Nazionale del Notariato – per l’efficacia immediata del recesso, la tassazione del socio avverrebbe comunque nel periodo d’imposta in cui sono ricevute le somme a titolo di liquidazione della quota. La stessa soluzione sembra caratterizzare il primo caso (recesso “atipico” esercitato dalla persona fisica), in quanto anche per il capital gain vige il criterio di cassa. In realtà, appare opportuno richiamare il principio (esplicitato da ultimo nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/2012) secondo cui:
- le plusvalenze si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso della partecipazione;
- occorre, quindi, separare il momento in cui la partecipazione si considera realizzata da quello in cui la plusvalenza viene tassata (che coincide con quello di incasso del corrispettivo).
La questione è di particolare attualità in quanto, essendo la nuova imposta sostitutiva del 20% prevista per le plusvalenze “non qualificate” realizzate dal 1° gennaio 2012, se la cessione è avvenuta nel 2011, ma il corrispettivo viene percepito nel 2012, la plusvalenza viene tassata nel 2012, ma con la vecchia aliquota del 12,50%. Non è chiaro se tale principio possa valere anche se la dichiarazione di recesso è stata esercitata nel 2011, ma la partecipazione viene ceduta nel 2012, con pagamento del corrispettivo sempre nel 2012: il dubbio nasce dal fatto che, pur considerando l’efficacia civilistica del recesso nel 2011, l’effettiva alienazione avverrebbe comunque nel 2012, circostanza che renderebbe difficoltoso sostenere l’adozione dell’aliquota del 12,50%.
Più dubbi ancora riveste il recesso esercitato dal socio imprenditore. In primo luogo, se il reddito è in parte rappresentato da una plusvalenza realizzata in regime di impresa (la quota parte corrispondente alle riserve di capitale annullate), verrebbe da dire che essa viene comunque tassata secondo il principio generale di competenza, che imporrebbe di rifarsi al momento di efficacia civilistica del recesso (nessun dubbio, invece, sul fatto che la quota parte che rappresenta un dividendo segua il criterio di cassa): si tratta, tuttavia, di una soluzione impraticabile, in quanto per effettuare tale “scomposizione” è necessario che la società abbia deliberato quali riserve utilizzare per liquidare il socio uscente, cosa che avviene in un momento successivo. In più, se – come afferma il Notariato – dopo la dichiarazione di recesso il socio non ha più il diritto di voto, egli è “alla mercé” degli altri soci (con i quali, presumibilmente, i rapporti non sono idilliaci) che, scegliendo di liquidarlo attingendo a riserve di utili ovvero di capitale, possono influenzare in modo sensibile il suo carico fiscale.
Le considerazioni che precedono mettono quindi in luce come, sebbene vi sia un orientamento preciso sull’efficacia “civilistica” del recesso, le particolarità dell’operazione a livello fiscale impongano analisi ulteriori, legate alla natura del soggetto receduto e alle modalità di liquidazione della quota.
/ Gianluca ODETTO
Ciò premesso, lo Studio può rappresentare un’utile base di partenza per esaminare la “competenza” fiscale della tassazione del socio uscente, ovvero per stabilire in quale periodo questi è tenuto ad assoggettare ad imposta le somme ricevute (o il valore normale dei beni assegnati).
Le difficoltà nascono in quanto, potenzialmente, il reddito da recesso può assumere una natura molto diversa:
- plusvalenza determinata secondo le regole dei redditi diversi di natura finanziaria (artt. 67 e 68 del TUIR), se il socio uscente è una persona fisica non imprenditore e le azioni o quote sono cedute agli altri soci o a terzi (“recesso atipico”);
- dividendo determinato secondo l’art. 47, comma 7, del TUIR, se il socio uscente è una persona fisica non imprenditore e il rimborso della partecipazione avviene attingendo alle riserve di patrimonio netto della società (“recesso tipico”);
- somma da suddividere tra dividendo e plusvalenza, esente se la partecipazione è in possesso dei requisiti previsti dall’art. 87 del TUIR, se il socio uscente è un imprenditore (nella maggior parte dei casi, si tratta di una società).
Il caso probabilmente più lineare è il secondo, in quanto per i dividendi è tradizionalmente previsto il criterio di cassa e, quand’anche si propenda – come fa il Consiglio Nazionale del Notariato – per l’efficacia immediata del recesso, la tassazione del socio avverrebbe comunque nel periodo d’imposta in cui sono ricevute le somme a titolo di liquidazione della quota. La stessa soluzione sembra caratterizzare il primo caso (recesso “atipico” esercitato dalla persona fisica), in quanto anche per il capital gain vige il criterio di cassa. In realtà, appare opportuno richiamare il principio (esplicitato da ultimo nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 11/2012) secondo cui:
- le plusvalenze si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso della partecipazione;
- occorre, quindi, separare il momento in cui la partecipazione si considera realizzata da quello in cui la plusvalenza viene tassata (che coincide con quello di incasso del corrispettivo).
La questione è di particolare attualità in quanto, essendo la nuova imposta sostitutiva del 20% prevista per le plusvalenze “non qualificate” realizzate dal 1° gennaio 2012, se la cessione è avvenuta nel 2011, ma il corrispettivo viene percepito nel 2012, la plusvalenza viene tassata nel 2012, ma con la vecchia aliquota del 12,50%. Non è chiaro se tale principio possa valere anche se la dichiarazione di recesso è stata esercitata nel 2011, ma la partecipazione viene ceduta nel 2012, con pagamento del corrispettivo sempre nel 2012: il dubbio nasce dal fatto che, pur considerando l’efficacia civilistica del recesso nel 2011, l’effettiva alienazione avverrebbe comunque nel 2012, circostanza che renderebbe difficoltoso sostenere l’adozione dell’aliquota del 12,50%.
Più dubbi ancora riveste il recesso esercitato dal socio imprenditore. In primo luogo, se il reddito è in parte rappresentato da una plusvalenza realizzata in regime di impresa (la quota parte corrispondente alle riserve di capitale annullate), verrebbe da dire che essa viene comunque tassata secondo il principio generale di competenza, che imporrebbe di rifarsi al momento di efficacia civilistica del recesso (nessun dubbio, invece, sul fatto che la quota parte che rappresenta un dividendo segua il criterio di cassa): si tratta, tuttavia, di una soluzione impraticabile, in quanto per effettuare tale “scomposizione” è necessario che la società abbia deliberato quali riserve utilizzare per liquidare il socio uscente, cosa che avviene in un momento successivo. In più, se – come afferma il Notariato – dopo la dichiarazione di recesso il socio non ha più il diritto di voto, egli è “alla mercé” degli altri soci (con i quali, presumibilmente, i rapporti non sono idilliaci) che, scegliendo di liquidarlo attingendo a riserve di utili ovvero di capitale, possono influenzare in modo sensibile il suo carico fiscale.
Le considerazioni che precedono mettono quindi in luce come, sebbene vi sia un orientamento preciso sull’efficacia “civilistica” del recesso, le particolarità dell’operazione a livello fiscale impongano analisi ulteriori, legate alla natura del soggetto receduto e alle modalità di liquidazione della quota.
/ Gianluca ODETTO
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