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mercoledì 13 giugno 2012

diritto civile

Diritto al risarcimento se Equitalia dispone il pignoramento indebitamente

Ove la sentenza abbia annullato il credito, la prosecuzione dell’espropriazione può integrare il delitto di omissione di atti d’ufficio
/ Martedì 12 giugno 2012
Ieri, 11 giugno 2012, è stata depositata la sentenza 9445 della terza sezione civile della Corte di Cassazione, ove i giudici si sono occupati del diritto al risarcimento del danno a favore del soggetto che viene leso da un’indebita continuazione dell’attività espropriativa posta in essere da Equitalia.
I fatti di causa rispecchiano una situazione che appare, o quanto meno appariva, abbastanza comune: successivamente alla ricezione dell’avviso di pagamento o di una cartella di pagamento, viene proposto ricorso dinanzi al giudice fornito di giurisdizione, che annulla l’atto.
Nonostante ciò, l’attività di riscossione esattoriale prosegue con i penetranti poteri di cui al DPR 602/73, che attribuiscono, in varie parti, la gestione dell’attività espropriativa allo stesso Agente della riscossione.
Ora è stata emanata dalla stessa Equitalia la direttiva 10/2010, mediante la quale il soggetto, tramite apposita autodichiarazione, può chiedere l’immediato blocco delle attività di riscossione e cautelari, ad esempio in quanto è stata depositata una sentenza di annullamento del credito, o una decisione di sospensione giudiziale.
I giudici hanno affermato che, astrattamente, la condotta dell’Agente della riscossione integra gli estremi del delitto di cui all’art. 328, secondo comma del codice penale (Omissione di atti d’ufficio), secondo cui “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032”: nella specie, l’attore aveva intimato ad Equitalia di interrompere l’attività espropriativa a causa della sentenza di annullamento del credito, ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Nella sentenza viene richiamata la giurisprudenza pregressa, in forza della quale l’art. 2059 del codice civile impone che, in assenza di una pronuncia del giudice penale, il giudice civile debba procedere incidentalmente all’accertamento del reato, e “solo dopo tale accertamento, che terrà necessariamente conto della eventuale diversa configurabilità del reato rispetto al Comune e al Concessionario, anche sulla base della normativa di settore, il giudice dovrà verificare la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse tutelato”.
Principio estendibile agli atti fiscali
Tanto premesso, si ritiene che i principi enunciati siano estendibili alla materia fiscale: si pensi al caso in cui il contribuente abbia enormi difficoltà a ottenere la cancellazione dell’ipoteca esattoriale a seguito di una sentenza della Provinciale ove il debito erariale è stato annullato, o anche al caso in cui il debito sia stato solo ridotto, rendendo però l’ipoteca comunque illegittima in quanto sotto la soglia dei 20.000 euro (si rammenta che le sentenze delle Commissioni tributarie a favore del contribuente sono immediatamente esecutive, quindi a nulla varrebbe sostenere che il resistente ha proposto appello).
In dette situazioni, nel caso in cui l’autodichiarazione di cui alla direttiva 10/2010 richiamata non sia sufficiente, è possibile, dimostrando tutti i requisiti richiesti dall’art. 2043 del codice civile, domandare al Tribunale o al Giudice di Pace il risarcimento del danno.
Ovviamente, rimane fermo il diritto di chiedere, in sede fiscale in occasione del ricorso contro ad esempio l’ipoteca o l’intimazione ad adempiere, la responsabilità processuale aggravata o, nelle situazioni meno gravi, la condanna alla corresponsione di una somma equitativamente determinata.

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